di Luca Mazzucato


Tra il 2004 e il 2006, i governi di Siria e Israele avrebbero condotto delle trattative segrete con lo scopo di delineare uno scenario possibile per un accordo di pace tra i due paesi, in guerra da sessant'anni. Il risultato delle trattative, che si sarebbero interrotte durante la guerra in Libano, porterebbe ad una soluzione “creativa” dell'occupazione israeliana del Golan e sarebbe il primo passo efficace per isolare il regime iraniano, negli interessi americani e israeliani. Con uno scoop dettagliato e puntuale, il giornale israeliano Haaretz ha rotto il muro di gomma che la leadership israeliana oppone a negoziati con la Siria, suscitando peraltro un vespaio di polemiche in patria e nell'ostile vicino. La Siria, formalmente in stato di guerra con Israele dal 1948, ha recentemente reso pubblica la sua intenzione di normalizzare le relazioni diplomatiche con lo stato ebraico. In varie interviste rilasciate a media occidentali e arabi, il presidente siriano Bashar Assad ha proposto l'inizio di negoziati ufficiali, senza precondizioni, per arrivare alla soluzione del lungo conflitto. Questo rappresenta probabilmente il punto cruciale dell'attuale conflitto mediorientale e della possibile exit strategy americana in Iran. Da una parte, la Siria ha stipulato un alleanza militare di tipo difensivo con l'Iran ed esercita una grande influenza sul Libano tramite le milizie di Hizbullah, il movimento sciita filoiraniano che da mesi chiede la rimozione del governo libanese filoamericano di Siniora. Inoltre, Damasco offre asilo a Khaled Masha'al, il capo del movimento Hamas, che attualmente governa l'Autorità Nazionale Palestinese. Grazie a queste rete di alleanze, il regime siriano è in cima alla lista dei nemici storici di Israele, ma, allo stesso tempo, rappresenta il fulcro di un possibile cambiamento dei rapporti di forza nell'area. Negli Stati Uniti, infatti, in seguito al controverso rapporto Hamilton-Baker sulle prospettive della guerra in Iraq, ha preso corpo la possibilità di raggiungere la sostanziale stabilizzazione del paese martoriato da quasi quattro anni di occupazione. Citando il New York Times, acclarato il “disastroso fallimento” dell'amministrazione Bush, non resta altra alternativa se non il graduale ritiro delle truppe americane, a cui subentrerebbe un impegno congiunto siriano (il partito Baath al potere in Siria è cugino dell'omologo partito iracheno di Saddam Hussein) e iraniano (la repubblica islamica dovrebbe stabilizzare la maggioranza sciita in Iraq). Come primo passo in questa direzione, per ottenere l'appoggio di Damasco è necessario smussare l'antagonismo decennale tra Siria e Israele, il cui più recente episodio è stato la deflagrazione della guerra estiva in Libano.

In questa prospettiva si inserisce lo scoop di Haaretz, il cui scopo evidente è di innescare un dibattito nell'opinione pubblica israeliana circa le prospettive di pace con la Siria. Ma vediamo i dettagli dell'accordo. Nel Gennaio del 2004, il presidente siriano Bashar Assad, in visita in Turchia, informa l'allora direttore del Ministero degli Esteri israeliano Alon Liel, per coincidenza nello stesso albergo di Istanbul, della volontà di sondare le opzioni diplomatiche tra i due paesi, in forma riservata. Nel giro di alcuni mesi prende forma il canale di trattative, a cui partecipano lo stesso Liel, l'uomo d'affari siriano americano Ibrahim Suleiman, l'inviato americano Geoffrey Aronson e il mediatore europeo Nicholas Lang. Occasionalmente, prendono parte agli incontri, svoltisi in varie capitali europee e a Beirut, anche il vice-primo ministro e il ministro degli esteri siriano, oltre a vari funzionari israeliani del precedente governo Sharon. L'ultimo incontro, in cui è stato formulato il documento finale, è avvenuto nell'Agosto del 2006, nel bel mezzo della seconda guerra del Libano. L'accordo raggiunto riguarda tutte le questioni alla base delle tensioni tra Siria e Israele: i confini, l'acqua, la sicurezza e la diplomazia. Ecco in breve i quattro punti fondamentali (il testo integrale del documento si trova alla pagina http://www.haaretz.com/hasen/spages/813769.html):

