di Michele Paris

Nel pieno delle primarie per le presidenziali, il mondo politico americano è stato scosso nel fine settimana dalla notizia della morte improvvisa del giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia. Il decesso del 79enne giurista ultra-conservatore pone una serie di importanti questioni di natura politica, così come politica è stata l’impronta del più alto tribunale degli Stati Uniti negli ultimi anni dominati dalla maggioranza dei giudici che lo compongono e di cui lo stesso Scalia ha fatto parte.

Cattolico anti-abortista, favorevole alla pena di morte e all’ampliamento delle facoltà delle forze dell’ordine, promotore del diritto di possedere armi da fuoco, strenuo difensore dei poteri forti americani e spesso contraddistinto da posizioni ideologiche in odore di razzismo, Scalia ha incarnato per tre decenni l’anima più reazionaria delle élite d’oltreoceano, passando da un ruolo relativamente marginale a quello di protagonista nel quadro del drammatico spostamento a destra della classe dirigente registrato in questo inizio di nuovo secolo.

Antonin Scalia è morto nel sonno tra venerdì e sabato per cause ancora sconosciute mentre partecipava in Texas a una battuta di caccia, una delle sue passioni. Il giudice era stato nominato alla Corte Suprema da Ronald Reagan nel 1986 ed era noto per la combattività mostrata durante le udienze, soprattutto nei confronti dei legali che sostenevano cause anche vagamente “liberal”.

Le fondamenta saldamente conservatrici del suo pensiero legale derivavano da una interpretazione della Costituzione americana definita “testualismo” o “originalismo”, consistente nel rispetto del senso letterale della carta durante l’analisi dei vari casi. Scalia era guidato cioè dal riferimento costante alle intenzioni di coloro che avevano redatto la Costituzione degli Stati Uniti, respingendo assurdamente l’idea che un documento scritto più di due secoli fa possa essere adattato alle diverse condizioni storiche e sociali.

Scalia sarà ricordato, oltre che per le sue posizioni di estrema destra, per le numerose uscite, sia durante le udienze, sia nelle numerose apparizioni pubbliche, che rivelavano una disposizione retrograda e profondamente anti-democratica. Solo un paio di mesi fa, ad esempio, il giudice deceduto aveva affermato che gli studenti di colore avrebbero dovuto frequentare università di livello “inferiore”, poiché in quelle più prestigiose avrebbero potuto trovarsi in un ambiente inadatto.

Nonostante i precedenti, molti esponenti politici anche di orientamenti ufficialmente opposti a quelli di Scalia hanno avuto parole di elogio nel ricordare il giudice dopo la diffusione della notizia della morte. La reazione di Obama ha ad esempio mostrato il solito atteggiamento servile nei confronti della destra americana del presidente, il quale ha definito il defunto una “mente legale brillante” che “ha influenzato una generazione di giudici, avvocati e studenti”.

Come previsto dalla Costituzione USA, il presidente sarà chiamato ora a scegliere il sostituto di Scalia alla Corte Suprema e Obama ha già fatto sapere che la nomina, da sottoporre a ratifica del Senato, arriverà in tempi non troppo lunghi. La questione della successione a Scalia rischia però di diventare da subito molto complicata, visto che si inserisce in un clima politico del tutto particolare, caratterizzato dalle elezioni presidenziali di novembre e da un Congresso dove la maggioranza non è detenuta dal partito del presidente.

La leadership Repubblicana del Senato ha già indicato la scarsa disponibilità ad approvare qualsiasi candidato verrà proposto dalla Casa Bianca. Il calcolo Repubblicano è con ogni probabilità quello di ritardare la nomina del nono giudice della Corte Suprema fino al prossimo anno, quando sarà insediato il nuovo presidente americano, nella speranza che non sia Democratico.

Il numero uno dei Repubblicani al Senato, Mitch McConnell, sabato ha affermato apertamente che il sostituto di Scalia non siederà alla Corte Suprema prima del gennaio 2017. Questa presa di posizione è decisamente insolita, non solo perché è opinione condivisa che il presidente degli Stati Uniti abbia facoltà di scegliere – e quindi vedere approvato – il candidato che ritiene più adatto, ma anche perché le battaglie registrate in passato sulle nomine alla Corte Suprema hanno riguardato l’eventuale mancanza dei requisiti degli aspiranti giudici o episodi controversi nel loro passato.

L’avvertimento preventivo alla Casa Bianca da parte del leader di maggioranza al Senato sul probabile respingimento della nomina alla Corte Suprema è motivato dalla posta in gioco, particolarmente pesante dal punto di vista politico. Tutta politica è stata infatti l’attività dello stesso tribunale negli ultimi anni, intento - grazie alla maggioranza conservatrice, per non dire reazionaria - a smantellare molti dei diritti democratici consolidati, anche con sentenze precedenti della stessa Corte Suprema, e a promuovere gli interessi del business.

