di Sara Nicoli

Saddam Hussein è stato impiccato all'alba, quando a Baghdad erano le 6 del mattino (le 4 in Italia), all’interno di uno dei centri utilizzati dal deposto regime per torturare i dissidenti. È stata la televisione di stato “Al Iraqiya” la prima a dare la notizia e, poco dopo, ha trasmesso le macabre immagini dell’impiccagione “perché il popolo - ha detto uno speaker in diretta - non abbia più dubbi sulla fine del tiranno”. “E' stato rapido, è morto subito”, aveva già raccontato uno dei funzionari iracheni presenti all’esecuzione. Saddam aveva il volto scoperto e appariva calmo. Il consigliere per la sicurezza nazionale Moaffaq al-Rouba ha tenuto a precisare che il condannato aveva le mani legate ed era vestito con i soliti abiti di sempre, pantaloni e giacca nera, camicia bianca. “Saddam è montato con calma sulla forca, appariva deciso e coraggioso” ha ancora detto al Roubai, aggiungendo: “Ad un certo punto Saddam ha girato la testa verso di me come per dirmi “non ho paura”. E' stata una sensazione strana”. Le ultime parole di Saddam Hussein sul patibolo sono state un monito agli iracheni. “Spero che siate uniti e vi esorto a non credere a un’alleanza con l’Iran, perchè gli iraniani sono pericolosi. Io non ho paura di nessuno”. Il riferimento all’Iran è stata lultima bordata dell’ex rais alla coalizione a maggioranza sciita guidata dal premier Nuri al-Maliki, che molti sunniti accusano di essere strumento dell’Iran. Parole che sono state ascoltate da sette testimoni presenti all’esecuzione tra i quali, tuttavia, non c’era nessun funzionario Usa. Mentre Saddam Hussein saliva sul patibolo per essere impiccato, il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, dormiva nella sua tenuta di Crawford, in Texas, dove festeggerà il Nuovo Anno. Era stato informato alle 18:15 di ieri che entro poche ore sarebbe stata eseguita la condanna a morte, ma al momento dell'esecuzione, il capo della Casa Bianca dormiva. “Se vi fosse stato qualche cambiamento di programma sarebbe stato svegliato - ha riferito il vice portavoce della Casa Bianca Scott Stanzel - ma l’esecuzione è andata avanti come stabilito”. Appena sveglio, l’uomo la cui grottesca imperizia politica ha trasformato il nemico da tiranno a martire grazie ad un processo farsesco quanto inutile, ha voluto suggellare la sua, personalissima, vittoria con un discorso agghiacciante, che nei toni e nei contenuti dimostra drammaticamente quanto questa America di Bush sia contraria a tutti quei principi e valori di cui vorrebbe farsi rappresentante al resto del mondo.

“Oggi Saddam Hussein è stato giustiziato dopo essere stato sottoposto ad un processo equo - ha detto Bush - ossia quel tipo di giustizia negata alle vittime del suo brutale regime. Per Bush, dunque, la tragica morte di Saddam rappresenta “un atto di giustizia”, la conclusione di “un processo equo”. Falsità mostruose, ma con le quali Bush junior si è scrollato dalle spalle il peso della vicenda irakena rispetto a suo padre, agli sciiti e a quei sondaggi che, soprattutto oggi, danno il consenso intorno alla sua figura in costante, fragorosa picchiata.

La personalizzazione dei conflitti, che è sempre la forma preferita negli Stati Uniti per definire le guerre e per “venderle” meglio a un'opinione pubblica troppo concreta per concedere spazio alle astrazioni, aveva chiaramente assunto, in questo duello a distanza fra i Bush e Saddam, un carattere predominante, se non ossessivo. Anche per questo, di fronte alle ultime ore dell’agonia di un tiranno oggettivamente ripugnante, l’America, che vive una quotidianità lontana dalle agitazioni della politica, non appare particolarmente scossa dall’evento. In una nazione che sta riesaminando le procedure (ma non la sostanza morale) della forca, non può essere l’impiccagione di un personaggio descritto da un decennio come la incarnazione dell’anti Cristo a commuovere la gente in questa fine d’anno dove, invece, non si fermano le notizie di morte e di lutti dei giovani in guerra. La morte di Saddam, per gli americani, è dunque un atto banale, scontato, inutile, superato nel momento stesso in cui accade, un altro cadavere sopra la montagna di morti che si alimenta ogni giorno nel caos irakeno e di cui non si vede la fine. Il clan dei texani ha dunque avuto la vendetta che cercava dal ’91, ennesimo atto di miopia e di ottusità di questa presidenza americana quasi finita costituzionalmente e già morta politicamente. Una setta asserragliata nella Casa Bianca, ma ancora incapace di uscire da una ostinazione che spaccia ancora pubblicamente per “strategia politica”, come disse George Bush in uno dei suoi più celebri lapsus.

L’inutilità della morte di Saddam ha fatto gridare allo scandalo il mondo civile, quello che considera, giustamente, la pena di morte - anche del peggiore degli uomini - come una sconfitta dell’umanità intera. E a rendere ancora più grottesca l’intera vicenda c’è la consapevolezza che il personaggio Saddam Hussein aveva perso popolarità anche tra i sunniti iracheni, quelli che comunque oggi lo considerano responsabile del loro declino con l’ascesa degli sciiti al governo. A giudizio dei più attenti osservatori, nel mondo arabo sunnita in generale la democratizzazione del Medio Oriente, tanto celebrata dai neocon, non è riuscita a creare un modello alternativo: l’esecuzione di Saddam potrebbe invece trasformarlo in un martire e chiamare presto altre vendette. Per sciiti e curdi, invece, la morte di Saddam è un risultato atteso da molti anni dopo i crimini che ha commesso contro di loro; ma la sua messa in atto sembra una vendetta e non la giustizia, e ciò rischia di attizzare ancora una volta la “fitna”, la guerra dentro l'Islam tra le diverse comunità. La polveriera mediorientale, con la morte di Saddam, è più instabile che mai, non il contrario.

George W. Bush, però, ha avuto la “sua”, inutile, vittoria militare, quella che gli mancava e che ha pagato con la vita di 2.992 soldati uccisi, 42 mila feriti e 600 miliardi di dollari. Un prezzo di sangue enorme a cui ha voluto aggiungere l’ultima pietra tombale, la testa di Saddam. Adesso la sua vergogna è completa.


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