Se le elezioni locali di martedì negli Stati Uniti dovevano essere l’ultimo importante banco di prova per la tenuta di Donald Trump prima delle presidenziali del prossimo anno, il risultato complessivo per l’inquilino della Casa Bianca dovrebbe apparentemente fargli dormire sonni tutt’altro che tranquilli. Il Partito Democratico americano ha tra l’altro esteso il proprio controllo su tutti i principali organi rappresentativi dello stato della Virginia, mentre in quello tradizionalmente conservatore del Kentucky ha riconquistato a sorpresa la carica di governatore. I dati indicano però anche situazioni contraddittorie a un anno dal voto e gli stessi leader democratici potrebbero finire per servire a Trump la rielezione se il procedimento di impeachment in fase iniziale dovesse proseguire nella direzione intrapresa dal Congresso di Washington.

 

Un’analisi dell’appuntamento con le urne di questa settimana in alcuni stati americani non può prescindere da due considerazioni fondamentali. La prima riguarda la natura di un sistema politico-elettorale sostanzialmente bloccato che in pratica non permette la manifestazione di frustrazioni e malcontento verso la classe politica al di fuori dei due partiti principali, per molti aspetti simili ed espressione di fazioni diverse di un segmento estremamente ristretto della società USA.

Questa realtà, che conduce alla seconda riflessione, si manifesta puntualmente in un numero molto basso dei partecipanti al voto. Nei due stati dove si sono tenute le elezioni più seguite a livello nazionale – Kentucky e Virginia – i votanti non hanno nemmeno sfiorato la metà degli aventi diritto. Nel primo stato l’affluenza ha superato di poco il 40% e nel secondo si è fermata al 36%. Questi dati, oltretutto, rappresentano un’impennata rispetto alle precedenti consultazioni e sono insolitamente alti per un’annata senza presidenziali né elezioni per il Congresso di Washington.

Ad ogni modo, l’evento di maggiore rilievo della serata di martedì è stata la sconfitta del governatore uscente del Kentucky, il repubblicano Matt Bevin, per mano del democratico “moderato”, Andy Beshear. Il vantaggio di quest’ultimo è stato di appena 5 mila voti su 1,4 milioni espressi, ma la nettissima vittoria di Trump in questo stato nel 2016 e le previsioni che davano qualche punto percentuale di vantaggio a Bevin hanno fatto in modo che l’esito sia stato sorprendente e, di fatto, un chiaro avvertimento per la Casa Bianca.

I repubblicani hanno perso in Kentucky circa mezzo milione di voti rispetto a tre anni fa, a dimostrazione di come le politiche economiche e sociali implementate in questo stato, così come a livello federale, abbiano costituito di fatto un fardello. Il valore politico della sconfitta del governatore Bevin è dovuta al fatto che la sua impopolarità deriva in primo luogo dagli attacchi portati dalla sua amministrazione alla sanità e al sistema scolastico pubblici, difesi invece in campagna elettorale dal rivale democratico.

Particolarmente odiati sono sembrati essere gli ostacoli posti all’allargamento a circa 400 mila residenti dello stato della copertura sanitaria tramite il programma pubblico Medicaid, deciso nel 2014 dall’allora governatore Steve Beshear, padre del vincitore del voto di martedì,  in conformità con la riforma di Obama (“Obamacare”). Bevin aveva introdotto l’obbligatorietà di lavorare almeno 20 ore alla settimana, oppure frequentare un qualche corso scolastico o fare opera di volontariato, per ottenere una polizza sanitaria pubblica.

Anche se poco o per nulla discusso sui media ufficiali, il voto in Kentucky è stato influenzato inoltre dalla crescente mobilitazione dei lavoratori anche in questo stato, segnato nei mesi scorsi da massicci scioperi degli insegnanti della scuola pubblica. Che queste agitazioni abbiano lasciato il segno, smentendo la tesi di un orientamento conservatore quasi monolitico dello stato, è confermato anche dall’inutilità del recente comizio tenuto dal presidente Trump in Kentucky a sostegno del governatore Bevin. Trump, come suo solito, aveva denunciato assurdamente i democratici e il loro candidato come un branco di “socialisti” e “radicali di sinistra”, per poi celebrare un inesistente miracolo economico dello stato, per merito di un governatore con indici di gradimento tra i più bassi di tutti gli Stati Uniti.

