di Michele Paris

Il fascismo strisciante che pervade la classe dirigente americana continua a trovare sfogo nelle uscite pubbliche del candidato alla presidenza per il Partito Repubblicano, Donald Trump. La più recente “proposta” dell’attuale favorito per la nomination, cioè lo stop pressoché totale all’ingresso dei musulmani negli Stati Uniti, è stata condannata da molti a Washington, anche se essa si inserisce in un clima di isteria anti-islamica che la politica e i media ufficiali sembrano alimentare in maniera deliberata.

L’imprenditore miliardario aveva affermato lunedì nel corso di un comizio in South Carolina che la misura sarebbe di natura temporanea, in attesa che il governo elabori una strategia adatta contro la minaccia del terrorismo jihadista. Per giustificare il divieto di ingresso negli USA per coloro che professano la fede musulmana, Trump ha fatto riferimento alla decisione presa dall’amministrazione Roosevelt durante la Seconda Guerra Mondiale di chiudere in campi di detenzione gli immigrati di origine giapponese, tedesca e italiana, vale a dire a uno degli episodi più gravemente lesivi delle libertà individuali nella storia americana.

Trump è stato subito investito da un’ondata di polemiche ma il giorno successivo ha rilasciato una serie di interviste televisive nelle quali ha soltanto parzialmente rettificato le precedenti dichiarazioni, sostenendo che i musulmani con cittadinanza americana sarebbero esclusi dal bando nel caso tornassero negli USA dopo essersi recati all’estero, per poi confermare sostanzialmente i concetti già espressi.

Simili “sparate” di Donald Trump non sono una novità per la campagna elettorale in corso e in molti continuano a minimizzarne la portata, giudicandole come l’espressione di un candidato imprevedibile e fin troppo schietto, sebbene attestato su posizioni decisamente estreme rispetto al baricentro politico Repubblicano.

Se le affermazioni di Trump appaiono per contenuto e forma effettivamente al di là di quanto i suoi colleghi repubblicani hanno proposto in questi mesi, la sostanza delle sue parole è tuttavia di fatto coerente con la linea avanzata dal partito e dagli altri candidati alla Casa Bianca.

Il secondo favorito alla nomination repubblicana nei sondaggi, il senatore del Texas Ted Cruz, aveva ad esempio già chiesto di vincolare l’accoglimento dei profughi siriani alla loro fede, ammettendo i cristiani ed escludendo invece i musulmani. Più di un’aspirante alla presidenza, tra cui lo stesso Trump, si era detto inoltre favorevole a mettere sotto sorveglianza tutte le moschee sul suolo americano.

Almeno anche un politico Democratico, il sindaco di Roanoke, in Virginia, qualche settimana fa aveva citato favorevolmente l’internamento degli americani di origine giapponese durante il secondo conflitto mondiale, lasciando intendere che quel provvedimento adottato in piena guerra contro il nazi-fascismo potrebbe essere ipotizzabile anche oggi, essendo in atto una guerra contro il fondamentalismo islamista.

La deriva autoritaria che lasciano intravedere simili dichiarazioni conferma la disposizione anti-democratica della classe dirigente borghese negli Stati Uniti e non solo. A ricordare la disponibilità a calpestare senza troppi scrupoli gli stessi principi democratici fissati da quest’ultima era stato quasi due anni fa il giudice ultra-reazionario della Corte Suprema, Antonin Scalia, il quale in un discorso pubblico aveva invitato i suoi ascoltatori a non illudersi circa la possibilità che l’istituzione di campi di detenzione per gli oppositori dello stato non possa tornare a essere una realtà anche oggi nell’eventualità di una qualche crisi nazionale.

Il ritorno nel dibattito politico di richieste e proposte più adatte a uno stato totalitario che non a una democrazia liberale non è ovviamente un’esclusiva degli Stati Uniti. L’istigazione di sentimenti anti-musulmani e xenofobi, assieme all’ingigantimento di una minaccia terroristica che è peraltro la conseguenza delle politiche occidentali di aggressione dei paesi arabi, è alla base di recenti leggi e disegni di legge per aumentare a dismisura i poteri di sorveglianza delle forze di sicurezza - come in Francia e in Gran Bretagna - o ha già favorito il via libera parlamentare all’autorizzazione ad allargare le operazioni di guerra contro l’ISIS/Daesh dall’Iraq alla Siria, com’è accaduto ancora a Londra.

