Il fallimentare referendum di domenica in Macedonia non solo non ha assegnato un chiaro mandato al governo socialdemocratico del premier Zoran Zaev per indirizzare il paese balcanico verso Stati Uniti e Unione Europea, ma rischia anche di precipitare una nuova crisi politica interna, ancora una volta intrecciata alla crescente rivalità strategica tra Russia e Occidente.

 

Gli elettori della ex repubblica iugoslava erano chiamati a ratificare il cambiamento di nome del loro paese in Macedonia del Nord e, soprattutto, a dare il via libera alle procedure per l’ingresso nella NATO e nell’UE.

 

Com’è noto, Atene ha sempre contestato il nome di Macedonia perché sembrava implicare possibili rivendicazioni territoriali sull’omonima regione della Grecia settentrionale. Dal 1993, Skopje aveva aderito alle Nazioni Unite con il nome di “Ex Repubblica Iugoslava di Macedonia” (FYROM) e la Grecia aveva messo il veto all’accesso di questo paese sia alla NATO sia all’Unione Europea.

 

Probabilmente in previsione dello scarso entusiasmo popolare per i termini dell’accordo dello scorso giugno tra i governi macedone e greco, da cui era scaturita appunto la consultazione del fine settimana, al referendum era stata assegnata una funzione puramente consultiva. Per essere vincolante sarebbe stato necessario un quorum del 50% e il referendum avrebbe finito per risultare nullo, visto che alle urne si è recato circa il 37% dei macedoni. Di questi, circa il 91% ha votato a favore del “sì”, ma il dato risente della campagna di boicottaggio invocata dagli oppositori dell’accordo con Atene.

 

La questione del nome e del possibile ingresso nella NATO e nell’UE sarà perciò decisa dal parlamento di Skopje, dove l’accordo dovrà ottenere una maggioranza dei due terzi dei membri in quanto comporta una modifica alla costituzione. L’opposizione conservatrice e nazionalista controlla 49 dei 120 seggi del parlamento, sufficienti per bloccare l’approvazione dell’accordo stesso. Non solo, la scarsa affluenza nel referendum potrebbe anche convincere alcuni parlamentari a votare secondo coscienza, senza sentirsi vincolati a un parere popolare tutt’altro che univoco.

 

Secondo il leader del principale partito di opposizione VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone), Hristijan Mickoski, “il numero dei voti contrari e degli astenuti dimostra che la grande maggioranza della popolazione rifiuta questo accordo e il loro è stato il messaggio più forte”. Nonostante i numeri, il premier Zaev ha invece accolto l’esito del referendum come un segnale di consenso per implementare l’accordo e si è detto ottimista sulla possibilità di mettere assieme la maggioranza necessaria a ratificarlo in parlamento.

 

In caso contrario, Zaev ha ipotizzato elezioni anticipate già nel mese di novembre, in modo da ottenere un mandato più ampio a favore dell’accordo. La sua minaccia appare tuttavia come un modo per esercitare pressioni sui parlamentari dell’opposizione, visto che l’esito del referendum dimostra poco entusiasmo tra i macedoni per le forze filo-occidentali e i socialdemocratici, assieme ai loro alleati, difficilmente riuscirebbero a conquistare i due terzi dei seggi.

 

Forti pressioni sull’opposizione sono già iniziate ad arrivare anche dall’estero, a cominciare ovviamente da Bruxelles. Ben oltre il limite del ridicolo è stato l’intervento su Twitter del commissario per l’allargamento dell’UE, Johannes Hahn, per il quale il voto di domenica indicherebbe un “ampio sostegno” in Macedonia sia per il cambio del nome sia per il “percorso euroatlantico” del paese balcanico.

 

Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha anch’egli salutato quasi trionfalmente il successo del “sì”. Ignorando le intenzioni di coloro che non si sono nemmeno recati alle urne, Stoltenberg ha poi chiesto a “tutti i leader e i partiti politici di impegnarsi in maniera costruttiva e responsabile per cogliere questa opportunità storica” di entrare nella NATO e nell’UE.