In Kentucky come altrove, la Casa Bianca aveva cercato di sfruttare a proprio vantaggio in vista del voto di martedì la campagna per l’impeachment del Partito Democratico. In questa fase iniziale del processo non è da escludere che i candidati democratici abbiano ottenuto un qualche beneficio dalle accuse mosse contro Trump. I repubblicani in corsa nei vari stati hanno d’altra parte quasi sempre cercato di evitare l’argomento impeachment e talvolta di prendere le distanze dal presidente.

Queste dinamiche potrebbero avere avuto un certo peso ad esempio in Virginia, dove il Partito Democratico ha ribaltato gli equilibri in entrambi i rami del parlamento statale, finora controllati di misura da una maggioranza repubblicana. Il risultato è stato attribuito da molti commentatori in buona parte alla “ondata” di professionisti e funzionari governativi stabilitisi negli ultimi anni nelle aree urbane dello stato vicine a Washington, modificandone profondamente gli equilibri demografici. Questi elettori sarebbero appunto orientati a votare democratico, soprattutto perché sensibili alle politiche identitarie del partito, nonché alla sostanziale identificazione di esso con l’apparato di potere degli Stati Uniti.

In questi settori dell’elettorato la campagna condotta a Washington contro Trump può dunque avere avuto un discreto successo. Occupando già la carica di governatore, i democratici in Virginia avranno però ora la piena responsabilità delle politiche che verranno adottate e, se com’è facile prevedere, esse risulteranno poco differenti da quelle perseguite negli stati controllati dal Partito Repubblicano, nelle prossime elezioni la Virginia registrerà probabilmente un nuovo avvicendamento al potere.

Uno dei pochi risultati positivi per i repubblicani nella giornata di martedì è stato quello della corsa per la carica vacante di governatore del Mississippi. Il vice-governatore in carica, Tate Reeves, ha battuto il procuratore generale dello stato, il democratico conservatore Jim Hood, al termine di un confronto relativamente equilibrato. Il candidato democratico era su posizioni non meno reazionarie del suo sfidante, essendo anti-abortista e fortemente contrario a ogni restrizione alla vendita di armi.

Il successo repubblicano in Mississippi era comunque ampiamente previsto, alla luce del sostanziale dominio del partito in questo come in altri stati americani del sud. Qui, la strategia democratica, in larga misura perdente, continua a essere quella di rincorrere a destra il Partito Repubblicano e di fare quindi appello alle forze più reazionarie dell’elettorato, nonostante livelli di povertà ed esclusione sociale tra i più alti di tutto il paese.

Nel voto di martedì, la stampa americana ha cercato di trovare indicazioni utili in vista delle presidenziali del 2020. Gli affanni di Trump e dei repubblicani hanno lasciato trasparire un certo auto-compiacimento negli ambienti vicini al Partito Democratico. Questo atteggiamento è stato alimentato anche da alcuni sondaggi pubblicati in questi giorni che indicano come il presidente appaia in difficoltà su scala nazionale con tutti i principali aspiranti alla nomination democratica in un’ipotetica sfida per la Casa Bianca.

Se i democratici credono tuttavia che il procedere dell’impeachment possa ulteriormente penalizzare Trump nei prossimi mesi, il voto del novembre 2020 potrebbe rappresentare un nuovo brusco risveglio. Le premesse dell’incriminazione del presidente sono infatti reazionarie, visto che si basano su input e motivazioni collegate agli interessi strategici dell’imperialismo americano piuttosto che sulle politiche oggettivamente anti-democratiche e anti-costituzionali perseguite finora da Trump. Inoltre, le presunte azioni illegali del presidente porteranno sempre più alla luce situazioni imbarazzanti per il Partito Democratico, a cominciare dai traffici della famiglia Biden in Ucraina.

Trump e i repubblicani cercheranno perciò di ribaltare gli scenari e ritorcere contro i democratici l’impeachment, facendolo apparire come un tentativo da parte delle élites di Washington di ostacolare il lavoro di un presidente che cerca di opporsi al sistema. Queste dinamiche potrebbero favorire nuovamente l’attuale occupante della Casa Bianca, come dimostrano i numeri, evidenziati sempre dagli ultimi sondaggi, negli stati-chiave soprattutto del “Midwest” in previsione del 2020. Trump continua cioè a raccogliere consensi maggiori rispetto ai democratici nella fetta di elettorato grosso modo identificabile con la “working-class” bianca, già decisiva nel decidere a suo favore le elezioni del novembre 2016.

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