di Michele Paris

Le elezioni di domenica scorsa per il rinnovo dei due rami del Parlamento spagnolo (Corti Generali) hanno stravolto completamente il sistema bipartitico che ha dominato il paese iberico fin dal ritorno alla democrazia nel 1977. I due principali partiti che si erano fino a oggi spartiti alternativamente il potere - Partito Popolare (PP) e Partito Socialista (PSOE) - saranno così costretti a cercare più di un partner se vorranno provare a governare per i prossimi quattro anni. Qualsiasi esecutivo dovesse nascere, scongiurando l’ipotesi di nuove elezioni, sarà tuttavia quasi certamente caratterizzato da una profonda instabilità.

La scelta degli elettori spagnoli di punire i due partiti alla guida di governi che negli ultimi otto anni hanno adottato durissime misure di rigore è tutt’altro che sorprendente ed è anzi un dato comune a molti altri paesi europei. L’esempio più simile e recente è quello del vicino Portogallo, dove qualche settimana fa è nato un governo di centro-sinistra nonostante il partito di centro-destra al governo avesse ottenuto la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento, come ha fatto appunto il PP spagnolo.

L’altro aspetto simile tra i due scenari iberici è l’incapacità dei Partiti Socialisti all’opposizione - il PSOE spagnolo e il PS portoghese - di capitalizzare l’ostilità popolare verso i rispettivi governi e l’austerity imperante. Incapacità, appunto, legata al fatto che entrambi i partiti avevano avviato queste stesse politiche anti-sociali sotto la supervisione europea, successivamente proseguite e intensificate da governi di centro-destra.

Complessivamente, il PP e il PSOE erano soliti raccogliere circa l’80% dei consensi nelle precedenti elezioni spagnole, mentre in questa tornata hanno a malapena superato il 50%. Il PP del primo ministro, Mariano Rajoy, si è fermato al 28,7%, che si traduce in 123 seggi sui 350 totali della Camera bassa (Congresso dei Deputati), vale a dire un terzo in meno di quelli conquistati nel 2011.

Se possibile, ancora più pesante è stata la batosta patita dai socialisti, i quali sono riusciti a peggiorare la già disastrosa prestazione di quattro anni fa al termine dei due mandati di governo di José Luis Zapatero. Il moderato entusiasmo mostrato nei commenti dopo la chiusura delle urne dal leader del PS, Pedro Sánchez, non si giustifica con gli appena 90 seggi ottenuti (22%), ovvero il peggior risultato della storia elettorale socialista, ma piuttosto con la vaga possibilità di poter guidare un esecutivo di coalizione di centro-sinistra.

Come ampiamente previsto, l’emorragia di voti dal PP e dal PSOE è finita per favorire due partiti/movimenti più o meno nuovi sulla scena nazionale: Podemos (Possiamo) e Ciudadanos (Cittadini). Il primo, nato pochi anni fa dal movimento degli “Indignados” e con un orientamento anti-austerity e di sinistra - peraltro attenuato considerevolmente negli ultimi mesi - assieme ad alcuni alleati a livello regionale ha ottenuto 69 seggi (20,7%).

Ciudadanos era sorto invece con un’agenda pro-business negli ambienti anti-separatisti catalani ed è diventato oggi il quarto partito spagnolo con 40 seggi e il 13,9% dei consensi. Questo risultato è decisamente al di sotto di quello che veniva attribuito al partito dai sondaggi prima del voto e l’incapacità di ottenere il successo previsto è dovuta probabilmente allo scarso appeal di un programma economicamente di destra in un paese profondamente segnato da anni di austerity.

Il risultato inferiore alle aspettative di Ciudadanos ha fatto in ogni caso svanire la possibilità di un governo di centro-destra formato da questo partito e dal PP. Il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, aveva mostrato di essere disponibile a valutare una simile eventualità, sempre che il premier Rajoy venisse rimosso dal suo incarico visti gli scandali in cui è stata coinvolta la sua leadership.

Salvo complicate intese o alleanze, l’unica possibilità per Rajoy e il PP di rimanere al potere sembra essere un governo di minoranza con il consenso almeno del PS. Questa ipotesi sarebbe però difficilmente digeribili per i residui elettori socialisti, così che i vertici del partito lunedì hanno garantito che il partito voterà contro un eventuale governo guidato dal PP.