 

Al di là di questa retorica,  il referendum macedone ha registrato quanto meno la diffidenza degli abitanti di questo paese per le istituzioni europee come strumento di progresso economico o democratico, ma anche nei confronti del Patto Atlantico, soprattutto in considerazione dei legami storici con Mosca.

 

La questione del nome da dare al paese, collegata poco opportunamente al quesito su NATO e UE, ha fatto inoltre in modo che sul referendum influisse anche la componente nazionalista, alimentata in particolare dal governo precedente di centro-destra dell’ex premier Nikola Gruevsky. L’avvicendamento al governo di Skopje tra i conservatori del VMRO-DPMNE e l’Unione Socialdemocratica (SDSM) era stata favorita da una campagna promossa dall’Occidente per sottrarre la Macedonia alla sfera di influenza russa.

 

Tramite proteste di piazze, scandali politici e pressioni varie iniziate almeno nel 2015, Washington e Bruxelles avevano raggiunto l’obiettivo del cambio di regime. Il passaggio all’opposizione dei conservatori filo-russi aveva dato così l’opportunità a questi ultimi di fare leva sui sentimenti nazionalisti della popolazione e di denunciare le ingerenze occidentali, con evidenti riflessi proprio sul voto di domenica scorsa.

Questa stessa componente ha un peso sul futuro della Macedonia anche in relazione alla realtà greca. L’accordo, per diventare effettivo, ha bisogno infatti dell’approvazione del parlamento di Atene, ma anche qui proteste e malumori dei partiti soprattutto di destra si sono fatti sentire in questi mesi.

 

In definitiva, l’intesa tra Atene e Skopje e la prospettiva per la Macedonia di entrare nella NATO e nell’Unione Europea sono al centro delle strategie dei governi occidentali per allargare la loro influenza verso est in un’area tradizionalmente nella sfera di Mosca. Questo obiettivo e gli sforzi per raggiungerlo vengono riconosciuti da quasi tutti i commentatori e i media “mainstream”, ma la versione ufficiale riconosciuta è che sarebbe stato piuttosto il governo russo a fare di tutto per cercare di interferire in quello che appare come un naturale e quasi inevitabile processo di integrazione della Macedonia con le strutture politiche e militari occidentali.

 

Il tema della campagna di disinformazione del Cremlino ha occupato tutta la campagna elettorale per il referendum. Singolarmente, una processione di leader occidentali – dalla Merkel al segretario alla Difesa americano, James Mattis, dal segretario NATO Stoltenberg al premier austriaco, Sebastian Kurz – ha fatto visita al premier Zaev a Skopje durante l’estate e, mentre essi avvertivano la Macedonia della necessità di accogliere gli inviti di Washington e Bruxelles, mettevano in guardia dalle presunte “interferenze” di Mosca in vista dell’imminente appuntamento con le urne.

 

Se è evidente e legittimo che la Russia veda con preoccupazione l’ingresso della Macedonia nella NATO e nell’UE, è altrettanto innegabile che sono stati i governi occidentali a esercitare pressioni enormi su questo paese per approvare il referendum. Il risultato del voto di domenica dimostra però da solo la credibilità di queste forze e delle prospettive che esse offrono al paese balcanico.

 

Nelle prossime settimane, a Skopje potrebbero dunque ripresentarsi gli scenari di crisi già visti negli ultimi tre anni. La gestione dell’esito del referendum da parte del governo socialdemocratico e l’impegno a ottenere un voto favorevole in parlamento dovranno fare i conti con un’opposizione rinvigorita dal sostanziale rifiuto da parte degli elettori dell’accordo raggiunto con Atene.

 

Quale che sia l’epilogo della vicenda, l’ennesimo intervento dell’Europea e degli Stati Uniti nelle dinamiche interne di un paese sovrano per la promozione dei rispettivi interessi strategici rischia ancora una volta di generare caos e destabilizzazione invece di offrire anche solo lontanamente un qualche sentiero percorribile verso democrazia e prosperità.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy