di Mario Lombardo

La crisi in Siria ha fatto registrare nella mattinata di martedì una drammatica e preoccupante escalation in seguito all’abbattimento da parte della Turchia di un aereo da guerra russo che avrebbe sconfinato all’interno del proprio territorio. L’episodio, non nuovo da parte di Ankara, ha mostrato in maniera chiara come l’aggravarsi della situazione siriana, con l’intervento militare di numerosi paesi a difesa dei rispettivi interessi strategici, rischia di provocare scontri che possono portare a un pericoloso allargamento del conflitto.

Le circostanze dell’abbattimento del jet di Mosca sono state descritte in maniera differente dalle autorità turche e da quelle russe. Per il governo islamista di Ankara, due F-16 turchi avrebbero colpito un SU-24 russo dopo che quest’ultimo era entrato nello spazio aereo della Turchia nei pressi del confine con la Siria. Lo Stato Maggiore turco ha sostenuto che il velivolo russo avrebbe ignorato dieci avvertimenti in cinque minuti prima di essere abbattuto.

Il Ministero della Difesa russo ha invece affermato con decisione che il jet stava sorvolando il territorio siriano in una zona dove sono in corso scontri tra le forze del regime di Assad e gruppi “ribelli”. Inoltre, il fuoco che ha colpito il SU-24 che volava a seimila metri di altezza proveniva da terra. Quest’ultima affermazione è stata succesivamente smentita e anche il governo russo ha indicato due F-16 turchi come i responsabili dell’abbattimento.

I due piloti sono riusciti a lanciarsi con il paracadute prima dello schianto dell’aereo in territorio siriano. Uno di loro sarebbe però deceduto, mentre l’altro sembra essere nelle mani di un gruppo “ribelle” di etnia turcomanna. Secondo alcune testimonianze provenienti dall’opposizione siriana, anche il secondo pilota sarebbe stato ucciso e, stando a fonti del governo moscovita, un terzo militare russo sarebbe stato ucciso mentre cercava i due piloti.

La gravità dell’accaduto ha spinto il presidente russo Putin a intervenire pubblicamente già nel primo pomeriggio di martedì durante un incontro a Sochi con il re della Giordania, Abdullah. Il capo del Cremlino ha definito l’abbattimento come “una pugnalata nella schiena” da parte della Turchia che avrà “conseguenze serie” sui rapporti tra i due paesi. Mosca e Ankara solo lunedì avevano annunciato la volontà di rafforzare la cooperazione per fronteggiare le sfide regionali e globali, in previsione di un vertice strategico tra i due ministri degli Esteri che avrebbe dovuto tenersi a Istanbul nella giornata di mercoledì e che è stato invece cancellato.

Il SU-24 abbattuto, ha continuato Putin, stava conducendo operazioni belliche contro lo Stato Islamico (ISIS) nella regione montagnosa settentrionale di Latakia, dove sono attivi combattenti fondamentalisti in gran parte di nazionalità russa.

Putin ha poi attaccato il presidente turco Erdogan e il primo ministro Davutoglu per essersi rivolti subito alla NATO invece di contattare la Russia, “come se fossimo stati noi ad abbattere un loro aereo e non viceversa”. Il presidente russo ha anche confermato le prime dichiarazioni del ministero della Difesa, cioè che il jet non aveva sconfinato nello spazio aereo turco ed è precipitato in territorio siriano a sei chilometri dal confine, mentre al momento dell’abbattimento si trovava a un chilometro dal confine.

Il governo turco, da parte sua, ha convocato un alto diplomatico dell’ambasciata russa per chiedere spiegazioni sul presunto sconfinamento. Le tensioni tra i due paesi erano peraltro già vicine ai livelli di guardia a causa degli effetti negativi dell’intervento russo sui piani di Erdogan per la Siria. Ankara aveva già convocato l’ambasciatore di Mosca la scorsa settimana in seguito a bombardamenti russi molto vicini al confine turco.

La Turchia ha comunque chiesto e ottenuto una riunione di emergenza del consiglio della NATO. Viste le possibili gravi conseguenze dell’abbattimento e alla luce dei timori per un’escalation del confronto, prima del vertice un portavoce dell’Alleanza aveva tenuto a precisare che la riunione era stata indetta solo per consentire alla Turchia di spiegare l’accaduto e non vi era nessun riferimento all’Articolo IV del trattato, il quale scatta nel caso sia minacciata l’integrità territoriale, l’indipendenza o la sicurezza di un paese membro.

Il comunicato diffuso dalla NATO dopo il summit di emergenza nel tardo pomeriggio di martedì si è limitato a esprimere solidarietà alla Turchia per la violazione del suo spazio aereo da parte dell’aereo russo. I rappresentanti dei vari paesi membri hanno prevedibilmente riconosciuto il diritto della Turchia alla difesa del proprio territorio, ma allo stesso tempo sono prevalsi gli appelli alla calma.

Come hanno riferito alcuni giornali, svariati ambasciatori dei paesi NATO riunitisi a Bruxelles hanno parlato in privato dell’importanza di evitare una retorica troppo accesa che possa mettere a repentaglio i tentativi della Francia di costituire una coalizione militare con la Russia per combattere l’ISIS in Siria.

