Il voto di venerdì scorso nel referendum sulla legalizzazione dell’aborto a Dublino lascerà, nei prossimi mesi, le sei contee nordirlandesi l’unico territorio tra Gran Bretagna e isola d’Irlanda dove continuerà a non essere consentita l’interruzione di gravidanza volontaria.

 

Questa anomalia rischia di trasformarsi in un nuovo grattacapo per il governo di Londra, visto che le richieste già spuntate per estendere il diritto all’aborto nell’Ulster si scontrano con le posizioni ultra-conservatrici degli unionisti nordirlandesi, sul cui sostegno si fonda il gabinetto del primo ministro Theresa May.

 

 

La crisi in cui si dibatte il governo conservatore è già particolarmente acuta per varie ragioni, a cominciare dalle divisioni e dalle scosse prodotte dal processo legato alla “Brexit”, fino ai riflessi dell’indebolimento del partito di maggioranza seguito alle elezioni dello scorso anno.

 

Alla luce della fragilità della posizione della May, la questione dell’aborto in Irlanda del Nord sembra già essere diventato il nuovo fronte su cui potrebbero consumarsi gli attacchi al governo, sia da parte dell’opposizione sia dall’interno del Partito Conservatore, se non, addirittura, dello stesso esecutivo.

 

Il governo May, dopo avere perso la maggioranza assoluta in Parlamento lo scorso mese di giugno, ha potuto rimanere in carica solo grazie a un accordo con i dieci membri della Camera dei Comuni del Partito Democratico Unionista (DUP) nordirlandese, il quale è anche la formazione con il maggior numero di seggi nell’assemblea locale di Belfast.

 

In previsione degli effetti del risultato del referendum irlandese e per cercare di spegnere sul nascere le iniziative già in preparazione a Londra, la leader del DUP, Arlene Foster, ha subito chiarito che l’aborto è una questione che rientra tra quelle trasferite alla competenza del governo nordirlandese e, di conseguenza, qualsiasi azione in merito dovrà essere “discussa e decisa” dall’assemblea di Belfast.

 

La Foster ha aggiunto che la consultazione tenuta oltre il confine meridionale “non ha alcun impatto sull’Irlanda del Nord”. A Dublino, inoltre, il referendum è stato organizzato perché l’aborto è proibito da un emendamento costituzionale, mentre in Irlanda del Nord il divieto dipende da una legge che, appunto, rientra nella sfera delle competenze “devolute” al parlamento di Belfast.

 

Per quanto riguarda infine la posizione del suo partito, la leader unionista ha ribadito che il DUP rimane attestato su posizioni fermamente “pro-life”. L’argomento è stato definito “sensibile” e il messaggio inviato a Londra è chiaramente quello di evitare qualsiasi iniziativa sul modello irlandese per non andare incontro a una possibile crisi di governo.

 

I giornali inglesi hanno comunque già raccontato di un movimento trasversale nel parlamento di Londra per portare in aula un testo di legge che legalizzi l’interruzione volontaria di gravidanza entro il terzo mese anche in Irlanda del Nord. Qui, come fino ad ora nella Repubblica d’Irlanda, l’aborto è consentito solo nei casi in cui è a rischio la vita o la salute mentale della donna.

 

Secondo la parlamentare laburista, Stella Creasy, circa 130 suoi colleghi avrebbero già espresso il loro appoggio alla presentazione di una legge che cancelli il divieto dell’aborto anche in Irlanda del Nord. La misura potrebbe essere introdotta sotto forma di emendamento a una legge sugli Abusi Domestici in fase di discussione.

Essendo la sua stessa sopravvivenza in gioco, il governo di Theresa May ha prevedibilmente ricalcato le posizioni degli alleati del DUP. Secondo il quotidiano The Independent, Downing Street intende cioè “resistere alle richieste di cambiamento della legge” sull’aborto e lasciare che a decidere sulla questione siano i leader nordirlandesi.

 

La stessa fonte governativa ha anche sollecitato una risoluzione in tempi brevi della crisi dell’accordo per la condivisione del potere tra indipendentisti e unionisti a Belfast, esplosa più di un anno fa e sfociata nell’assunzione diretta da parte di Londra delle funzioni di governo sulle province nordirlandesi.

 

La situazione di stallo rischia infatti di aumentare le pressioni su Londra, poiché il governo May sta prendendo tutte le decisioni importanti relative agli affari dell’Irlanda del Nord dal gennaio 2017 e potrebbe in teoria cambiare unilateralmente anche la legge sul divieto dell’interruzione di gravidanza.

 

Il Partito Laburista e quello Liberal Democratico hanno già chiesto alla premier di agire in questo senso, ben sapendo che il provvedimento sull’aborto potrebbe causare il ritiro della fiducia del DUP e far cadere un governo già in affanno sulla “Brexit”. Sul fronte opposto, gli stessi richiami di sezioni del Partito Conservatore a rispettare l’autonomia nordirlandese sono dettati in larga misura dalle preoccupazioni per le conseguenze politiche di un’iniziativa a favore dell’aborto in Irlanda del Nord.

 

Il problema per Downing Street non è in ogni caso di facile soluzione. Come già anticipato, sia esponenti di spicco del Partito Conservatore sia alcuni membri dello stesso governo May sarebbero favorevoli all’estensione del diritto all’aborto volontario a tutto il territorio del Regno Unito. Queste posizioni, non è da escludere, possono essere legate ai tentativi di delegittimare o fare pressioni sul primo ministro nel quadro delle manovre in atto per attenuare gli effetti della “Brexit” o per impedire del tutto l’uscita di Londra dall’Unione Europea.

 

Tra i membri del gabinetto May che già si sono detti disponibili ad appoggiare un intervento sulla legislazione nordirlandese relativa all’aborto ci sono il ministro per lo Sviluppo Internazionale, Penny Mordaunt, e quello dell’Educazione, Anne Milton. Per queste ultime e per altri leader conservatori è necessario portare la questione in Parlamento senza che il partito dia alcuna indicazione di voto.

 

Oltre allo scontro interno alla classe dirigente britannica sulla “Brexit”, la polemica che rischia di investire Theresa May attorno alla questione dell’accesso all’aborto in Irlanda del Nord è da collegare anche agli sforzi per restituire una qualche legittimità al Partito Conservatore. Visto sempre più come strumento di classe per l’imposizione di devastanti misure di austerity, il partito di governo britannico, o almeno una parte di esso, punta cioè a rimodellarsi come forza “liberale” sui temi sociali, come l’aborto o i matrimoni gay.

 

Una strategia che strizza l’occhio alle fasce più giovani della popolazione e che mira soprattutto a intercettare l’elettorato riconducibile a una borghesia urbana medio-alta con tendenze “progressiste” su questioni di questo genere, ma che ha pochi scrupoli circa gli eccessi del capitalismo ultra-liberista e le politiche finanziarie di rigore e di impoverimento di massa.

 

Questo stesso processo è stato in sostanza alla base anche del referendum nella Repubblica d’Irlanda, appoggiato tra gli altri dal primo ministro dichiaratamente omosessuale, Leo Varadkar, del partito di centro-destra Fine Gael. Malgrado l’immagine di apertura e modernità derivante dalla legalizzazione dell’aborto, il suo governo e il suo partito, come quello Conservatore di Londra, sono responsabili di politiche economiche rovinose che, dopo la crisi del 2008, hanno colpito invariabilmente e in maniera pesantissima le classi più deboli della società irlandese.

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