Israele dovrà ritirarsi dalle alture del Golan all'interno della Linea Verde del 1967. Il territorio del Golan, ancorché sotto il formale controllo siriano, verrà trasformato in un parco naturale, a cui potranno accedere liberamente i cittadini israeliani, mentre per l'accesso da parte siriana sarà necessario un permesso. Il parco sarà aperto al turismo e verrà amministrato congiuntamente dai due paesi e le zone immediatamente adiacenti verranno demilitarizzate in una fascia di alcuni chilometri. Questa soluzione “creativa” ricorda peraltro altre analoghe proposte del mediatore europeo Johan Galtung, per le soluzioni dei conflitti tra Ecuador e Perù e tra India e Kashmir.
La Siria si è dimostrata comprensiva riguardo ai tempi del ritiro completo, che da parte israeliana sono stati fissati entro quindici anni.
Le risorse idriche della valle del Giordano e del lago di Tiberiade resteranno sotto esclusivo controllo israeliano, a cui i siriani potranno comunque accedere per usi civili.
Verranno normalizzate le relazioni diplomatiche tra i due paesi e si procederà alla firma di un trattato di pace, nel quale la Siria si impegnerà a combattere attivamente il terrorismo. In altre parole, la protezione che attualmente Damasco offre a Khaled Masha'al, leader di Hamas in esilio, dovrà cessare. Inoltre la Siria si impegnerà a smilitarizzare Hizbullah e a trasformarlo in un normale partito politico.

Gli incontri sarebbero terminati quest'estate, poiché la Siria premeva per passare da una trattativa segreta ad incontri di alto livello con la presenza ufficiale americana, mentre il governo Olmert avrebbe opposto il proprio rifiuto, basato sul veto di Bush a trattative ufficiali con la Siria, considerata ancora parte dell' “asse del male”. Le reazioni allo scoop del giornale israeliano sono state immediate e identiche da entrambe le parti, quasi fossero state concordate: i governi dei due paesi hanno ufficialmente smentito qualsiasi contatto e affermato di essere all'oscuro di questi incontri. Tuttavia, fonti della Casa Bianca hanno confermato gli incontri e rivelato che il vice-presidente Cheney veniva regolarmente aggiornato dei progressi e la funzionari della CIA hanno preso parte a molti degli incontri.

La questione siriana in Israele è estremamente controversa, in particolar modo ora che il sistema militare e istituzionale attraversa una profonda crisi. Pochi giorni fa, il ciclone montante sulle responsabilità nella disastrosa ultima guerra in Libano ha fatto la sua prima vittima illustre: il capo di stato maggiore Dan Halutz si è dimesso, dopo essere stato completamente sfiduciato dall'opinione pubblica e dai suoi stessi sottoposti. Dalla fine della guerra in Libano in Agosto, non passa settimana senza che qualche generale o ministro parli di un'inevitabile guerra estiva con la Siria e di continue esercitazioni per un'eventuale attacco siriano. Nell'orizzonte militare israeliano le alture del Golan, occupate nel 1967, sono considerate il cardine della difesa israeliana del confine settentrionale, data la loro particolare posizione strategica. La soluzione del conflitto con la Siria dipenderà dunque dalla volontà politica israeliana di raggiungere un accordo e un primo segnale in questa direzione sarà la scelta del nuovo capo di stato maggiore da parte del governo. Tuttavia, al momento sembra difficile che Olmert e Peretz, a picco nei sondaggi e minacciati da inchieste giudiziarie il primo e dalle primarie del Labor il secondo, abbiano la forza e soprattutto la volontà di imbarcarsi in questa impresa. In particolare, il governo sembra essere sempre più succube dei coloni (la loro presenza anche sul Golan è cospicua) e della destra in ascesa nei consensi. Tanto che, invece di parlare di ritiro dal Golan, il partito del Likud ha ora proposto l'annessione ufficiale della valle del Giordano, parte dei Territori Occupati, in quanto “zona di difesa strategica dalle aggressioni dei paesi arabi”.

È probabile che i rapporti tra Siria e Israele rimarranno congelati in questo limbo belligerante fino a che l'amministrazione americana non deciderà quale nuovo corso adottare per la soluzione della crisi irachena. La proposta di Bush di rinforzo del contingente militare in Iraq, con la spedizione di altri ventimila marines, è avversata dal Congresso democratico e persino da una minoranza repubblicana: al momento sembra quindi che gli Stati Uniti si trovino in una situazione di completa impasse, la cui soluzione determinerà in un senso (inizio di negoziati) o nell'altro (un'ennesimo attacco israeliano) il conflitto tra Siria e Israele e, di conseguenza, la fisionomia del Medioriente negli anni a venire.

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