Il comunicato relativamente blando uscito dalla riunione di martedì è apparso infatti ben diverso da quello emesso solo lo scorso mese di ottobre, quando un’altra denuncia turca di un’invasione del proprio spazio aereo da parte russa era stata seguita da una “forte protesta” e dalla richiesta fatta a Mosca di “cessare” e “desistere” da quello che veniva definito un “comportamento irresponsabile”.

Nel pomeriggio di martedì è intervenuto anche il premier turco Davutoglu, il quale ha ribadito l’obbligo da parte della Turchia di difendere il proprio territorio, come se il presunto sconfinamento di un jet russo impegnato contro le formazioni jihadiste oltreconfine potesse rappresentare una minaccia esistenziale per il paese eurasiatico.

Ferma restando l’impossibilità al momento di accertare la verità, è evidente che i fatti di martedì mattina possono essere letti attraverso i vantaggi e gli svantaggi che da essi potrebbero derivare per le due parti coinvolte.

Per quanto riguarda la Russia, il cui governo sta conducendo una campagna militare in larga misura per la difesa dei propri interessi strategici in Medio Oriente, se si escludono eventuali errori di manovra da parte dei piloti del jet abbattuto, non sono per nulla chiare le ragioni che avrebbero potuto motivare uno sconfinamento in territorio turco nel pieno delle operazioni contro i gruppi “ribelli”.

Mosca, in sostanza, difficilmente potrebbe aver pensato di ricavare un qualche beneficio da una provocazione di questo genere, tanto più essendo perfettamente a conoscenza delle posizioni di Erdogan e del suo governo circa la situazione in Siria.

La Turchia, come già anticipato, ha visto infatti andare in crisi i propri piani per combattere il regime di Damasco in seguito all’intervento militare russo, a cominciare dalla creazione di una “no-fly zone” nel nord della Siria da utilizzare come territorio da cui organizzare un’offensiva contro le forze di Assad.

Proprio per alimentare la presunta minaccia alla propria sicurezza proveniente dalla Siria, il governo turco ha già messo in atto svariate provocazioni in passato, così da convincere i propri alleati occidentali, primi tra tutti gli Stati Uniti, ad agire in maniera più incisiva contro Damasco.

Nel marzo del 2014, gli F-16 turchi furono protagonisti di un altro abbattimento, in quell’occasione di un jet siriano che, secondo Ankara, aveva sconfinato nel proprio spazio aereo. Il regime di Assad aveva negato con forza la versione dell’incidente proposta dalla Turchia, la quale intendeva appunto utilizzare l’episodio per fare pressioni sulla NATO e intervenire a difesa dell’alleato sotto minaccia.

La crisi interna scatenata dal fallimento della politica mediorientale di Erdogan e Davutoglu, tutt’altro che superata dopo le recenti elezioni vinte nettamente dal loro partito (AKP), potrebbe dunque rappresentare anche in questa occasione la molla che ha spinto il governo di Ankara a prendere una decisione così grave nei confronti della Russia.

L’abbattimento del jet russo segna in ogni caso una pericosola complicazione della guerra in Siria e, forse, un passo avanti verso un catastrofico scontro diretto tra le parti che combattono a favore e contro il regime di Assad, queste ultime attraverso l’appoggio di gruppi fondamentalisti.

La delicatezza stessa della situazione siriana e le implicazioni di un’eventuale escalation, come ritengono molti osservatori, potrebbero però consigliare, almeno per il momento, iniziative meno gravi di quanto ci si potrebbe attendere. Da parte russa, nonostante i toni minacciosi di Putin, il già complicato coinvolgimento nelle operazioni in Siria suggerisce ritorsioni relativamente contenute nei confronti di Ankara, come ad esempio la presa di mira di formazioni anti-Assad sostenute dalla Turchia.

Martedì, comunque, Mosca ha annunciato la sospensione di ogni contatto di tipo militare con la Turchia, mentre un incrociatore russo sarà inviato al largo della costa siriana e avrà l’incarico di “distruggere qualsiasi obiettivo che rappresenti una potenziale minaccia”.

Per quanto riguarda gli alleati di Erdogan, tra i quali, come si è visto al termine della riunione di emergenza della NATO, sono giunti inviti alla calma nella giornata di martedì, è ipotizzabile invece che l’episodio verrà sfruttato quanto meno per esercitare ulteriori pressioni sulla Russia e convincere Putin a percorere una strada che, sulla Siria, converga sempre più con gli obiettivi strategici occidentali e della Turchia stessa.

Di ciò se ne è avuto conferma dalle dichiarazioni giunte sia dallo stesso vertice NATO sia da Washington. Nel primo caso, il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha esortato la Russia a concentrare il proprio sforzo bellico sull’ISIS, riproponendo la tesi che Mosca bombardi principalmente i gruppi moderati e secolari che si batterebbe contro Assad. L’identico concetto lo ha ribadito infine anche il presidente americano Obama nel corso dell’incontro negli Stati Uniti con il suo omologo francese Hollande.

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