di Fabrizio Casari

Dopo più di un anno dagli eventi, il caso Ayotzinapa continua, legittimamente, a scuotere il Messico. La relazione diffusa ieri dagli esperti designati dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, stabilisce con nettezza errori e sciatterie dei rapporti di polizia che, nella loro complessità, rendono completamente inaffidabile il risultato delle indagini ufficiali.

Quello che la relazione non dice apertamente, ma che emerge comunque con sufficiente nettezza dalla sua lettura, è che gli abusi, gli occultamenti e le distruzioni di prove, insieme al rifiuto di prendere in considerazioni altri scenari a seguito dei sopralluoghi e delle successive testimonianze, ben più che imperizia ed approssimazione configurano una voluta, decisa deviazione nell’attività investigativa della polizia.

Nella versione ufficiale dell’accaduto, diramata dall’allora Procuratore Generale del Messico, Jesus Murillo Karam, recentemente destituito, si sosteneva che il fermo dei 43 studenti “normalistas” di Ayotzinapa era stato operato da agenti della polizia locale. In seguito, gli stessi agenti li avrebbero “consegnato” ai narcos che, come punizione per le proteste contro il governo dello Stato di Guerrero, avrebbero ucciso e quindi bruciato i corpi degli studenti sequestrati. Il luogo del crimine orrendo, secondo quanto riferiva la polizia, sarebbe stato la vicina discarica di Cocula. Le basi testimoniali di ciò sono rappresentate da persone minacciate e risultano stridenti di fronte agli esami forensi.

La relazione definisce quindi del tutto falsa la ricostruzione ufficiale, dato che i periti (messicani e stranieri) convocati per fare luce sull’avvenuto, a seguito dei rilevamenti operati sul posto hanno escluso categoricamente che la discarica di Cocùla sia stato il teatro dell’incenerimento di 43 cadaveri. Dunque la relazione degli esperti smentisce categoricamente la parte conclusiva della ricostruzione ufficiale.

C’è poi tutta la parte precedente al presunto assassinio dei 43 scomparsi e riguarda gli scontri e il fermo degli studenti. Anche qui si evidenzia la totale oscurità della ricostruzione ufficiale e l’assoluta reticenza dei rapporti di polizia. Diversamente da quanto divulgato dalla Procura della Repubblica non vi sono prove della consegna degli studenti ad un gruppo di narcos, meno che mai della loro uccisione.

Vi sono invece testimonianze che riferiscono di abusi della polizia sugli studenti fermati, di minacce ai testimoni oculari e di ulteriori fatti che smentiscono la ricostruzione addomesticata delle fonti ufficiali, che parlano di quattro autobus sulla scena del sequestro dei 43 studenti. Viene invece confermata da diverse testimonianze e dalla ricostruzione indipendente  la presenza sulla scena di un quinto autobus.

Nella versione ufficiale il quinto autobus adibito al trasporto degli studenti sarebbe stato distrutto dagli studenti stessi nel corso dei tafferugli, ma i testimoni oculari lo smentiscono con forza e indicano che potrebbe essere invece proprio quello con il quale sono stati portati via gli studenti.

E sono tante le evidenziazioni di buchi enormi nelle indagini: una tra tante, il rifiuto da parte della polizia di esaminare i video delle telecamere della zona fin quando gli investigatori del CDHI non lo hanno ordinato, ma ormai troppo tardi e con i video già distrutti.

Com’era prevedibile, la Procura Generale ha respinto le conclusioni della CIDH ed ha ribadito che i corpi degli studenti sono stati inceneriti. Ciononostante, il Procuratore Generale, Arely Gòmez, ha immediatamente ordinato una nuova perizia. Lo stesso Presidente della Repubblica si è detto disposto ad andare fino in fondo, anche se nessuno gli crede.

Non è compito della Commissione Interamericana per i Diritti Umani denunciare le responsabilità politiche nell’accaduto ed evidenziare il contesto completamente illegale nel quale lo Stato di Guerrero in particolare, ma tutto il Messico in generale, vive. Per fare questo i familiari dei 43 scomparsi si sono mossi, senza sosta, in patria e all’estero per sollecitare attenzione, per chiedere di esercitare pressioni su un Paese molto diverso da quello che il manichino di Televisa, Enrique Pena Nieto, racconta in favore di telecamere.

Lo scopo dell’indagine commissionata agli esperti internazionali era quello di verificare la congruità della versione ufficiale che ha dato per chiuse le indagini e archiviato il caso. E invece no. La relazione evidenzia come il caso non sia affatto chiuso, invita la polizia a raddoppiare gli sforzi per catturare i responsabili del sequestro degli studenti, chiarirne il destino ed indagare in forma esaustiva sui legami tra forze dell’ordine e criminalità.

La pratica di far scomparire le persone che cadono nelle loro mani è la caratteristica principale della polizia messicana. Le stesse indagini sul caso di Ayotzinapa hanno portato alla luce l’esistenza di fosse comuni di decine di corpi nella zona di Iguala. Zona nella quale ci sono più di 300 indagini ancora aperte per denunce di persone scomparse. Un vero e proprio flagello che colpisce quasi ogni lembo del Paese, basti pensare che nel solo 2104, sono state oltre 25.000 secondo il registro dei dati ufficiale.

E trattasi di stima per difetto, visto che in diversi casi, per diversi motivi, la scomparsa di una persona non viene nemmeno denunciata per evitare i rischi connessi in alcuni casi o perché gli scomparsi non dispongono di familiari che denuncino la loro assenza.

Gli studenti di Ayotzinapa, in questo senso, sono poi persino simbolicamente un obiettivo adeguato per il crimine istituzionale, che appunto si esprime negli stati controllati dal PRI o dal PAN o anche dal PRD (Guerrero è uno di questi ultimi).

Quei 43 scomparsi rappresentano una scuola nata per i poveri, a destinazione sociale e con spirito di riscatto per chi solo nella conoscenza può vedere mutare il suo infame destino; a vocazione decisamente ribelle, è indigesta ai fautori della paura come modello per il quotidiano. Una scuola di sinistra, certo, ma soprattutto priva di terrore, è divenuta vittima del terrorismo di Stato.


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