di Mario Lombardo

Questa settimana, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato il via alle udienze su un caso, relativo all’assassinio di un giovane cittadino messicano disarmato per mano di un agente dell’immigrazione americana, che potrebbe avere profonde implicazioni sia sulle avventure belliche USA all’estero sia sulle iniziative anti-migranti dell’amministrazione Trump.

La vicenda al centro della discussione risale al 7 giugno del 2010, quando l’agente della Polizia di Frontiera di El Paso, in Texas, Jesus Mesa, dal territorio americano sparò fatalmente alla testa al 15enne Sergio Hernandez Guereca, il quale si trovava invece oltre il confine con il Messico, a Ciudad Juarez.

La ricostruzione dei fatti varia parzialmente a seconda della versione fornita dalle parti in causa. L’agente americano non ha negato di avere ucciso il ragazzo messicano, ma sostiene che Hernandez e altre persone che erano con lui stavano lanciando pietre verso la frontiera. Inoltre, in quel momento era in corso un tentativo di attraversare il confine verso gli Stati Uniti da parte di un gruppo di messicani, tra cui figurava la stessa vittima.

Per Mesa, inoltre, Sergio Hernandez non era del tutto innocente come vorrebbero far credere i suoi familiari. Il 15enne sarebbe stato arrestato due volte per il suo coinvolgimento nel traffico di migranti ed entrambe le volte rimpatriato “volontariamente”, vista la sua giovane età.

Filmati ripresi da telefoni cellulari hanno però smentito la versione dell’agente americano. In quel giorno di giugno non sembra esserci stato nessun lancio di pietre all’indirizzo delle guardie di frontiera americane. Sergio Hernandez, come sostengono i genitori, stava piuttosto giocando con alcuni amici, sfidandoli a correre in direzione degli Stati Uniti, toccare la struttura che segna il confine con il Messico e tornare al luogo di partenza.

A un certo punto, l’agente Mesa aveva afferrato uno dei giovani per poi sparare a Hernandez, il quale stava cercando riparo dietro un pilastro di cemento nella zona di confine. La giovane vittima, in sostanza, non rappresentava alcuna minaccia per il poliziotto di frontiera americano.

L’uccisione di Sergio Hernandez non è affatto un caso isolato, ma si inserisce in un sistema di violenze che contraddistingue la condotta di decine di migliaia di agenti USA che operano al confine tra il loro paese e il Messico e sul quale l’amministrazione Trump intende basare la propria escalation contro l’immigrazione “clandestina”.

I metodi degli agenti americani sono stati documentati da varie indagini negli ultimi anni. Una delle più note fu quella pubblicata nel 2013 dal giornale Arizona Republic. In essa veniva descritto come la polizia di frontiera americana aveva ucciso almeno 42 persone negli otto anni precedenti. Un’altra ricerca, uscita lo stesso anno sulla rivista Washington Monthly, aveva invece documentato, tra il 2008 e il 2013, almeno una decina di episodi in cui le guardie di frontiera americane avevano sparato oltre il confine meridionale, facendo un totale di sei vittime in territorio messicano. Il dato comune a tutti questi episodi è la completa immunità garantita agli agenti responsabili degli omicidi.

Per quanto riguarda il caso di Sergio Hernandez, l’amministrazione Obama si era rifiutata sia di incriminare il suo assassino sia di accogliere la richiesta di estradizione presentata dalla giustizia messicana. L’indagine a carico dell’agente Mesa venne chiusa nel 2012 senza alcun provvedimento. Per il governo USA, il ricorso alla violenza era stato insomma giustificato.

I legali dei familiari del giovane messicano avevano allora avviato un procedimento civile in un tribunale federale negli Stati Uniti per ottenere almeno un risarcimento. Secondo il giudice distrettuale del Texas incaricato del caso, tuttavia, i genitori non avevano “legittimità legale” per presentare denuncia, poiché Hernandez non era un cittadino americano ed era stato ucciso in territorio messicano. Per queste ragioni, alla vittima non erano riconosciuti i diritti previsti dalla costituzione degli Stati Uniti.

In Appello, un collegio di tre giudici aveva ribaltato la sentenza di primo grado, sostenendo che i genitori di Hernandez avevano almeno la facoltà di procedere con la loro denuncia. L’intera corte d’Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti avrebbe però in seguito riaffermato il giudizio iniziale, finché il caso non è finito alla Corte Suprema per un verdetto definitivo che è atteso nel prossimo mese di giugno.

