di Mario Lombardo

Con il lancio delle campagne elettorali di tre probabili protagonisti delle elezioni presidenziali francesi, in programma tra i mesi di aprile e maggio prossimi, la corsa alla successione a François Hollande all’Eliseo è di fatto partita ufficialmente lo scorso fine settimana. L’estrema impopolarità del presidente uscente, i riflessi dell’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, il discredito dei tradizionali partiti borghesi e la quasi totale assenza di un candidato in grado di rappresentare lavoratori e classe media rendono l’atmosfera esplosiva, con la concreta possibilità che a beneficiarne sia uno degli “outsider”, a cominciare dalla numero uno del Fronte Nazionale (FN), Marine Le Pen.

La candidata di estrema destra ha chiuso domenica una due giorni del suo partito a Lione, durante la quale aveva denunciato le “tirannie” della globalizzazione, dell’Unione Europea e del fondamentalismo islamico. Ricorrendo alla consueta strategia populista della destra estrema e sfruttando il vuoto quasi totale a sinistra, la Le Pen è stata in grado di proporsi come l’unico candidato “del popolo”.

Nel suo discorso ha poi evitato accuratamente qualsiasi analisi di classe della realtà economica e sociale odierna in Francia, per presentare un quadro profondamente fuorviante caratterizzato, a suo dire, da una “divisione non più tra destra e sinistra”, cioè tra diversi interessi di classe, bensì “tra patriottismo e globalizzazione”.

Le difficoltà dei francesi comuni, per la Le Pen, sarebbero perciò dovute al fatto che essi “sono stati privati del loro patriottismo” e soffrono dunque “in silenzio perché non è permesso loro di amare il proprio paese”. I toni apocalittici di una Francia che ha perso la propria libertà e identità di fronte all’offensiva dell’Islam e del capitalismo internazionale, ma non di quello indigeno, serve in sostanza a dirottare in senso ultra-nazionalista e xenofobo le frustrazioni più che legittime di decine di milioni di francesi abbandonati dalla sinistra.

In uno scenario dominato da austerity, precarietà e disoccupazione, nonché da un Partito Socialista che ha fatto registrare un’ulteriore drammatica deriva neo-liberista durante il mandato di Hollande, la piattaforma del “Front National”, che include misure come l’abbassamento dell’età pensionabile, l’aumento della spesa per il welfare o l’accesso gratuito all’educazione per i francesi non può che incontrare un certo consenso. Lo stesso vale anche per l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea, in cima al programma politico della Le Pen.

I sondaggi di opinione più recenti in Francia danno Marine Le Pen come probabile vincitrice del primo turno delle presidenziali, davanti all’ex banchiere ed ex ministro Socialista ora “indipendente”, Emmanuel Macron, largamente in vantaggio invece in un ipotetico ballottaggio. Anche Macron ha inaugurato ufficialmente la sua campagna a Lione nel corso del fine settimana.

Dopo avere abbandonato il Partito Socialista (PS) la scorsa estate, il 39enne Macron aveva lanciato la propria candidatura all’Eliseo sfruttando la sua immagine di giovane vincente, modernizzatore e progressista sulle questioni sociali, in modo da mascherare un impopolare progetto ultra-liberista in ambito economico.

I suoi riferimenti sono l’alta borghesia francese che vede con orrore l’approdo di Trump alla Casa Bianca e che, per salvaguardare i propri interessi, auspica il mantenimento del ruolo strategico della NATO, la sopravvivenza dell’UE e il rilancio della partnership con Washington e Berlino. A favore della sua candidatura si sono inoltre già espressi in molti in un PS a rischio spaccatura, soprattutto tra coloro che, nella destra di questo partito, ritengono di dover reagire alla crisi che sta attraversando liberandosi anche formalmente della retorica e dell’immagine esteriore progressista per abbracciare senza riserve i “valori” del mercato.

Comprensibilmente, sul fronte economico Macron ha finora evitato di entrare nei particolari del suo programma, mentre in politica estera ha ricalcato le posizioni della destra Socialista, basate sul militarismo e la demonizzazione di paesi come Russia o Iran.

