Arkadij Babchenko, giornalista russo che sarebbe stato ucciso “crivellato da proiettili”, come scriveva ieri La Repubblica, è vivo, è a Kiev e gode ottima salute. Della sua morte, annunciata in una conferenza-stampa dalla moglie, era stata accusata la Russia e con sprezzo del ridicolo il Premier ucraino, Volodymyr Groysman, aveva commentato: "Sono sicuro che la macchina del totalitarismo russo non gli ha perdonato la sua onestà e le sue posizioni di principio". Tanto onesto dal mentire, tanto di principi da scappare.

 

 

Insomma la sua morte era un depistaggio ucraino a fini propagandistici. Depistaggio, definito ora “necessario per salvargli la vita”, ma questa appare come una balla di egual peso di quella della sua morte, un tentativo patetico di chi cerca di trasformare una figuraccia in un figurone grazie alla complicità dei media che corrono a diffondere il verbo.

 

E’ il secondo miracolo che la Nato compie in poco tempo, visto che anche un altro “morto eccellente”, l’ex spia russa passato agli inglesi, Serghej Skripal, dopo essere stato avvelenato con il gas si trova in buona salute e passeggia per Londra accompagnato dalla figlia. Un caso rarissimo di persona guarita dopo aver subito un attacco con gas nervino? O l’avvelenamento era solo politico-propagandistico? Siamo sicuri che sia mai avvenuto?

 

Nel caso di Babchenko, giornalista con scarso seguito e ancor meno credibilità, non si capisce quale interesse avrebbe avuto la Russia ad intervenire e, infatti, non l’ha fatto. In quello di Skripal, che si è rivelato molto peggiore per le conseguenza politico-diplomatiche che ha generato, è ancora peggio. Benché infatti non vi sia stata nemmeno una sola prova del suo coinvolgimento diretto o indiretto nel suo avvelenamento, la Russia è stata accusata apertamente, persino con un linguaggio volgare, inconsueto nella diplomazia. La propaganda britannica si è trincerata dietro funambolici motivi di “sicurezza nazionale”, scusa per non dover dimostrare le accuse che lanciava.

 

Tutto lo svolgersi dell’operazione era ammantato da una cappa di incredulità generale e quei pochi che tentarono di porre domande non pilotate venivano trattati come collaborazionisti dei russi. Eppure, che quanto raccontavano gli spioni inglesi non fosse vero lo si capiva anche solo con il classico cui prodest? Infatti, quale interesse avrebbe avuto Mosca nel colpire a tanti anni di distanza un uomo innocuo e che, tutto sommato, non aveva recato particolari danni? E perché mai avrebbe dovuto colpirlo in modo da far ricondurre a sé la responsabilità? E infine: perché avrebbe dovuto avvelenare un suo ex agente con il quale aveva mantenuto rapporti, al punto che la figlia andava e veniva dalla Russia senza problema alcuno?

 

L’ipotesi di una collaborazione di Skripal alla montatura mediatico-politica era stata considerata, ma anche un’altra si era fatta strada: in ambienti dell’intelligence internazionale si suggeriva che, pur con funzioni ed ambiti diversi, forse Skripal aveva ricominciato a collaborare con i servizi russi e che sia stato proprio questo il motivo dell’attacco. Entrambe presentano interrogativi difficili da sciogliere senza avere accesso a informazioni dirette, ma certo è che l’operazione ha rappresentato l’occasione per costruire a tavolino una operazione anti-russa, che ha determinato una crisi diplomatica dalle dimensioni molto serie, tra le maggiori dal dopoguerra ad oggi ed un ulteriore aggravamento delle sanzioni economiche a danno dei cittadini russi in territorio europeo.

 

Lo scopo? Peggiorare rapidamente e in profondità i rapporti con Mosca, così come richiesto dagli Stati Uniti. A Washington, infatti, un ulteriore giro di vite contro Putin era necessario, visto l’approssimarsi della decisione sul prorogare o rivedere le sanzioni antirusse; le titubanze italiane, francesi e tedesche mettevano a rischio la proroga delle stesse, invero così importanti per gli interessi energetici e geopolitici statunitensi.