Per i genitori di Hernandez, i diritti costituzionali americani vanno applicati anche alla vicenda del loro figlio. In particolare, l’assassinio per mano di Jesus Mesa avrebbe violato il Quarto e il Quinto Emendamento della Costituzione USA. Il primo mette al riparo dall’uso di “forza eccessiva” da parte delle autorità, mentre il secondo proibisce esecuzioni sommarie e garantisce un “giusto processo” a chiunque, senza distinzioni in base alla nazionalità.

L’amministrazione Trump si è ovviamente schierata dalla parte dell’agente di frontiera, chiedendo l’archiviazione del caso. Il governo messicano partecipa invece al procedimento a fianco dei familiari della vittima. In una dichiarazione presentata dalle autorità di questo paese viene correttamente evidenziato come, a parti invertite, il governo USA avrebbe fatto senza dubbio enormi pressioni per ottenere giustizia.

Uno dei legali della famiglia Hernandez, nel corso della prima audizione alla Corte Suprema, ha avvertito che un’eventuale sentenza contraria ai propri assistiti rischierebbe di “creare una terra di nessuno” nelle aree di confine, ovvero “una zona esclusa dall’applicazione della legge nella quale gli agenti americani hanno facoltà di uccidere i civili impunemente”. Per l’avvocato, perciò, la Corte dovrebbe affermare che “il nostro confine non è un interruttore attraverso il quale si possono assicurare o negare le protezioni fondamentali previste dalla Costituzione”.

Gli orientamenti dei giudici della Corte Suprema emersi finora sembrano riflettere le divisioni ideologiche che li caratterizzano. I quattro giudici conservatori o ultra-conservatori sentenzieranno con ogni probabilità a favore del governo, mentre i moderati potrebbero favorire la famiglia Hernandez. Un verdetto di 4-4 lascerebbe comunque invariata l’ultima decisione d’Appello, così che l’agente Mesa verrebbe definitivamente scagionato.

La Corte Suprema americana opera con solo otto membri invece dei nove previsti da oltre un anno, a partire cioè dalla morte del gudice ultra-reazionario Antonin Scalia. Il candidato al posto di quest’ultimo scelto da Obama non era stato nemmeno preso in considerazione per la conferma da parte della maggioranza Repubblicana al Senato, vista la vicinanza delle elezioni presidenziali. Trump, dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ha nominato il giudice federale Neil Gorsuch, il quale, nel caso fosse confermato in tempo dal Senato, garantirà quasi certamente un voto in più ai conservatori che appaiono orientati a respingere l’istanza della famiglia messicana.

Il caso “Hernandez contro Mesa” ha comunque implicazioni che vanno al di là dell’assassinio di un innocente di 15 anni da parte di un rappresentante del governo americano. In particolare, un’eventuale decisione a favore dei genitori del giovane potrebbe avere conseguenze sul comportamento all’estero dei militari e dei cittadini USA in genere.

Visti gli innumerevoli crimini commessi nei molti paesi invasi, occupati o semplicemente devastati da operazioni come quelle condotte con i droni, il riconoscimento alle vittime della violenza americana all’estero del diritto di denunciare i responsabili in un tribunale degli Stati Uniti rischia di aprire una valanga di procedimenti. Questo timore è stato espresso più o meno chiaramente nel corso della prima udienza da vari giudici della Corte Suprema e non solo tra quelli conservatori.

La vicenda Mesa-Hernandez avrà conseguenze anche sulle politiche anti-migratorie dell’amministrazione Trump in fase di elaborazione. Una sentenza contraria alla vittima rafforzerebbe ad esempio il senso di impunità degli agenti federali incaricati dell’implementazione delle nuove brutali misure.

Allo stesso tempo, un esito simile potrebbe anche favorire il percorso nei tribunali americani delle nuove leggi contro gli immigrati. La sostanziale impossibilità dei tribunali di contraddire il giudizio del governo sulle questioni migratorie è infatti la tesi sostenuta dai legali del dipartimento di Giustizia nella difesa dei discussi provvedimenti discriminatori adottati nelle scorse settimane dal neo-presidente Trump.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy