di Michele Paris

L’ennesimo gravissimo “danno collaterale” dell’occupazione statunitense dell’Afghanistan è stato registrato nelle primissime ore di sabato contro un ospedale gestito da Medici Senza Frontiere nella località di Kunduz. Nella città settentrionale del paese centro-asiatico da oltre una settimana sono in corso duri combattimenti tra l’esercito di Kabul, le forze di occupazione NATO e i Talebani, i quali erano riusciti a conquistare questo importante centro urbano, il primo dall’invasione del 2001.

In uno scenario raccapricciante che ha ricordato le stragi dell’alleato israeliano a Gaza durante l’aggressione militare dell’estate 2014, l’attacco dell’aviazione militare USA ha assassinato 19 persone presenti nella struttura. 12 vittime risultano essere membri dello staff dell’ospedale, mentre sette sono i morti tra i pazienti, di cui tre bambini. I feriti a seguito del bombardamento, trasferiti in volo a Kabul, sono invece una quarantina.

Di fronte gravità dell’accaduto, i vertici militari americani hanno dovuto subito ammettere la loro responsabilità. Il Pentagono ha fatto però ricorso alle consuete dichiarazioni di circostanza, parlando appunto di “danno collaterale”, avvenuto nel corso di un’operazione che aveva come obiettivo combattenti talebani che “stavano minacciando” l’esercito afghano e le Forze Speciali USA dispiegate a Kunduz.

L’orrore descritto dai sopravvissuti è simile a quello provocato innumerevoli volte dalle azioni contro la popolazione civile da parte delle forze americane e degli altri paesi NATO impegnati in Afghanistan. Alcuni infermieri che prestavano servizio nell’ospedale hanno raccontato di colleghi e pazienti bruciati vivi in seguito agli incendi scatenati dalle bombe.

A sottolineare la criminalità dell’azione americana c’è poi il fatto, riferito da Medici Senza Frontiere, che il bombardamento è continuato per una mezz’ora dopo che le forze armate di Afghanistan e Stati Uniti erano state informate che l’attacco aveva preso di mira un ospedale. Inoltre, la stessa organizzazione umanitaria francese aveva chiaramente fornito le coordinate satellitari relative alla precisa collocazione dell’ospedale e delle strutture annesse.

Dipendenti di Medici Senza Frontiere hanno anche affermato che nell’ospedale non erano presenti Talebani, né avevano notato combattimenti nelle immediate vicinanze. Per un portavoce della polizia di Kunduz, al contrario, alcuni combattenti talebani erano entrati nell’ospedale, utilizzato come postazione di fuoco. Il New York Times, tuttavia, ha riferito che le forze di sicurezza afghane nutrivano da tempo del risentimento nei confronti di Medici Senza Frontiere, poiché nella struttura della città e altrove l’organizzazione presta assistenza ai feriti che combattono da entrambe le parti del conflitto.

Della strage ha dovuto parlare nel fine settimana anche il presidente Obama, il quale ha presentato le proprie condoglianze alle vittime e ha definito l’accaduto un “tragico incidente”. In realtà, l’unico scrupolo è rappresentato dai riflessi negativi tra l’opinione pubblica in Afghanistan e nel resto del mondo per il nuovo massacro indiscriminato di civili condotto da una forza che dovrebbe ufficialmente combattere la barbarie fondamentalista.

Più aderente all’attitudine dei vertici politici e militari americani è stata la reazione del comandante delle forze di occupazione USA in Afghanistan, generale John Campbell. In un comunicato ufficiale, quest’ultimo ha di fatto giustificato l’attacco, poiché portato a termine nel quadro di un’offensiva contro gli “insorti” che, nei pressi dell’ospedale, stavano prendendo di mira soldati americani e afghani.

Episodi come quello registrato sabato a Kunduz non rappresentano semplici “errori”, “incidenti” o tragiche “fatalità” di una guerra giusta. La morte violenta di migliaia di civili provocata direttamente dal fuoco di forze armate che dovrebbero proteggerli o liberarli dalla minaccia dell’insurrezione talebana è invece la logica conseguenza di un’occupazione illegale e di una guerra criminale condotta per motivi riconducibili soltanto agli interessi strategici di Washington.

Allo stesso modo, i livelli di violenza generati dalle politiche legate alla proiezione del potere della classe dirigente USA, sia sul fronte estero ma anche domestico, come dimostra l’ennesima strage in una scuola americana solo poche ore prima dei bombardamenti sull’ospedale di Kunduz, sono inestricabilmente connessi al declino dell’influenza internazionale di questo paese e del suo sistema economico.

L’evoluzione del pianeta verso il multipolarismo comporta una reazione sempre più aggressiva da parte della potenza americana declinante, la quale ricorre in maniera drammaticamente frequente alla forza militare per conservare la propria supremazia nelle aree strategicamente più delicate del globo. Da qui, il ripetersi di interventi militari, con le annesse inevitabili violenze e stragi di civili, condotti in maniera diretta o per procura, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria.

Ciò trova conferma soprattutto in Afghanistan, dove in questi anni si sono susseguiti gli annunci dei ritardi e dei rinvii del ritiro del contingente di occupazione. Le operazioni di combattimento da parte delle forze NATO sono ufficialmente terminate il 31 dicembre 2014, anche se la battaglia in corso per Kunduz sembra smentirlo, mentre il ritiro delle truppe di occupazione americane – a tutt’oggi poco meno di 10 mila – potrebbe slittare addirittura alla fine del 2017.

Alla strage dell’ospedale di Medici Senza Frontiere sono comunque seguite le consuete condanne delle Nazioni Unite, con il Segretario Generale, Ban Ki-moon, che ha peraltro sollevato questioni di opportunità non molto diverse da quelle che stanno con ogni probabilità discutendo i vertici politici e militari americani. L’ex diplomatico sudcoreano ha invitato Washington a valutare come le vittime civili provochino “l’ostilità della popolazione afghana” e mettano a repentaglio “le relazioni con il governo” di Kabul.

Sia Ban Ki-moon che l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il principe giordano Zeid Ra’ad al-Hussein, hanno chiesto una “indagine imparziale” sulla strage, così come Obama ha fatto riferimento a quella in corso all’interno del Dipartimento della Difesa nel suo intervento pubblico di sabato. In entrambi i casi, come è accaduto puntualmente in passato, qualsiasi sforzo in questo senso risulterà inutile, se non nella misura in cui garantirà, come sempre, l’occultamento delle responsabilità dell’imperialismo a stelle e strisce.

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