I progressi di Macron evidenziati nelle ultime settimane dai sondaggi sono dovuti in primo luogo al tracollo del candidato della destra gollista del partito “Les Républicaines” (“I Repubblicani”), François Fillon. Dopo le primarie, l’ex primo ministro sembrava dover essere il favorito assoluto per l’Eliseo, ma un recente scandalo sembra essere sul punto di affondarne la candidatura.

Un giornale satirico francese aveva rivelato come la moglie di nazionalità britannica era stata pagata complessivamente circa un milione di euro per impieghi di assistente parlamentare che non avrebbe invece mai svolto. Negli ultimi giorni, il caso si è addirittura aggravato e i primi interrogatori dei coniugi hanno inoltre evidenziato varie contraddizioni.

Le voci all’interno de "I Repubblicani" che chiedono un passo indietro di Fillon iniziano ormai a farsi sentire, anche se quest’ultimo ha per ora escluso l’abbandono della corsa e ha anzi annunciato l’intenzione di rilanciare la sua campagna.

Se la vicenda in cui è invischiato Fillon è effettivamente grave, non si può evitare di far notare come essa sia emersa subito dopo una sua visita in Germania, durante la quale aveva rilasciato interviste ampiamente riportate in tutta Europa proponendo, tra l’altro, una sorta di asse tra Parigi, Berlino e Mosca in risposta alle tendenze ultra-nazionalistiche del neo presidente americano Trump.

Per quanto riguarda i candidati di “sinistra” all’Eliseo, quello del Partito Socialista, Benoît Hamon, sembra avere già perso anche la minuscola spinta del successo inaspettato nelle primarie sull’ex primo ministro, Manuel Valls. Hamon, appartenente alla “fronda” anti-Hollande del suo partito, dovrebbe contendere a Jean-Luc Mélenchon del Partito di Sinistra (PG) il quarto posto nel primo turno delle presidenziali.

Anche Mélenchon ha lanciato la sua campagna domenica scorsa apparendo in collegamento da Parigi a un evento organizzato a Lione. Pur attaccando le iniziative anti-sociali dei governi nominati dal presidente uscente, Mélenchon ha lasciato intendere di essere disponibile a un accordo elettorale con Hamon nel tentativo disperato di portare un candidato della “sinistra” francese al secondo turno.

La situazione a poche settimane dal voto resta dunque estremamente fluida, così da alimentare i timori di quanti temono un risultato che potrebbe avere conseguenze rovinose sulle già precarie istituzioni europee che hanno garantito la stabilità del capitalismo occidentale a partire dal secondo dopoguerra.

Scorrendo i giornali francesi e non solo, si ricava l’impressione che il fronte anti-Le Pen, che fino al recente passato aveva tenuto lontano dagli incarichi di potere che contano l’estrema destra neo-fascista, potrebbe non essere sufficiente in questa occasione. I sondaggi che indicano una comoda vittoria di Macron o Fillon su Marine Le Pen sembrano essere infatti poco confortanti, alla luce sia degli abbagli presi da simili rilevazioni in molte competizioni elettorali nei mesi scorsi sia della difficoltà nel prevedere la direzione che prenderà il massiccio voto di protesta.

Macron, Fillon o lo stesso Hamon, nel caso uno dei tre dovesse confrontarsi al secondo turno con la leader dell’FN, avrebbero tutti dei fortissimi handicap che potrebbero far pendere l’ago della bilancia a favore della candidata di estrema destra. Il primo, malgrado i favori della stampa e di buona parte della classe dirigente d’oltralpe, presenta grossi limiti di popolarità dovuti in primo luogo al suo passato di banchiere d’investimenti e a un’agenda economica di stampo liberista.

Fillon, da parte sua, è su posizioni simili se non ancora più estreme in ambito economico, mentre la vicenda dei compensi alla moglie continuerà a perseguitarlo, se pure dovesse riuscire a salvare la propria campagna elettorale.

Hamon, infine, anche nel caso si qualificasse miracolosamente per il secondo turno, sarà associato al super-impopolare Hollande e, ad ogni modo, molto difficilmente riuscirà a dirottare su di sé il voto degli elettori di destra e centro-destra che vedono oggi il Fronte Nazionale in una luce molto meno minacciosa rispetto a qualche anno fa.

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