di Giuseppe Zaccagni

E’ un compromesso storico quello raggiunto a Pechino dopo giorni di trattative. Perché il governo nordcoreano di Pyongyang ha deciso di sospendere il suo programma nucleare in cambio di un milione di tonnellate di greggio l'anno a partire dal momento del blocco del suo reattore di Yongbyon (attualmente utilizzabile anche per scopi militari dal momento che è in grado di produrre uranio indispensabile per la costruzione di armi atomiche) e di ottenere, poi, due milioni di kilowatt di elettricità al suo definitivo smantellamento. Crisi salvata, quindi. Almeno per il momento, conoscendo le passate impennate del leader coreano Kim Jiong-Il. Comunque i negoziatori – Corea del Sud, Russia, Cina, Stati Uniti – lasciano soddisfatti la capitale cinese che è stata l’arena di un tour de force diplomatico che tendeva, sin dai primi passi, a convincere i nordisti a sospendere il loro programma atomico di carattere militare. La crisi è rientrata pur se i rappresentanti giapponesi si sono astenuti dall’accettare le proposte di compensazione sottolineando, con la loro mossa, che resta ancora aperta una questione strategica, di sostanza.
Ma a parte le polemiche e gli strascichi diplomatici tutto è avvenuto perché i negoziatori di Pyongyang hanno gettato sul piatto della trattativa il peso della loro (presunta) forza militare ricattando, allo stesso tempo, gli amici alleati di Mosca e di Pechino. Hanno fatto capire di essere pronti a fare marcia indietro, ma di voler ottenere una serie di “privilegi”. E così la discussione si è concentrata sul “quanto” e sul “come”.

Il Nord ha garantito il blocco definitivo della centrale di Yongbyon (un reattore sperimentale da 5 megawatt la cui costruzione era stata sospesa in base all'accordo cornice del 1994) entro due mesi chiedendo però, in contropartita, aiuti in campo economico capaci di impedire un peggioramento dei rapporti. E nel protocollo di intesa c’è anche un impegno alla chiusura di altri impianti nucleari nordocoreani. E precisamente quelli di Taechon (un reattore da 200 megawatt), di Pyongyang (un laboratorio che può produrre piccole quantità di plutonio) e di Kumho (due reattori da 1.000 megawatt ad acqua leggera). Impianti questi che saranno sottoposti al controllo degli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) chiamati a verificare la sospensione della produzione di plutonio. E sempre nel quadro degli accordi Pyongyang ha reso noto che fornirà una lista completa dei siti nucleari nel Paese, con l'inventario dettagliato del quantitativo di plutonio prodotto. Disattiverà, quindi, tutti gli impianti, compreso un suo reattore nucleare a grafite di potenza moderata. Si effettuerà una piena conversione ad uso civile.

Quanto alle altre decisioni di ordine politico e diplomatico sembra ormai chiaro che Washington avvierà l'iter per rimuovere Pyongyang dalla lista dei paesi “canaglia”, sponsor del terrorismo. E in questo quadro si potrebbe anche arrivare ad eliminare le sanzioni economiche unilaterali e nel frattempo, programmare una serie di trattative per allacciare relazioni diplomatiche dirette. Il dossier d’intenti è notevole. E se tutto andrà avanti come previsto si arriverà a chiudere una pagina della guerra fredda “asiatica”. C’è, infatti, l’impegno anche per un nuovo incontro ravvicinato, a Tokio – previsto per il 19 marzo - quando si riuniranno cinque gruppi di lavoro che affronteranno i temi più scottanti ancora aperti: dalla denuclearizzazione della penisola alla normalizzazione delle relazioni di Pyongyang con Washington e con Tokyo.

Intanto sul piano delle relazioni politiche e diplomatiche si può dire che dal vertice di Pechino gli americani escono a testa alta. Il loro rappresentante - Christopher Hill - ha voluto sottolineare che si è trattato di "un primo passo" verso il disarmo e che "molto lavoro" rimane da fare. Incontrando i giornalisti dopo la firma dell'accordo, Christopher Hill – il negoziatore americano - ha poi affermato che gli Usa si sono impegnati a "risolvere entro 30 giorni il problema delle sanzioni che riguardano il Banco Delta Asia di Macao” accusato di aver messo in circolazione valuta contraffatta versata su conti nordcoreani. Il falco neoconservatore John Bolton, in passato uno degli uomini di punta dell'Ammistrazione di George W.Bush, ha invece aspramente criticato l'accordo, che ha definito "pessimo". Le vere vincitrici della lunga partita, fino a questo momento, sono così la Cina e la Corea del Sud, che hanno ostinatamente voluto proseguire sulla strada dei negoziati anche quando, dopo il test nucleare del 9 ottobre scorso, tutto sembrava perduto. Il risultato è buono anche per Pyongyang, che ha ottenuto precisi impegni di aiuti da parte dei suoi interlocutori. Mentre la Russia ha mantenuto una posizione defilata ed in sostanza filo-Pyongyang, il Giappone di Shinzo Abe appare l’unico ad essere stato costretto ad una marcia indietro dalla posizione intransigente con la quale si era presentato al tavolo di Pechino.

Dal canto suo Bush è intervenuto esprimendo la propria “soddisfazione” per l'accordo raggiunto con la Corea del Nord che - ha detto - “mette un freno al suo controverso programma nucleare”. "E sono anche soddisfatto – ha aggiunto – perché i colloqui rappresentano la migliore opportunità per fare ricorso allo strumento della diplomazia per affrontare le questioni delle sanzioni e il programma nucleare della Corea del Nord e per far sì che la penisola coreana sia libera da armi nucleari".
Le sanzioni americane – come è noto - sono consistite anche nel congelare 24 milioni di dollari su conti intestati ad istituzioni e cittadini nordcoreani accusati di trafficare in droga, armi e dollari falsi. Le misure, imposte dagli Usa, hanno avuto l’effetto "collaterale" di isolare la Corea del Nord dal sistema finanziario internazionale, circostanza che ha avuto un diretto influsso negativo sulle finanze private di molti membri dell’elite politica nordcoreana. L'accordo firmato ora dai delegati non è molto diverso da quello che era stato raggiunto tra la Corea del Nord e gli Usa sotto la presidenza di Bill Clinton nel 1994. Quell'accordo era entrato in crisi per i ritardi nell’applicazione dalle due parti e per il voltafaccia di Pyongyang, che nel 2002 aveva ripreso a sviluppare il proprio programma nucleare.

Nei colloqui di Pechino, intanto, non si è fatta menzione della seconda possibile fonte di materiale fissile per la produzione di armi atomiche oltre al reattore di Yongbyon. Si tratta del materiale che lo scienziato pachistano Abdul Qadeer Khan (conosciuto per essere il "padre" della prima bomba atomica del Pakistan) ha affermato di aver venduto ai nordcoreani, che non l'hanno mai ammesso. Infine, ma non certo meno importante, rimane la confusione su quante siano le armi nucleari in possesso di Pyongyang che, secondo i servizi segreti occidentali potrebbero essere in un numero compreso tra le tre e le dodici. Un problema serio quando, e se, arriverà il momento di distruggerle. Un fatto è certo: Kim Jong-Il – vero “Dottor Stranamore” dell’Asia – continua a giocare d’azzardo.




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