di Fabrizio Casari

Alla fine, sebbene a denti stretti, anche l’Egitto sta per ammettere quello che ormai tutta la comunità dell’Intelligence da per certo: l’Airbus 321 russo precipitato la settimana scorsa nel Sinai, nel quale hanno perso la vita a 224 persone, è stato vittima di un attentato terroristico. L’ordigno che ne avrebbe causato l’esplosione sarebbe stato confezionato - stando alle intercettazioni ed all’attività investigativa - dalla cellula egiziana dell’Isis.

L’esplosivo sarebbe arrivato in stiva contenuto in una bombola da sub, probabilmente anche grazie ai controlli insufficienti dell’aeroporto di Sharm El-Sheikh. La riluttanza egiziana ad ammettere che di attentato si è trattato ha almeno un paio di spiegazioni: la prima è che Il Cairo è perfettamente consapevole che indicare il suo territorio come destinazione possibile di attentati metterà in seria crisi il turismo, che ad oggi continua ad essere la prima voce delle entrate finanziarie per l’Egitto.

La seconda spiegazione è che l’eventuale conferma di un attentato mette in difficoltà l’autorevolezza del governo egiziano, dimostrando che egli potrà anche aver piegato con la forza i Fratelli Musulmani, potrà anche aver vinto elezioni militarizzate e aver stretto ulteriormente gli spazi per l’iniziativa islamista, ma l’area riferibile direttamente all’Isis in particolare, e al radicalismo islamista in generale, dispone di energie e risorse per costituire una minaccia grave per il paese dei faraoni.

La rivendicazione dell’attentato da parte dell’aspirante califfo d’Egitto, Abu Osama Al Musri, che ha già officiato il rito di sottomissione ad Abu Bakr Al-Baghdadi, ripropone con forza la presenza di una miscela di radicalismo e terrorismo egiziano che punta a costituire un ponte con l’attività militare del califfato in Siria e Iraq. L’ipotesi che possa trattarsi di millanteria allo scopo di farsi pubblicità e di accreditarsi presso Al  Baghdadi non viene considerata plausibile, mentre vengono accreditate le tracce che porterebbero proprio ad Al Musri nell’organizzazione del criminale attentato.

E’ una seconda pessima notizia per le ambizioni del governo di Al Sisi, giacché almeno per quanto si riferisce alla capacità di controllo interno, il suo governo non può certo presentarsi come affidabile. Di conseguenza, il ruolo di gendarme anti-Isis al quale l'Egitto aspirava, viene quantomeno ridimensionato. E anche per quanto attiene alla politica estera la situazione è tutt’altro che brillante: la strategia del governo egiziano di unirsi alla coalizione militare anti-Isis e, nel contempo, cercare di riannodare i rapporti con l’Arabia Saudita, non pare risolutiva, almeno a fini interni.

Ovvio che in un momento di ridefinizione generale degli equilibri di potere nella Regione, l'Egitto non possa permettersi un profilo di secondo piano, visto il peso militare, politico e culturale del Paese in tutto il mondo arabo. Ma aggiungersi alla coalizione occidentale - dove ci sono Turchia e Arabia Saudita, che in realtà appoggiano l’Isis per motivi diversi - ha ulteriormente sollecitato l’attivismo interno degli islamisti e ha riproposto in forma evocativa le scelte di politica del regime di Mubarak, riavvolgendo così il nastro della politica egiziana a prima delle Primavere arabe e fornendo armi alla propaganda terroristica.

Anche la Russia aveva evitato di riconoscere l’attentato immediatamente, giacchè l’assenza di riscontri e il parziale danneggiamento della scatola nera del velivolo rendevano arduo il formarsi di un convincimento netto al riguardo. E anche perché Mosca ha piena consapevolezza di come l’eventuale conferma dell’attentato cambi decisamente lo scenario e il contesto del suo intervento in Siria. Mosca, con questo attentato, passa infatti dall’essere soggetto attivo nell’attacco alle postazioni islamiste in Siria al ruolo di vittima del terrorismo islamico.

E’ probabile che la risposta russa non si farà attendere ed è ipotizzabile che i pur positivi risultati dei colloqui internazionali con gli altri protagonisti della guerra siriana, che hanno riconosciuto alla Russia un ruolo di primo piano, alla luce di questo attentato non potranno che far crescere il suo peso nell’area. In fondo, l’incremento della presenza militare statunitense sul teatro siriano, ha anche l’obiettivo di non lasciare troppo campo ai russi.

Ma da ora sarà ancor più difficile limitare l’intervento russo attestandolo sulla difesa delle sue basi e della capitale. L’attentato subìto, in questo senso, cambia il quadro generale e la stessa legittimazione dell’intervento militare di Mosca risulta maggiore. Se infatti l’intervento in Siria faceva leva sulle necessità geopolitiche della Russia, ora il tema della sicurezza russa diverrà parallelo a quello della sicurezza mediorientale, diventando la seconda gamba su cui far marciare le truppe moscovite.

Sul piano interno, Putin potrà far leva sul nazionalismo russo: pur essendo scenari e conflitti completamente diversi, la memoria del conflitto ceceno è ancora viva nel Paese e dover contare le vittime civili del terrorismo islamico non potrà che far crescere il già ampio consenso popolare alle scelte del Cremlino. Viene superato, in sostanza, l’intervento a sostegno di Assad e per la cacciata del terrorismo islamico dalla Siria; l’attentato alla sua aviazione civile porta anche formalmente la Russia in guerra aperta contro il terrorismo islamista in tutto il Medio Oriente.

Sarà dunque maggiore il ruolo che la Russia rivendicherà nelle scelte di riordino dell’area, ma sarà anche l’elemento che comporterà un diverso agire. Se il Cremlino pensava che l’intervento in Siria potesse essere di breve durata e intensità, ora dovrà rivedere i calcoli.





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