Negli Stati Uniti è usanza credere che il Paese, dalla fine della guerra fredda, non abbia più avuto una Grande Strategia. Una Grande Strategia è una visione del mondo che mira a imporsi e a farsi rispettare da tutti i governi. Perciò, se si è in scacco in un determinato teatro operativo ci si sposta in un altro, e così via fino al trionfo.

 

Alla fine della seconda guerra mondiale Washington scelse di seguire le direttive enunciate dall’ambasciatore George Keennan nel suo celebre telegramma diplomatico: il regime sovietico è espansionista, quindi l’influenza dell’URSS deve essere contenuta (containment). Benché persero le guerre di Corea e Vietnam, gli Stati Uniti finirono per trionfare.

Accade raramente che i politici riescano a concepire una Grande Strategia, sebbene nel medesimo periodo ce ne siano state altre, in particolare quella di Charles De Gaulle in Francia.

 

Negli ultimi diciotto anni Washington è riuscita gradualmente a darsi nuovi obiettivi e a studiare nuove tattiche per conseguirli.

 

1991–2001: un periodo di incertezza

Con il crollo dell’Unione Sovietica, il 25 dicembre 1991, gli Stati Uniti di Bush padre hanno ritenuto di non aver più rivali. Il presidente, vincitore a causa del venir meno del nemico, ha smobilitato un milione di soldati e immaginato un mondo di pace e prosperità. Ha liberalizzato il trasferimento dei capitali per impinguare i capitalisti e consentire, almeno così credeva, anche ai concittadini di arricchirsi.

 

Il capitalismo non è però un progetto politico, è solo un mezzo per far soldi. Le grandi imprese USA - non lo Stato Federale - non esitarono quindi ad allearsi con il partito comunista cinese (da qui il famoso “viaggio verso il Sud” di Deng Xiaoping). Delocalizzarono le imprese di scarso valore aggiunto dall’Occidente alla Cina, dove i lavoratori erano poco preparati, ma i salari erano in media 20 volte inferiori. Ebbe inizio il lungo processo di deindustrializzazione dell’Occidente.

 

Per gestire gli affari transnazionali il Grande capitale spostò le ricchezze in Paesi a fiscalità ridotta, dove aveva scoperto di potersi sottrarre alle responsabilità sociali. Questi Paesi, la cui fiscalità derogatoria e la cui discrezione sono indispensabili al commercio internazionale, si trovarono improvvisamente coinvolti in una gigantesca ottimizzazione fiscale, per non dire in una massiccia frode, di cui beneficiarono tacitamente dei vantaggi. Ebbe così inizio il regno della Finanza sull’Economia.

 

Strategia militare

Nel 2001 il segretario alla Difesa, nonché membro permanente del “governo di continuità”, Donald Rumsfeld, creò l’Ufficio per la Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation) e lo affidò all’ammiraglio Arthur Cebrowski. Questi, che già aveva informatizzato le forze armate, doveva ora modificarne la missione.

 

Il mondo senza Unione Sovietica era diventato unipolare, era governato non più dal Consiglio di Sicurezza, ma dai soli Stati Uniti che, per conservare la posizione di dominio, dovevano “fare la parte del fuoco”, ossia dividere l’umanità in due: da una parte gli Stati stabili (i membri del G8, Russia inclusa, e i loro alleati), dall’altra il resto del mondo, considerato alla stregua di una semplice riserva di risorse naturali.

 

Washington non riteneva più vitale per sé l’accesso a queste risorse, ma voleva che fossero a disposizione esclusivamente degli Stati stabili, purché per tramite suo. Occorreva perciò distruggere preventivamente le strutture statali della riserva di risorse, in modo che nessuno potesse un giorno opporsi alla volontà della prima potenza mondiale, né prescindere da essa.

 

Questa strategia è stata messa in atto in continuazione. Ha esordito nel Medio Oriente Allargato (Afghanistan, Iraq, Libano, Libia, Siria, Yemen), ma, contrariamente a quanto annunciato dalla segretaria di Stato Hillary Clinton (Pivot to Asia), non ha potuto estendersi all’Estremo Oriente, a causa dello sviluppo militare cinese. Si è perciò dispiegata nel Bacino dei Caraibi (Venezuela, Nicaragua).

