di Giuseppe Zaccagni

Sedici paesi asiatici - la metà della popolazione del mondo - uniti per sviluppare le fonti di energia rinnovabile e per ridurre l’immissione nell’atmosfera di quei gas che producono l’effetto serra. E questo, in sintesi il risultato raggiunto al secondo vertice dell’ Asean (Association of South-East Asian Nations) che si è svolto nei giorni scorsi a Cebu, nelle Filippine. Si è raggiunta così una nuova ed importante tappa nell’ambito di quel programma mondiale teso a sviluppare ed utilizzare, attraverso uno sforzo congiunto, fonti energetiche alternative che possano far fronte ai bisogni delle crescenti economie regionali, in vista di una diminuzione delle riserve petrolifere. Gli accordi che sono scaturiti si riferiscono infatti a tutta una serie di attività industriali e scientifiche dirette alla creazione di bio-carburanti e fonti di energia idrica, dal momento che "queste risorse sono aspetti importanti delle politiche energetiche nazionali". Nell'affrontare poi il problema legato alla diminuzione delle riserve di energie fossili e all'instabilità del prezzo del petrolio, i paesi dell’Asean si sono detti maggiormente "preoccupati per i problemi legati ad ambiente e salute che queste fonti creano". In questo ambito è stato accolto con interesse l’annuncio del primo ministro giapponese Shinzo Abe relativo allo stanziamento di un pacchetto di aiuti di due milioni di dollari per quelle nazioni asiatiche in via di sviluppo bisognose di aiuti sul piano energetico.

L'obiettivo di Tokio è quello di attenuare la dipendenza regionale al petrolio e "di garantire un accesso alle fonti energetiche ai paesi più poveri dell'est Asia”. “Noi - ha aggiunto Abe - ci impegnamo in questo programma di sviluppo tenendo conto che il nostro Paese ha già sviluppato un'efficienza energetica del 37% negli ultimi tre decenni. Per questo motivo vogliamo oggi contribuire agli sforzi degli altri Paesi asiatici e condividere con essi la nostra esperienza".
Bilancio positivo, quindi. Tenendo conto che durante il vertice sono stati affrontati anche altri temi globali riferiti all’aumento delle malattie, ai disastri ecologici provocati dall’uomo, alle diverse condizioni economiche nel campo del commercio e, infine, alle questioni legate alla lotta al terrorismo. Ma nonostante tutte le discussioni e gli ovvii contrasti, non sono mancate parole positive nei confronti del nucleare. I sedici paesi riuniti ne hanno sottolineato, infatti, l’importanza “per scopi civili”.

Numerose poi a Cebu le prese di posizione in favore di una generale politica comune asiatica favorita anche dal clima costruttivo che ha caratterizzato gli interventi dei cinesi e dei giapponesi. I quali sembrano aver trovato nuove linee di intesa dopo gli strappi del passato. Pur se restano sul tappeto le tante preoccupazioni relative al fatto che le economie dell’area temono le “invasioni” cinesi. Di qui anche una certa apprensione per l’annunciata zona di libero scambio economico prevista per il 2015, che diverrà la più vasta al mondo. Area che, nei fatti, potrebbe favorire soprattutto la Cina (545 milioni di abitanti delle regioni dell’Asean credono di avere un ruolo sempre più subordinato agli 1,3 miliardi di cinesi) e anche l’India. Ma a chi al vertice avanzava dubbi sulla buona volontà cinese è stata fornita una risposta concreta relativa degli scambi commerciali tra Pechino e l’area Asean: 160,8 miliardi di dollari Usa nel 2006, con un aumento di 17 volte rispetto a 15 anni fa. Segno evidente di un forte rapporto che non è mai stato messo in discussione.

Restano aperte, invece, molte questioni globali relative a quella strategia politica che punta a fronteggiare un quadro sociale vario e composito. Perchè una vera integrazione dell’area è resa sempre difficile dalle differenze istituzionali e sociali esistenti tra paesi che si autodefiniscono “democratici” (o quasi, come Filippine, Thailandia, Indonesia, Malaysia, Cambogia e Singapore) e una monarchia assoluta come quella al potere nel Brunei, una dittatura militare come in Birmania (Myanmar) e uno stato di orientamento socialista come il Vietnam.

Infine, sempre da Cebu, un nota di natura diplomatica destinata a pesare sulle future relazioni internazionali. Perchè le delegazioni della Cina, del Giappone e della Corea del Sud hanno dichiarato di condividere la preoccupazione nei confronti della Corea del Nord per i suoi progetti nucleari e missilistici. Il premier cinese Jiaobao, il suo omologo giapponese Abe, e il presidente sudcoreano Moo-hyun hanno emesso, in merito, una nota congiunta con la quale chiedono che vengano applicate le sanzioni nei confronti di Pyongyang votate dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. E sull’onda di questa presa di posizione sono riaffiorate, nella stampa asiatica, alcune vecchie polemiche di critica diretta all’Asean. Si è scritto così che l’organizzazione manca di vitalità e di una leadership. Vive alla giornata, seguendo le tendenze globali anziché deciderle. E, di conseguenza, riappaiono le domande di un tempo: dov'era, per esempio, la leadership dell'Asean quando c'è stata la crisi economica? Cosa ha fatto, allora, per promuovere l'afflusso di investimenti? Che iniziative ha promosso per risolvere crisi regionali come la disputa sulle isole del Mar Cinese Meridionale, il degrado ambientale, il cattivo uso delle risorse?
E ancora. L’autorevole Asiaweek di Hong Kong nota che l’Asean ha garantito per lunghi anni la cooperazione, la pace e la sicurezza ai suoi membri, "ma oggi sembra vecchia e senza energie''. Si ricorda, in proposito, la crisi economica del 1997 quando i paesi dell'Asean sacrificarono i principi della solidarietà e della cooperazione a quelli della non ingerenza.

Oggi, comunque, vince la realpolitik dell’economia. Con molti stati dell’organizzazione che firmano con la Cina accordi che prevedono collaborazioni nei settori immobiliari e nel sistema bancario cinese. Si apre un processo a lunghe tappe che vede l’Asean impegnata come non mai a superare le difficoltà del passato quando era considerata solo come un “cartello” di governi che, nonostante profondi disaccordi, si sostenevano a vicenda contro le correnti separatiste. Molte di queste tesi vengono ora accantonate mentre si affaccia, in questo contesto, una forte competizione contro l’America. Eppure l’Associazione era stata, all’inizio della sua attività, l’espressione politica ed istituzionale dei paesi filoccidentali della regione. Suo scopo era allora quello di contrastare il comunismo e impedire l’«effetto domino», cioè la conquista pezzo a pezzo dell’Asia da parte dei comunisti. La storia ha fatto giustizia di queste preoccupazioni. E la Cina “rossa” è oggi un punto cardine dell’intera Asean.















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