di Mario Lombardo

L’offensiva interna ai Laburisti britannici per colpire e costringere alle dimissioni il segretario, Jeremy Corbyn, ha ripreso vigore da qualche giorno a questa parte in seguito alla clamorosa sconfitta in un’elezione speciale per un seggio al Parlamento di Londra in un distretto considerato una roccaforte del partito.

Le manovre della destra del “Labour” sono state finalmente denunciate da uno degli storici alleati di Corbyn, il “cancelliere-ombra” John McDonnell, in un articolo apparso nel fine settimana sul sito web Labour Briefing. In questo sfogo, McDonnell ha parlato apertamente di un “golpe soft” in atto nei confronti del numero uno del partito, condotto da elementi interni e “dall’impero mediatico di [Rupert] Murdoch”.

Questa campagna anti-Corbyn sta andando in scena “dietro le quinte”, dal momento che i precedenti tentativi di attaccare direttamente e pubblicamente il leader Laburista si sono risolti in un boomerang. Infatti, l’opposizione interna a Corbyn è rappresentata da una galassia di parlamentari ed esponenti locali del partito legati in gran parte a Tony Blair e al cosiddetto “New Labour”, ovvero a un ex leader e a un progetto che suscitano ormai una profonda ostilità.

McDonnell ha affermato che il metodo preferito dai golpisti dentro al “Labour” è quello di generare una copertura mediatica sfavorevole a Jeremy Corbyn, distorcendo spesso le notizie relative a quest’ultimo in modo da dipingerlo come un leader debole alla guida di un partito lacerato dalle divisioni. Il Times e il Sun sarebbero in prima linea nella battaglia in corso contro Corbyn ed entrambe le testate sembra abbiano beneficiato di fughe di notizie tendenziose provenienti dagli oppositori del numero uno del partito.

L’articolo di McDonnell, con ogni probabilità concordato con lo stesso Corbyn, è apparso decisamente insolito, visto l’atteggiamento fin troppo conciliante che ha sempre caratterizzato le risposte del segretario e dei suoi fedelissimi alle iniziative dei complottisti nel partito.

Per questa ragione, non è stata una sorpresa la relativa marcia indietro fatta da un portavoce di John McDonnell il giorno dopo la pubblicazione on-line dell’articolo. Il commento sarebbe stato cioè scritto più di una settimana prima come reazione a un intervento di Tony Blair diretto contro la leadership di Corbyn e, presumibilmente, non rappresentava il pensiero più recente di McDonnell. Alla parziale rettifica delle tesi sostenute sul sito Labour Briefing si è accompagnato inoltre il solito patetico appello all’unità del partito.

La nuova occasione sfruttata dalla destra Laburista per attaccare Corbyn era giunta dopo il voto, tenuto in due distretti elettorali, per la sostituzione di altrettanti deputati del partito che avevano deciso di dimettersi. Sia a Copeland, nella contea di Cumbria, che a Stoke-on-Trent, nello Staffordshire, il “Labour” aveva dominato per decenni, ma in molti davano i suoi candidati in serio pericolo.

A Stoke, tuttavia, i Laburisti sono riusciti a conservare il proprio seggio, distanziando il candidato di estrema destra del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP) di oltre 12 punti percentuali nonostante un certo calo dei consensi. A Copeland, invece, il successo è andato ai Conservatori, con il “Labour” che si è fermato al secondo posto.

Qui, i Laburisti hanno arrestato l’avanzata dell’UKIP, accreditato da molti alla vigilia come favorito per la conquista di un seggio in Parlamento, poiché il referendum sulla “Brexit” dello scorso anno aveva fatto segnare numeri altissimi a favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Il seggio di Copeland era stato occupato però da un esponente Laburista fin dal 1950, così che la sconfitta è stata subito seguita da una valanga di polemiche nei confronti di Corbyn.

Contro lo stesso leader si sono scagliati gli oppositori interni anche in seguito alla sua decisione di non partecipare alla riunione settimanale dei membri del Parlamento Laburisti subito dopo il voto. Uno di questi ultimi, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano The Independent, ha addirittura definito l’assenza di Corbyn come un atto di “totale negligenza” nei confronti del partito.

Corbyn, da parte sua, aveva parlato in precedenza nel corso di una conferenza del Partito Laburista scozzese, accettando la sua parte di responsabilità nella sconfitta a Copeland, mentre si era scusato con i parlamentari del partito per l’impossibilità di partecipare a una riunione che, peraltro, non lo vede presente tutte le settimane.

La leadership Laburista ha dovuto anche smentire pseudo-rivelazioni di alcuni giornali britannici che avevano dato Corbyn sull’orlo delle dimissioni dopo la sconfitta elettorale di settimana scorsa. Svariate testate, sia schierate a destra, come ad esempio il Daily Telegraph, che a “sinistra”, come il Guardian, hanno poi pubblicato commenti nei quali si invitava Corbyn a prendere atto della sua gestione fallimentare e, quindi, a farsi da parte il prima possibile.

A partire dalla sua elezione a leader dei Laburisti nel 2015, Jeremy Corbyn è stato al centro di attacchi e trame golpiste che hanno visto protagonisti gli esponenti della destra interna, in maggioranza nel partito ma profondamente impopolari tra l’elettorato di riferimento.

Le centinaia di miglia di iscritti e simpatizzanti che avevano appoggiato la candidatura di Corbyn erano stati attratti dalla sua agenda nominalmente progressista, lontana anni luce – quanto meno a livello ufficiale – dalla direzione neo-liberista data al partito dalla gestione Blair.

Dopo il voto sulla “Brexit”, Corbyn era stato poi accusato di non essersi impegnato abbastanza per la permanenza di Londra nell’UE e l’esito del referendum era stato sfruttato ancora una volta dai suoi oppositori interni per spingerlo alle dimissioni. Corbyn aveva però resistito e la nuova consultazione per la leadership Laburista nel 2016 aveva restituito lo stesso risultato dell’anno precedente. Anzi, Corbyn aveva raccolto una percentuale di consensi ancora maggiore rispetto alla prima elezione, a conferma dell’ostilità popolare verso la destra Laburista e le trame golpiste dei suoi esponenti.

Le tensioni interne al “Labour” e la continua situazione precaria della leadership sono però dovute in buona parte proprio allo stesso Corbyn e a un atteggiamento eccessivamente accomodante che ha finito per incoraggiare gli attacchi nei suoi confronti.

Di fronte a un’offensiva durissima, condotta con l’appoggio dei principali media britannici, Corbyn e i suoi uomini hanno continuato a manifestare aperture alla destra “blairita”, mettendo l’unità del partito davanti alla volontà dei propri elettori e al perseguimento di politiche anche solo moderatamente progressiste.

Lo scontro interno alla classe dirigente d’oltremanica sulla “Brexit” e i termini dell’uscita dall’Unione Europea hanno poi ulteriormente inasprito la battaglia nel “Labour”, così che l’opposizione anti-Corbyn ha moltiplicato gli sforzi per operare un cambio ai vertici del partito con ogni mezzo.

La sconfitta dei Laburisti nell’elezione speciale della settimana scorsa ha infine consolidato la determinazione dei golpisti, disposti anche ad affondare il proprio partito, e favorire ancor più l’ascesa dell’estrema destra, pur di evitare che quest’ultimo possa tornare a rappresentare anche solo l’illusione di una formazione politica aperta agli interessi dei lavoratori e della classe media britannica.

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