Tornando agli Stati Uniti, anche gli stessi critici di Donald Trump sono responabili del clima di eccitazione anti-musulmana, a cominciare dall’amministrazione Obama. Il presidente Democratico ha tenuto un discorso al paese sul terrorismo domenica scorsa, nel quale ha tra l’altro attaccato i Repubblicani per le loro proposte anti-islamiche, tralasciando però di ricordare come la politica estera da egli stesso promossa continui a risolversi in guerre devastanti e occupazioni militari di paesi musulmani.

Sul fronte Repubblicano, poi, sono state molteplici le voci di coloro che hanno sostanzialmente approvato la più recente proposta di Trump. Il già citato senatore Cruz, considerato in ascesa dai sondaggi più recenti, ha formalmente respinto lo stop indiscriminato agli ingressi dei musulmani negli USA ma ha elogiato il suo collega/rivale per avere sollevato la questione della sicurezza dei confini americani.

Altri ancora hanno cercato di giustificare le loro simpatie per le tirate fascistoidi di Trump con la presunta sintonia di quest’ultimo con la popolazione statunitense. Trump, cioè, starebbe soltanto dando voce a sentimenti razzisti diffusi nel paese, quando in realtà, a parte alcune frange estreme e l’elettorato Repubblicano facente capo al fondamentalismo cristiano, sembra esserci ben poco entusiasmo per le posizioni di estrema destra della classe dirigente di Washington tra lavoratori e classe media. Politici e media agitano piuttosto lo spettro dell’islamismo integralista per avanzare la propria agenda reazionaria e dividere la popolazione lungo linee razziali e religiose, oscurando deliberatamente le implicazioni di classe alla base della crisi della società americana.

Il più recente prodotto legislativo di questo clima avvelenato è stata l’approvazione questa settimana da parte della Camera dei Rappresentanti di una serie di restrizioni al programma trentennale di ingresso negli Stati Uniti senza la necessità di un visto per i cittadini di 38 paesi. La misura, che dovrebbe servire a rendere più sicuro il paese, ha ottenuto il sostegno di ogni singolo deputato Repubblicano e della larghissima maggioranza di quelli Democratici.

La nuova legge, appoggiata anche dalla Casa Bianca, dovrà ora superare l’ostacolo del Senato e potrebbe imporre controlli più severi su coloro che intendono entrare negli USA dopo avere visitato negli ultimi cinque anni almeno uno di questi quattro paesi: Iran, Iraq, Siria e Sudan.

La preoccupazione principale che avrebbe guidato la stesura del provvedimento è legata al numero relativamente elevato di cittadini europei recatisi in Siria per combattere nei ranghi dell’ISIS/Daesh, poi tornati in patria e quindi potenzialmente in grado di entrare in America senza la necessità di ottenere un visto.

Anche sorvolando sul fatto che, almeno inizialmente, i musulmani con passaporto di un paese occidentale che hanno raggiunto la Siria sono stati spesso incoraggiati dai loro governi, visto l’identico obiettivo dell’abbattimento del regime di Assad, la misura in discussione al Congresso di Washington va considerata come un altro dei tentativi di alimentare i sentimenti anti-islamici e di ampliare i poteri di controllo sui singoli cittadini.

Infatti, le restrizioni al regime “visa-free” sarebbero implementate principalmente in risposta alla strage della scorsa settimana a San Bernardino, in California, dove hanno perso la vita 13 persone.

Questa legge, però, non avrebbe contribuito a evitare il massacro, visto che Tashfeen Malik, una dei due responsabili dell’attacco assieme al marito di passaporto USA, Syed Farook, non era giunta negli Stati Uniti dal Pakistan grazie a questo programma, bensì a un altro lasciato inalterato dal provvedimento, quello ciè che consente di evitare le pratiche per l’ottenimento di un visto ai futuri coniugi di un cittadino americano.

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