 

Strategia diplomatica

Nel 2012 il presidente Barack Obama riprese il leitmotiv del Partito Repubblicano e fece dello sfruttamento per frantumazione idraulica di petrolio e gas di scisto una priorità nazionale. In pochi anni gli Stati Uniti moltiplicarono gli investimenti e divennero primo produttore mondiale d’idrocarburi, ribaltando i paradigmi delle relazioni internazionali. Nel 2018 Mike Pompeo, ex direttore di Sentry International, fabbrica di componenti petroliferi, divenne direttore della CIA e poi segretario di Stato.

 

Creò un Ufficio per le Risorse Energetiche (Bureau of Energy Resources), simmetrico a quel che era stato l’Ufficio per la Trasformazione della Forza al Pentagono, e lo affidò a Francis Fannon. Pompeo attuò una politica interamente indirizzata alla conquista del controllo del mercato mondiale degli idrocarburi, immaginando un nuovo tipo di alleanze come quella della Regione Indo-pacifica Libera e Aperta (Free and Open Indo-Pacific): non più blocchi militari, come i Quad [alleanza anticinese, formata da Stati Uniti, Giappone, India e Australia, attiva dal 2007 al 2010, ndt], bensì alleanze attorno a obiettivi di crescita economica, fondati sull’accesso garantito alle fonti di energia.

 

Questo concetto si integra con la strategia Rumsfel/Cebrowski: non è necessario appropriarsi degli idrocarburi del resto del mondo (Washington non ne ha più bisogno), ma di decidere chi vi potrà accedere e chi no. È rottura totale con la dottrina della penuria di petrolio, promossa dagli anni Sessanta dai Rockefeller e dal Club di Roma e in seguito dal Gruppo per lo Sviluppo della Politica Energetica Nazionale (National Energy Policy Development Group) del vicepresidente Dick Cheney. Gli Stati Uniti constatano che il petrolio non solo non si è esaurito, ma nonostante l’aumento drastico della domanda basterà all’umanità per almeno un secolo.

 

Con vari pretesti, Pompeo ha recentemente bloccato l’accesso al mercato mondiale degli idrocarburi prima dell’Iran, poi del Venezuela, e ha deciso la permanenza nella Siria orientale delle truppe USA per impedire lo sfruttamento dei giacimenti scoperti. Contemporaneamente fa pressione sull’Unione Europea perché rinunci al gasdotto Nord Stream 2 e sulla Turchia perché abbandoni il Turkish Stream.

 

Strategia commerciale

Nel 2017 il presidente Donald Trump tentò di riportare negli Stati Uniti parte dei posti di lavoro delocalizzati in Asia e in Unione Europea. Su consiglio dell’economista di sinistra Peter Navarro, mise fine al Partenariato Transpacifico e rinegoziò l’Accordo per il Libero Scambio Nord-americano.

 

Contemporaneamente instaurò diritti di dogana proibitivi sulle automobili tedesche e sulla maggior parte dei prodotti cinesi, completando il tutto con una riforma fiscale volta a incoraggiare il rientro dei capitali. Questa politica ha permesso di migliorare la bilancia commerciale e di rilanciare l’occupazione.

 

Il dispositivo è ormai completo su tutti i fronti: militare, economico, diplomatico. Ogni elemento si articola con l’altro. Tutti sanno cosa fare.

 

La forza principale di questa nuova Grande Strategia statunitense risiede nel fatto che le élite del resto del mondo non l’hanno capita. Washington può perciò contare sull’effetto sorpresa, potenziato dalla comunicazione caotica di Trump. Se osserviamo i fatti invece di analizzare i tweet del presidente, possiamo constatare il progresso degli Stati Uniti, dopo il duplice periodo di incertezza dei presidenti Clinton e Obama.

 

fonte: www.voltairenet.org

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