La decisione della Cina di infliggere una pesante multa alla società Alibaba segna un notevole salto di qualità nell’approccio perseguito dal governo di Pechino nei confronti delle proprie potentissime imprese private o semipubbliche. La multa è stata di 3,7 miliardi di dollari, pari al 4% dei ricavi annuali dell’impresa nel 2019, ed è stata applicata per comportamento contrario alla libera concorrenza. La sanzione fa seguito ad altre analoghe, seppure di minore entità, decise nei confronti di altri attori privati e all’emanazione di direttive contro i monopoli adottate a Febbraio, nonché alla sospensione dalla borsa valori della stessa Alibaba (Chinese government fines Alibaba $3.7 billion for anti-competitive behaviour - ABC News).

 

Per fare un confronto con analoghe misure adottate in passato dalle autorità europee, si ponga mente al fatto che le sanzioni inflitte a Microsoft per motivi di questo genere sono state pari a cifre sensibilmente inferiori, ovvero per 2 miliardi di dollari in tutto il periodo dal 2004 ad oggi (Microsoft, nuova multa da 561 milioni Windows 7 violava le norme antitrust - Corriere.it).

Molteplici possono essere le chiavi di lettura di queste scelte. La più miope, anche se probabilmente si tratta di quella cui si fa maggiormente ricorso in Occidente, è quella di etichettare la linea delle autorità cinesi come espressione di qualche lotta di potere intestina. Il dato di fondo che va colto è, invece, ben diverso e di più ampia portata. Si tratta infatti di una manifestazione evidente di quella che continua a costituire la vocazione di fondo del sistema cinese, ovvero quella di dare comunque rilievo preminente alle istanze dell’interesse pubblico rispetto a quelli privati.

Altri indizi in questo senso possono del resto essere colti da una lettura, sia pure superficiale, di decisioni e programmi attuali. Restando sempre nell’ambito, strategicamente fondamentale, delle comunicazioni e delle piattaforme, va registrata una decisione giudiziaria contraria al riconoscimento facciale che si inserisce anch’essa, a ben vedere, nello stesso trend contrario al crescente strapotere delle piattaforme digitali, in particolare dal punto di vista della disponibilità dei dati personali. Infatti accogliendo il ricorso presentato dal cittadino Guo Bing, la Corte intermedia del popolo di Huang Zhou ha stabilito, fra l’altro, che non rientra fra i diritti della società World Wildlife, che gestisce un parco naturale, utilizzare le fotografie presentate dagli utenti al fine di utilizzare il metodo del riconoscimento facciale ("The first case of face recognition" verdict of second instance: delete the plaintiff's fingerprint identification information - Teller Report).

Una notizia che smentisce i luoghi comuni molto diffusi che tendono a sottolineare ipotetici tratti distopici dell’esperienza cinese, caricaturizzando in modo eccessivo determinati aspetti negativi, pure presenti, ma a ben vedere in misura non troppo dissimile da quella riscontrabile sotto altri cieli. Un elemento invece effettivamente distintivo del sistema cinese, che presenta enormi potenzialità specie in una fase come quella attuale, è il protagonismo dei poteri pubblici. Tale elemento può facilmente cogliersi in programmi giganteschi come quello relativo alla promozione delle energie pulite, che prevede l’investimento di 138 trilioni di yuan entro il 2060 (https://dongshengnews.us8.listmanage.com/track/click?u=3804e8517f18cc127a31574ee&id=dac7ee7a21&e=a42ff51d4e) o la decisione di destinare all’esportazione la metà della produzione nazionale di vaccini, come concreto elemento di solidarietà internazionale negli attuali ardui frangenti pandemici.

La vocazione internazionale della politica cinese costituisce in questo senso l’indizio più rilevante dell’esistenza di una decisa volontà della classe dirigente cinese di farsi carico delle problematiche comuni della globalizzazione. Il tema del “destino condiviso dell’umanità”, emerso qualche anno fa dal Congresso del Partito comunista cinese, è sempre più presente nel dibattito pubblico. Si tratta peraltro di un ideale di fondo che presenta sempre più stretti legami coll’ideologia e con la pratica dei diritti umani correttamente intesi, come messo in evidenza dalla recente pubblicazione di un volume curato dallo studioso cinese Zhang Wei (Chinese Perspectives on Human Rights and Good Governance (brill.com).

Problemi relativi ai diritti umani esistono quindi certamente in Cina, come ne esistono in Europa, negli Stati Uniti e in altre parti del mondo e l’unico modo per risolverli costituisce nel sostituire all’utilizzo strumentale di queste tematiche come armi per colpire le potenze rivali la ricerca di un approccio cooperativo e in buona fede nell’affrontarli. In tal senso occorre decisamente demistificare la narrativa occidentale corrente secondo la quale la Cina costituirebbe una sorta di Impero del male dove si registra ogni genere di violazione dei diritti umani, narrativa organica al tentativo statunitense di impedire la strutturazione di una nuova multipolarità internazionale della quale la Cina costituisce senza dubbio uno degli assi portanti.

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