Proprio di qualche giorno fa è stata ad esempio una delle ultime sentenze sottoscritte da Scalia, con la quale la Corte ha agito con un intento interamente politico. La maggioranza conservatrice dei giudici ha imposto lo stop all’applicazione di una direttiva dell’Agenzia federale per la Protezione Ambientale (EPA) indirizzata ai singoli stati americani per ridurre le emissioni di gas serra.

La decisione è apparsa singolare per varie ragioni, a cominciare dal fatto che è giunta ancora prima che la causa legale contro l’EPA esaurisse il proprio percorso giudiziario nei tribunali inferiori, ma anche perché le regolamentazioni previste sarebbero entrate in vigore solo tra alcuni anni.

La morte improvvisa di Scalia ha così aperto la strada a un possibile ribaltamento degli equilibri politici all’interno della Corte Suprema USA. Come già anticipato, il giudice di origine italiana faceva parte della maggioranza conservatrice del tribunale, assieme al presidente, John Roberts, e ai colleghi Clarence Thomas, Samuel Alito e Anthony Kennedy, sebbene quest’ultimo sia considerato relativamente più moderato.

La scelta di Obama potrebbe allora ricadere su un giurista progressista, facendo pendere per la prima volta da anni la bilancia della Corte Suprema verso sinistra. Gli altri quattro giudici in carica sono considerati di orientamento “liberal”: Stephen Breyer, Ruth Bader Ginsburg, Sonya Sotomayor e Elena Kagan, queste ultime due già nominate da Obama rispettivamente nel 2009 e nel 2010.

Da sottolineare bene, in ogni caso, è che la propensione progressista di questi quattro giudici, o quanto meno di alcuni di loro, è limitata in larga misura alle questioni delle libertà individuali, mentre in molte occasioni si sono almeno in parte allineati alla maggioranza conservatrice nelle cause relative alle “libertà” di aziende e corporation.

L’ipotesi che la Corte Suprema possa restare con soli otto membri per parecchi mesi è comunque tutt’altro che improbabile. Storicamente sono infatti numerosi i casi di candidati respinti dal Senato o di procedure di conferma prolungate nel tempo, anche se nei limiti ricordati in precedenza, soprattutto quando le nomine vengono fatte da presidenti sul finire del loro mandato.

Ciò potrebbe influire in maniera decisiva su alcune cause delicate attorno alle quali il supremo tribunale dovrà esprimersi nei prossimi mesi e che riguardano vari ambiti, dal diritto all’aborto all’immigrazione, dalle quote riservate alle minoranze nell’ammissione alle università al finanziamento dei sindacati. Con soli otto membri, eventuali verdetti di parità lascerebbero intatte le sentenze dei tribunali inferiori.

Proprio ai primi di aprile, la Corte inizierà le udienze su uno dei casi con le maggiori implicazioni politiche, anche in relazione alla campagna per le presidenziali in atto, ovvero la legittimità costituzionale del decreto presidenziale emesso da Obama per offrire un (complicato) percorso verso la regolarizzazione a circa 4 milioni di immigrati. In ballo vi è la possibilità da parte del governo federale di imporre ai singoli stati le norme in materia di immigrazione e, se non dovesse emergere una maggioranza alla Corte Suprema, il decreto di Obama risulterebbe nullo.

Un’altra vicenda scottante è quella che riguarda la facoltà di un sindacato degli insegnanti in California di raccogliere contributi anche dai non iscritti come riconoscimento della propria attività di contrattazione. In questo caso, un’eventuale verdetto di 4-4 alla Corte Suprema favorirebbe le associazioni sindacali.

Al di là delle dispute dei prossimi mesi sul successore di Antonin Scalia, la Corte Suprema americana sarà interessata da un ricambio generazionale negli anni a venire. Ciò determinerà probabili scosse e cambiamenti degli assetti ideologici all’interno del Tribunale, senza che esso perda tuttavia la caratteristica di strumento legale supremo nelle mani della classe dirigente USA per plasmare o legittimare le proprie politiche, sia pure nell’ambito dello scontro per il predominio delle varie sezioni che la compongono.

Tre giudici sono infatti vicini o hanno superato gli 80 anni, così che la permanenza in un incarico che non ha comunque limiti di età potrebbe essere di breve durata. I giudici “progressisti” Ruth Bader Ginsburg e Stephen Breyer compiranno rispettivamente 83 e 78 anni nel 2016, mentre le primavere del moderato/conservatore Anthony Kennedy saranno esattamente 80 il prossimo mese di luglio.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy