di Carlo Benedetti

L'assassinio della giornalista Anna Politkovskaja non va dimenticato, così come quanto avvenuto nel luglio scorso a San Pietroburgo - la riunione dei paesi del G8 - non va confinata negli archivi della diplomazia. Proprio perché le questioni relative alla vita interna della Russia e alla sua attività politico-diplomatica post-G8 offrono ulteriori motivi di preoccupazione e di conseguenti analisi. Con Putin che - per far dimenticare - cerca disperatamente di trovare alleati. Ecco perché anche l'Italia - nel definire la sua politica estera - non può far finta di ignorare cosa sia la Russia di questi ultimi periodi pur se caratterizzati da quella visita (in positivo) di Prodi, prima del G8. In quell'occasione il capo del governo italiano ha definito le relazioni con Mosca come rapporti di "amicizia" e di "profonda comprensione reciproca". Putin, da parte sua, ha fatto notare che per la Russia lo sviluppo dei rapporti con l’Italia è uno degli "indirizzi prioritari" a prescindere dalla situazione politica interna in Italia. Come dire - per non rinnegare il "suo" Berlusconi - che la musica è la stessa. Pertanto le ulteriori trattative tra i due paesi hanno dimostrato quale grande importanza si attribuisce allo sviluppo dei rapporti e all’interazione nell’arena internazionale, in particolare in quella europea.
E' vero, infatti, che nella sfera della cooperazione economica della Russia e dell’Italia, è stato raggiunto un accordo sull’accesso delle compagnie energetiche russe al mercato italiano in cambio dell’accesso delle compagnie italiane all’estrazione del petrolio e del gas in Russia. Secondo Prodi si tratta di una nuova fase nel campo dell’energetica. Ora la questione da affrontare sarà quella della presenza della Russia sul mercato dell’Italia nella produzione dell’energia elettrica. Putin, in proposito, ha rilevato che la Russia è pronta a sviluppare la cooperazione nel campo energetico non con tutti i partner ma solo con quelli che vanno incontro alla Russia. Come dire: dateci una mano e noi apriremo sempre più le nostre porte.

Intanto - per quanto riguarda i rapporti bilaterali - sappiamo degli accordi firmati: la Compagnia russa di costruzioni aeree Sukhoj e la Finmeccanica/Alenia Aeronautica hanno raggiunto intese sulla cooperazione strategica nell’ambito del programma per la creazione dell’aereo russo per distanze regionali. E ancora: l'Alenia Aeronautica ha acquistato azioni della russa Aerei civili Sukhoj.
Ma all'incontro Prodi-Putin si è anche fatto cenno al fatto che per la Russia può essere interessante l’esperienza italiana per lo sviluppo delle aziende della media e piccola imprenditoria nelle province. Il Cremlino - si è detto - ha bisogno di sviluppare non solo i grandi centri, come Mosca e San Pietroburgo, ma anche le regioni. In questo senso, appunto, può essere utile l’esperienza dell’Italia. Sin qui progetti ed idee.
Ma sul rapporto Roma-Mosca pesano ancora grandi interrogativi. Soprattutto quelli che si riferiscono alla credibilità del Cremlino quanto a gestione della nuova società russa. Il riferimento è alle posizioni di un "vecchio" collaboratore del Presidente: quell'Andrei Nikolaevic Illarionov, economista ed ideologo delle questioni “macroeconomiche”, organizzatore di moltissime missioni economico-commerciali in varie parti del mondo e, infine, uno degli autori del programma economico della nuova Russia. Ebbene è stato proprio lui a spiegare al mondo occidentale i problemi del suo paese con un atto d'accusa che il Cremlino cerca di dimenticare.
La Russia - ha detto Illarionov riferendosi a realtà vorticose e dove tutto cambia e si brucia in un attimo - non è un Paese politicamente libero; non risponde ai parametri del Gruppo delle nazioni più industrializzate del mondo; la sua inflazione è alle stelle; non è un Paese economicamente progredito; sta distruggendo a gran velocità gli istituti dello Stato moderno e della società civile; i media sono dominati da un’isteria propagandistica; vengono licenziati giornalisti e direttori dei maggiori organi di stampa; nasce una nuova “guerra fredda”; si stabiliscono rapporti con paesi non in regola quanto a democrazia e libertà; la magistratura è diretta dal centro politico; il business è sotto il controllo del Cremlino; sono nazionalizzate società private; si confiscano beni privati; burocrati e procuratori decidono su ogni cosa al di fuori delle leggi…

Piccole volgarità? Forse. Ma la lotta politica russa è fatta anche di questo. Ed ora, alla luce della politica estera che l'Italia porta avanti nei confronti della Russia, è chiaro che le posizioni di Illarionov non possono essere archiviate.
Ricordiamo in proposito che la Russia, alla vigilia del G8, aveva alle spalle un lungo e faticoso cammino tutto in salita. Da quel lontano 1985 quando le maggiori democrazie industrializzate – Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Giappone e Stati Uniti – accolsero nel loro Club anche la Russia.
Da quel momento si riunirono per discutere, periodicamente, le questioni riguardanti l’economia mondiale. E nel summit del 1998 il G7 divenne G8 con l’aggiunta, appunto, della Russia nonostante una certa riluttanza ad ammetterla al tavolo dove si discutevano temi relativi alla finanza globale.
Ed ora è proprio un uomo del Cremlino ad esprimere il suo netto dissenso dalle scelte di Putin e dell'occidente. La Russia - ha detto ancora Illarionov - registra un alto tasso d’inflazione. L'Italia, di conseguenza, deve tener conto di tutto questo.

Ma sul tavolo della trattativa con Mosca c'è un'altra questione che ha grossi risvolti geopolitici. Il riferimento è a quel processo di auspicata democratizzazione della vita russa che segna il passo dal momento che si è ancora in presenza di conflitti acuti. Come appunto è il caso della Cecenia, riaperto drammaticamente dalle inchieste di Anna Politkovskaja. E questo proprio perché solo un aperto processo di democratizzazione - un vero e proprio dialogo - può avere un valore europeo. E in questo contesto vediamo che Putin - seguendo l’obiettivo di rafforzare lo stato - cerca insistentemente l’appoggio di un certo occidente (come è avvenuto con il suo "amico Berlusconi") e, naturalmente, quello dei nazionalisti russi. Presentandosi come il patriota interessato a rivificare la grandezza della Russia. Rimuovendo il Paese da un periodo di immobilismo e frustrazione, ma mettendo un velo sui casi della Cecenia e delle lotte che hanno portato a spegnere la voce di una giornalista coraggiosa.
E' per questi motivi che la politica italiana deve tener conto del fatto che la Russia è oggi sede di una guerra scatenata non contro un paese straniero, ma contro un paese che si continua a ritenere come parte integrante della sua realtà nazionale.

E allora: se la Cecenia è russa vuol dire che è in atto una guerra di Mosca contro il proprio popolo. E se la Cecenia non è Russia allora vuol dire che si è in guerra contro un altro paese. Al quale, di conseguenza, andrebbe riconosciuto lo status di indipendenza.
Molti, comunque, gli interrogativi in merito e moltissime le eventuali risposte, ma è chiaro che nel momento in cui si decide di avviare una politica italiana verso l'Est è necessario trovare un denominatore comune su cosa s'intenda per rapporto con una nazione. Perché, ad esempio, vediamo che la Russia di oggi è tormentata - è un eufemismo - dal virus dei nazionalismi anche con un notevole risveglio islamico con tendenze wahhabite che potrebbero provocare l’esplosione del Tatarstan.
Sorge qui la domanda relativa al fatto se un nazionalismo debba o no essere considerato accettabile dal punto di vista della cultura politico-democratica.
Il nazionalismo è, infatti, la base di uno specifico programma che si collega ad un partito politico e che, di conseguenza, fa riferimento al concetto e alla realtà di Stato-nazione. E tutto questo contiene diverse componenti che, a prima vista, sembrano semplici e chiare, ma in realtà sono fortemente ambigue: la nazione, lo Stato e il territorio.

Quando l'Italia si rivolge a Mosca dovrebbe così chiarire cosa intenda - in primo luogo - con "nazione". La risposta classica è quella dei nazionalisti per i quali la nazione si fonda su una tradizione culturale e storica. Quindi: miti e realtà basati sulla storia passata, sul linguaggio, sul territorio, possibilmente sulla religione e, a volte, sull'etnia. Di conseguenza una nazione è molto più di una forma di organizzazione sociale. Detto questo sappiamo anche che esistono, accanto a quelle nazionali, anche identità locali, regionali: ossia altre identità che spesso preesistono, quasi necessariamente, a un'identità nazionale.
Entra in gioco, qui, la questione cecena che l'Italia non può dimenticare. Pur se c'è una sorta di prudenza quando si tocca la questione di Grozny e del suo movimento di indipendenza. Si dice - e qui citiamo Putin - che in quel paese c'è una base di terroristi. E tutto si riallaccia a quell'11 settembre americano per sostenere che il terrorismo mondiale ha sede anche nel Caucaso.

Dobbiamo partire da queste considerazioni - dure e pesanti - per individuare una attuale e veritiera politica italiana nei confronti del Cremlino. A Mosca, in questo contesto, si dice che lo Stato ideale per definizione - quello russo, appunto - richiede un territorio, perché non può esserci Stato senza territorio. Il concetto è molto ambiguo. E' qualcosa sia di materiale che di immaginario. Esiste a vari livelli. Significa "senso di appartenenza" a una famiglia, a un villaggio, forse a una regione; in questo senso è sociale e personale. Ed è culturale nel senso della memoria del passato.
Il territorio nazionale è sia una realtà che un luogo della memoria; ed è la costruzione di questo luogo della memoria nel passato, che consente agli Stati di affermare le proprie rivendicazioni su questi territori e che spiega come mai, nelle regioni di frontiera, il senso di appartenenza a queste terre sia molto più spiccato che non nel retroterra. Cosicché, di fatto, un territorio - la Cecenia nel caso in questione - diviene qualcosa di materiale a causa del rigido concetto delle frontiere che ad esso viene imposto dagli Stati stessi, in quanto la costituzione di uno spazio per il territorio nazionale è un attributo necessario dello Stato. Sono tutti temi che vanno nel conto di un discorso che investe la Russia e la sua realtà malata: la Cecenia, appunto.

La Farnesina di D'Alema non può sfuggire a questo dibattito. Deve assumere una posizione ben precisa se vuole stabilire un rapporto reale con quella Russia che punta alla costruzione di una moderna società e che cerca - di conseguenza - di rifiutare i vecchi concetti imperiali. Ecco che alla base di una ricerca di politica estera dell'Italia nei confronti della Russia vanno poste tali questioni. Solo sciogliendo questi nodi si potrà parlare di una collaborazione paritetica. Non si può delineare una strategia estera solo basandosi sugli accordi economici.
La storia ci offre esempi notevoli d'accordi economici che hanno - in realtà - bloccato lo sviluppo reale delle relazioni democratiche. In tal senso un ulteriore silenzio della nostra diplomazia potrebbe aiutare quella nomenklatura russa che non accetta di affrontare i grandi nodi dell'attualità.
Quelli che la Politkovskaja poneva al centro delle sue analisi.

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