di Michele Paris

Il sovrano saudita Salman bin Abdulaziz, salito al trono tre mesi fa dopo la morte del fratellastro Abdullah, ha decretato questa settimana un importante cambiamento nella linea di successione alla guida della monarchia, aprendo la strada a una nuova generazione di principi pur ancorando il regno del Golfo Persico all’alleanza strategica con Washington e alla tradizione oscurantista che lo contraddistingue.

Il 79enne Salman ha escluso dalla discendenza al trono l’ormai ex principe ereditario, il fratellastro 69enne Muqrin bin Abdulaziz, sostituendolo con colui che doveva essere il successore di quest’ultimo, ovvero il nipote Mohammed bin Nayef. Per gli standard della casa regnante dell’Arabia Saudita, con i suoi 55 anni Nayef è decisamente giovane e rappresenta il primo erede al trono che non sia un figlio - bensì nipote - del fondatore del regno nel 1932, Abdulaziz ibn Saud.

Nayef ricopre un ruolo cruciale nell’apparato della sicurezza nazionale saudita, essendo ministro dell’Interno dal 2012, quando prese il posto del defunto padre, Nayef bin Abdulaziz. All’interno del sistema di potere di Riyadh, il neo-principe ereditario è tra i più accesi sostenitori di una politica estera aggressiva, mentre ben noti sono i suoi legami con gli Stati Uniti.

A conferma della volontà di re Salman di rinsaldare i legami della casa regnante con le forze di sicurezza saudite vi è anche la nomina, potenzialmente ancora più importante, del vice-principe ereditario, il figlio Mohammed bin Salman, ministro della Difesa dallo scorso mese di gennaio dopo l’ascesa al trono del padre.

Mohammed ha una trentina d’anni e ricopre anche l’incarico di segretario della corte reale, essendo così in contatto continuo con il sovrano. Nella sua veste di ministro della Difesa, Mohammed ha la responsabilità dell’aggressione militare in corso contro lo Yemen, ma anche delle operazioni saudite negli altri teatri di guerra mediorientali, a cominciare da quello in Siria e in Iraq, ufficialmente per combattere le forze dello Stato Islamico (ISIS) a fianco di Washington.

Mohammed viene considerato da molti analisti come “l’uomo degli Stati Uniti” negli ambienti della sicurezza di Riyadh, così come profondi legami con il governo americano vanta un altro beneficiario delle recentissime nomine fatte dal sovrano, l’ex ambasciatore saudita a Washington, Adel al-Jubeir.

Quest’ultimo è diventato il nuovo ministro degli Esteri dopo la rimozione del 75enne Saud Al Faisal, il quale ha mantenuto il suo incarico addirittura per quattro decenni. Jubeir era stato protagonista poco più di un mese fa dell’annuncio pubblico dell’inizio delle operazioni belliche in Yemen nel corso di una insolita conferenza stampa negli USA e sarà il primo ministro degli Esteri saudita non appartenente alla famiglia reale dal 1962.

Le nomine di re Salman sembrano riflettere dunque il tentativo di far fronte alla crisi del regno con il consolidamento del potere nelle mani di personalità dall’orientamento ultra-reazionario, sia sul piano domestico che regionale. Nel primo caso, anche le modestissime “riforme” politiche e sociali intraprese o abbozzate da re Abdullah saranno messe da parte in nome del rafforzamento dei principi religiosi medievali wahhabiti.

Sul fronte internazionale, invece, i cambiamenti registrati a Riyadh segneranno un ulteriore intensificarsi dello scontro tra i regimi sunniti, come quello saudita, e l’arco della resistenza sciita mediorientale, in particolare l’Iran. Il tutto, come conferma la vicinanza a Washington dei prescelti dal sovrano, in sintonia con l’alleato americano.

Le nomine di re Salman potrebbero in ogni caso essere state accolte non senza malumori all’interno della famiglia reale. Il principe Muqrin, ad esempio, prima di essere brevemente nominato primo erede al trono nel mese di gennaio, era stato scelto come secondo in linea di successione nel 2013 da un decreto di re Abdullah che avrebbe dovuto essere sostanzialmente irrevocabile.

Ciononostante, Salman ha liquidato Muqrin senza troppi scrupoli nei confronti del suo predecessore, anche se per salvare le apparenze da Riyadh è subito circolata la notizia che sarebbe stato lo stesso Muqrin a chiedere al sovrano di venire escluso dalla linea di successione al trono.

Molto più probabile, tuttavia, è che Muqrin - ritenuto un fedelissimo del defunto re Abdullah - sia stato messo da parte a causa delle sue posizioni relativamente “liberali”, con ogni probabilità condivise da una parte dei membri della sterminata famiglia Al Saud. Muqrin, inoltre, secondo alcuni aveva espresso un certo scetticismo per l’avventura militare in Yemen, rendendolo immediatamente sgradito alla cerchia di potere promossa dal nuovo sovrano.

Gli intrighi e i rapporti di forza all’interno della corte di Riyadh si sovrappongo così agli orientamenti politici e strategici del regno. La marginalizzazione di Muqrin comporta infatti il ristabilimento del cosiddetto clan dei Sudairi in una posizione dominante in Arabia Saudita.

Questa potente fazione è formata dai discendenti di Abdulaziz ibn Saud e Hassa bint Ahmed Al Sudairi, una delle 22 mogli del fondatore del regno. Di questo clan fanno parte, oltre a re Salman, sia il neo-principe ereditario, Mohammed bin Nayef, sia il secondo in linea di successione al trono, Mohammed bin Salman.

Secondo un esperto della realtà saudita citato dalla testata on-line Middle East Eye, il consolidamento della fazione Sudairi è un passo decisivo nello “smantellamento delle disposizioni per la successione decise da re Abdullah” che, da ultimo, avrebbero dovuto portare sul trono il figlio Mutaib.

In definitiva, le nomine di re Salman intendono suggellare il riallineameto strategico tra Riyadh e Washington dopo le relative frizioni registrate negli ultimi anni del regno di Abdullah con l’amministrazione Obama. Ancor più, la nuova linea di successione al trono conferma il ruolo del regime saudita in Medio Oriente come baluardo della reazione e del fronte ultra-settario sunnita, messo in crisi dal progressivo ritorno dell’Iran sciita sulla scena internazionale.

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