A sua volta, il numero uno di Podemos, Pablo Iglesias, sempre lunedì ha lasciato intendere di poter valutare una qualche collaborazione con il PSOE, essendo il primo obiettivo del partito/movimento quello di impedire al PP di rimanere alla guida del paese e di intraprendere un percorso di “transizione” per cambiare la Spagna. Teoricamente, il PSOE e Podemos potrebbero dar vita a una coalizione di governo con una maggioranza in Parlamento se ai loro seggi dovessero aggiungersi i 2 di Unità Popolare (UP) - l’alleanza in cui è confluita Sinistra Unita (IU) - e almeno una parte dei 26 andati a vari partiti su base regionale.

Albert Rivera di Ciudadanos, invece, ha invitato il PSOE all’astensione in un prossimo voto di fiducia al nuovo governo di minoranza PP. Secondo la Costituzione spagnola, se un esecutivo non ottiene al primo voto la maggioranza assoluta del Parlamento, 48 ore più tardi è prevista una nuova votazione nella quale è sufficiente conquistare la maggioranza dei deputati presenti.

A complicare ulteriormente la situazione c’è stata infine la conquista da parte del PP della maggioranza assoluta dei seggi al Senato. Alla Camera alta del Parlamento spagnolo non viene richiesto il voto di fiducia ai governi ma, in caso di nascita di un gabinetto di centro-sinistra, potrebbe rappresentare un ostacolo all’approvazione delle leggi avanzate da quest’ultimo.

Le trattative per arrivare a un accordo di governo dureranno comunque alcune settimane ma il dato più importante emerso dalla consultazione elettorale appena terminata è senza dubbio la crisi del sistema di governo bipartitico post-franchista.

I nuovi scenari spagnoli sono emersi come altrove in Europa in seguito al tracollo economico iniziato nel 2008. Soprattutto, le politiche implementate indistintamente dai governi di destra e di “sinistra” per salvare i sistemi capitalistici nazionali hanno prodotto una crisi di legittimità delle classi dirigenti tradizionali, chiamate dai centri del potere economico-finanziario ad adottate politiche di impoverimento di massa.

In un paese relativamente stabile dal punto di vista politico negli ultimi quattro decenni come la Spagna, questa situazione ha portato a un’insolita frammentazione che un movimento come Podemos, nonostante si fosse proposto come alternativa all’austerity, agli scandali di corruzione, allo strapotere delle banche, è riuscito a capitalizzare solo in parte.

Anzi, poco prima del voto, il partito di Iglesias era precipitato nel gradimento dei potenziali elettori, in conseguenza forse del brusco risveglio seguito alla sostanziale accettazione dei diktat di Bruxelles da parte del governo di Syriza in Grecia, che Podemos ha sempre sostenuto in maniera decisa. Podemos, inoltre, nell’ultimo anno aveva fatto una parziale marcia indietro rispetto a molte proposte con un’impronta di sinistra, anche se non propriamente rivoluzionarie, presentate nel manifesto del gennaio 2014.

Per darsi probabilmente un’immagine più accettabile agli occhi dei centri di potere in Spagna e in Europa, nell’ultimo periodo Podemos aveva sostanzialmente abbandonato alcune proposte “radicali”, come ad esempio la nazionalizzazione delle banche e delle principali aziende spagnole, la revisione del debito pubblico, l’uscita dalla NATO, l’abbassamento dell’età pensionabile e l’aumento degli assegni erogati ai pensionati.

Allo stesso modo, erano apparsi appelli al patriottismo, all’unità della Spagna e ai valori cattolici che hanno permesso a Podemos di ricevere una qualche copertura positiva sui principali media.

La natura e la residua attitudine al cambiamento di Podemos sarà testata in ogni caso nelle prossime settimane, visto l’innegabile peso della rappresentanza parlamentare conquistata. Nel frattempo, le procedure del dopo voto prevedono l’insediamento del nuovo Parlamento il prossimo 13 gennaio, in seguito al quale il sovrano, Felipe VI, chiederà al leader del partito con il maggior numero di seggi - Rajoy del PP - di provare a formare il nuovo governo.

In caso di fallimento, ogni scenario appare ad oggi percorribile, inclusa la possibilità di nuove elezioni già nei primi mesi del nuovo anno.

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