Una presa di posizione inequivocabile da parte dei vertici militari algerini ha forse impresso in questi giorni una svolta decisiva alla crisi che da alcune settimane sta scuotendo il paese nordafricano. Il potente capo di Stato Maggiore, generale Ahmed Gaid Salah, ha cioè chiesto la rimozione di fatto del presidente, Abdelaziz Bouteflika, come gesto estremo per contenere le manifestazioni di piazza e gli scioperi in corso contro il regime.

 

La mossa del generale Salah segna dunque una rottura clamorosa tra due dei centri del “pouvoir” algerino, i vertici militari e il clan presidenziale, proprio mentre questi ultimi ambienti stavano lavorando a uno stentato piano di transizione che poco più di due settimane fa era stato presentato come un’iniziativa dello stesso Bouteflika. Com’è noto, l’82nne presidente algerino, in carica dal 1999, è apparso molto raramente e non ha mai parlato in pubblico dal 2013, quando è stato vittima di un ictus che lo ha reso gravemente invalido.

 

 

La sua rielezione nel 2014 e la nuova candidatura annunciata quest’anno per un quinto mandato avevano mostrato chiaramente l’incapacità del regime di superare le divisioni interne in un clima di profonda crisi economica e sociale, nonché di preparare una transizione senza scosse sotto la guida del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), al potere fin dall’indipendenza dalla Francia nel 1962.

 

Proprio la prospettiva di una nuova elezione di Bouteflika aveva fatto scattare massicce proteste che, nel quadro delle “Primavere arabe”, dal 2011 in avanti avevano invece in larga misura risparmiato l’Algeria. Le manifestazioni hanno assunto in fretta un carattere generalizzato e si sono allargate fino a chiedere non solo un passo indietro del presidente, ma anche e soprattutto il rovesciamento del regime e il miglioramento delle condizioni di vita in continuo declino per decine di milioni di persone. L’ingresso nella lotta della “working-class” algerina, in particolare in un settore cruciale come quello energetico, così come in quello pubblico, ha poi impresso una spinta decisiva alla protesta, costringendo il regime a considerare una serie di provvedimenti di facciata.

 

L’intervento di martedì del generale Salah risponde precisamente al tentativo disperato, da parte di un regime sull’orlo del baratro, di soffocare l’opposizione crescente nel paese, attraverso il sacrificio di un presidente di fatto incapace ormai da tempo di esercitare le proprie funzioni. Il capo di Stato Maggiore algerino ha “suggerito” di far scattare l’articolo 102 della Costituzione, che prevede una dichiarazione di incapacità a governare da parte della camera alta del parlamento, o Consiglio Costituzionale. Dopo questo atto contro il presidente, i due rami del parlamento dovranno ratificare la decisione con una maggioranza di due terzi.

 

Nel chiedere la testa di Bouteflika, il numero uno delle forze armate algerine ha tenuto a far riferimento alle “legittime rivendicazioni” popolari, sia pure rimarcando che qualsiasi iniziativa dovrà “garantire il rispetto della Costituzione” e “la salvaguardia della sovranità dello stato”. In altri termini, una fazione del regime, messa sotto pressione dalle proteste di piazza, intende soddisfare esclusivamente la richiesta di liquidare l’anziano presidente, in modo da assicurare la sopravvivenza di un regime che, anzi, deve rimanere la guida del cambiamento o presunto tale. Come ha spiegato un’analisi pubblicata martedì dal quotidiano francese Le Monde, in sostanza, “scegliendo l’applicazione dell’articolo 102 [della Costituzione], i militari cercano di evitare una transizione diretta da personalità indipendenti”, come vorrebbe invece “una buona parte dei protagonisti della contestazione”.

 

Dagli ambienti della protesta, infatti, l’ultima mossa del regime è stata nuovamente accolta con freddezza, se non aperta ostilità. Una reazione simile era seguita anche alla proposta, annunciata apparentemente da Bouteflika l’11 marzo scorso, con la quale il presidente rinunciava alla candidatura per un quinto mandato ma rinviava le elezioni, originariamente previste ad aprile, per un periodo indefinito, in attesa di una revisione della Costituzione algerina. Su questo piano stava lavorando l’entourage presidenziale, emarginato però bruscamente dal pronunciamento dei militari.

 

Nel fronte dell’opposizione il quadro non è ad ogni modo univoco. Per meglio dire, la grandissima maggioranza dei dimostranti continua a manifestare tendenze più o meno rivoluzionarie, laddove i leader dei vari partiti e movimenti di opposizione, talvolta legati fino a poche settimane fa al FLN o allo stesso Bouteflika, hanno come obiettivo principale quello di partecipare al processo di transizione politica e accaparrarsi una fetta del potere, un po’ come accaduto in Tunisia dopo la fine del regime di Ben Ali nel 2011.

 

La dinamica messa in moto dalle parole del generale Salah finirà comunque per produrre tutt’al più solo un apparente cambiamento del sistema attuale. Basti pensare che, una volta deposto Bouteflika, la carica di presidente ad interim verrà assunta dal presidente del Consiglio Costituzionale, ovvero il Senato algerino, il quale guiderà il paese verso nuove elezioni, da tenersi non prima di 45 giorni e non più tardi di 90. Il probabile successore di Bouteflika è il 76enne Abdelkader Bensalah, leader e fondatore del Raggruppamento Nazionale Democratico (DNR), che è un alleato di governo del FLN. Bensalah è considerato un fedelissimo di Bouteflika e dello stesso presidente fa spesso le veci in occasione delle visite in Algeria di leader stranieri.

 

Anche il solo fatto che la recente iniziativa del regime sia stata promossa dal più alto ufficiale militare del paese la dice lunga sulla natura del cambiamento proposto. La facoltà di ricorrere all’articolo 102 della Costituzione algerina per decidere la deposizione di un presidente non è infatti attribuita ai vertici delle forze armate, ma esclusivamente all’organo legislativo che deve deliberare sulla questione.

 

In questo caso, l’indicazione del generale Salah ha ribadito quindi il ruolo dei militari come colonna portante del regime e garante dell’attuale sistema di potere, pericolosamente avviato verso lo sgretolamento in seguito all’abbandono del presidente da parte di svariati alleati all’interno della magistratura, del business e dello stesso partito di governo. In conseguenza di ciò, la camera alta del parlamento di Algeri ha docilmente seguito l’ordine impartito, anche se di fatto incostituzionale, mettendo subito in calendario una seduta per discutere l’applicazione dell’articolo 102 nei confronti di Bouteflika.

 

La risposta della popolazione algerina in rivolta alla nuova manovra del regime sarà da verificare nei prossimi giorni. I toni e le intenzioni del generale Salah fanno comunque intravedere un possibile irrigidimento del regime e la minaccia di un duro intervento per reprimere le proteste se esse dovessero continuare nella richiesta di un cambiamento più radicale.

 

La dimensione internazionale della crisi in Algeria è infine un altro elemento da tenere in seria considerazione, anche se dai contorni non ancora del tutto definiti. Il regime algerino intrattiene storicamente ottimi rapporti con la Russia e con altri paesi e governi sgraditi all’Occidente, come testimonia ad esempio il rifiuto di seguire la linea dura dettata dagli USA e da altri paesi arabi contro la Siria di Assad negli ultimi anni.

 

Per questa ragione, qualche commentatore vede nelle proteste di queste settimane una riedizione in versione algerina delle “rivoluzioni colorate”, pilotata dal dipartimento di Stato americano per installare un governo più allineato all’Occidente in un paese strategicamente importantissimo sia per le risorse energetiche che possiede sia come crocevia dell’emigrazione sub-sahariana verso l’Europa.

 

Allo stesso tempo, l’Algeria del FLN rappresenta però anche un elemento di stabilità nel Maghreb per gli interessi non solo energetici occidentali e, soprattutto, francesi. A questo proposito, sono molti gli indizi che rivelano un probabile coordinamento della gestione della crisi in atto tra elementi del regime e l’Eliseo, in particolare alla luce del pericolo di un possibile sovrapporsi delle proteste contro Bouteflika con quelle dei “gilet gialli” contro il presidente Macron.

 

Il sistema di potere algerino mostra in ogni caso evidenti segnali di avanzato deterioramento e non è perciò da escludere, se la situazione interna dovesse sfuggire di mano, che i partner occidentali decidano alla fine di strumentalizzare una protesta ad oggi in gran parte spontanea e legittima per assestare una spallata definitiva al regime del FLN.

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