 

Londra, dal canto suo, aveva tutti i vantaggi nel proporsi come vittima di un attacco chimico sul suo territorio, dato che questo avrebbe prodotto l’immediata mobilitazione dell’intera Nato e la convinta solidarietà dell’Unione Europea, che si sarebbe concretamente misurata anche nell’ammorbidimento delle procedure relative alla Brexit, che sono davvero molto più pesanti di quanto Londra aveva stimato.

 

C’è poi un’altra domanda da porsi: oggi che appare evidente come Skripal non sia stato avvelenato e men che mai dai russi, dove sono i columnist e i resocontisti che hanno innaffiato d’inchiostro le rispettive pagine raccontando del crimine russo? Sono avvolti dal più impenetrabile dei silenzi, come i loro colleghi che raccontavano scene drammatiche di bombardamenti chimici in Siria da parte dell’esercito utili a far partire missili contro Damasco, salvo poi scoprire che quei bombardamenti chimici non c’erano mai stati.

 

Tra non molto tempo verrà alla luce anche la menzogna del premier israeliano Netanyahu, che ha denunciato la ripresa del processo di armamento nucleare dell’Iran in tempo utile per far uscire gli USA dall’accordo. Sono false le affermazioni di Netanyahu, come erano false quelle sui bombardamenti chimici in Siria, come erano false quelle sul presunto attentato a Skripal e sull’assassinio di Babchenko.

 

Il dubbio è che quanto raccontato su Skripal non sia mai successo, ma che si sia trattato solo di una gigantesca manipolazione mediatica a scopi politico-propagandistici, con l’obiettivo di demonizzare la Russia e ricompattare un fronte occidentale segnato dalle sue contraddizioni interne derivanti dal conflitto tra il posizionamento politico delle sue istituzioni e gli interessi dei rispettivi paesi.

 

Niente di cui stupirsi: anche così si combatte per l’egemonia statunitense nell’economia internazionale, con una sequenza infinita di menzogne destinate a provocare un sentiment negativo e anti russo, allo scopo di rendere problematici gli scambi commerciali e la collaborazione politica tra Russia, Cina ed Unione Europea. Dove il climax negativo non fosse sufficiente, si costruiscono embarghi e sanzioni. Lo si fà sia per stroncare l’espansionismo economico russo-cinese che per impedire all’Europa di diversificare il suo approvvigionamento energetico utilizzando anche le leve di Russia e Iran. Ad un altro livello si costruiscono provocazioni come lo stanziamento di missili e uomini al confine con la Russia, allo scopo di ottenere la sua reazione e poter dunque, in seguito, imporre sanzioni per limitare i possibili scambi.

 

Un insieme di fake news con le quali la guerra non convenzionale della disinformazione corre parallelamente a quella del riarmo. La posta in gioco è il dominio statunitense sul mondo attraverso la sua definitiva militarizzazione, la creazione di vantaggi commerciali per Washington con ogni mezzo per garantire il controllo sui mercati e sulle risorse primarie.

 

Ma le operazioni di disinformazione, tecnica di guerra del terzo millennio, in fondo non stupiscono; sconcerta semmai la fine del giornalismo cui si accennava precedentemente. Sintomatico, in questo quadro, l’aderire senza indugi da parte delle redazioni internazionali dei grandi media, dove ormai articoli e presunte inchieste vengono redatti sulla base delle veline fornite dall’impero. Contro i non allineati al comando unipolare si aprono le bocche di fuoco: Russia, Cina, Iran, Siria, Venezuela, Nicaragua, Cuba ed altri ancora sono i paesi sui quali la scure delle menzogne cala senza pietà da mani che colpiscono tastiere senza decenza.

 

Si è persa la capacità di esercitare la professione giornalistica, il dubitare delle verità ufficiali, il porre domande impertinenti ed esibire le incongruenze, lo scrivere sulla base dei riscontri oggettivi e non su quella dell’uniformità corale imposta dal sistema. Il tutto con uno scambio immondo (per quanto umanamente comprensibile) che vede nel perdere la faccia l’unica via per non perdere il lavoro.

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