di Fabrizio Casari

Il Vertice delle Americhe che comincia oggi a Panama, che tutti si augurano possa offrire passi avanti sul terreno delle relazioni tra America latina e Stati Uniti, non è iniziato nel migliore dei modi. Alla vigilia dell’inaugurazione dei lavori, le delegazioni cubane e venezuelane presente al Foro della società civile si sono trovate a dover assistere alla presenza di agenti della CIA di origini cubana spacciati come rappresentanti della società civile dell’isola.

La reazione dei rappresentanti autentici delle organizzazioni sociali cubane è stata immediata e, dopo aver chiesto l’allontanamento dei mercenari alle autorità panamensi, hanno abbandonato l’inaugurazione come reazione alla presenza di terroristi e mercenari cui il governo di Panama ha permesso di accreditarsi nei diversi Fori previsti al margine dei lavori istituzionali.

Per solidarietà con i cubani, anche la delegazione venezuelana ha abbandonato i lavori dell’inaugurazione. A caratterizzare ulteriormente l’autentica fede della gusanera, tra mercoledì e giovedì l’ambasciata cubana a Panama City e il pullman che ospitava la delegazione cubana, sono stati oggetto di provocazioni che hanno obbligato la polizia di Panama ad intervenire per evitare guai peggiori.

Tanto la delegazione cubana come quella venezuelana ovviamente parteciperanno al Foro, non avendo intenzione di lasciare i lavori di quello che poteva essere un primo, positivo incontro tra le diverse organizzazioni delle società civili latinoamericane e c’è da scommettere che non sarà semplice per i mercenari assistervi.

Se per i diversi paesi presenti, i rispettivi settori della società civile hanno, in qualche modo, la legittima rappresentanza di settori popolari, nei confronti di L’Avana e Caracas il Dipartimento di Stato USA ha deciso di forzare le maglie “molto amichevoli” del governo panamense per provare a mettere in scena la provocazione.

L’arrivo a Panama di cotanta immondizia è infatti una mossa degli Stati Uniti, che hanno tentato un’operazione di accreditamento internazionale dei loro manutengoli di stanza in Florida. Non si capisce quale dovrebbe essere la loro rappresentazione della società civile cubana, giacché la maggior parte vivono a Miami e quei pochi che risiedono a Cuba sono stipendiati dal governo statunitense per costruire dall’interno campagne di destabilizzazione. Cavallo di Troja delle attività sovversive degli Stati Uniti, sebbene ignoti ai cubani, sono però notissimi agli amministratori dei fondi statunitensi contro l’isola.

Come svelarono i documenti pubblicati da Wikileaks riguardanti le comunicazioni tra Washington e l’Ufficio d’interessi USA a L’Avana dal 2008 al 2010, il convincimento del Dipartimento di Stato è che “il movimento dissidente a Cuba è completamente sconnesso dalla realtà dei cubani” e che i loro membri siano “viziati dall’avidità e dall’ego personale”. Dunque persino Washington sa di che pasta sono fatti i componenti della colonna interna delle truppe mercenarie impiegate nella guerra contro il governo dell’isola, che non sembrerebbe essere il principio-guida su cui nascono le organizzazioni della società civile.

E nonostante l’ordine di grandezza sia ridicolo, non c’è sigla che non abbia sollecitato e ricevuto denaro per la loro attività cospirativa. Benché siano incapaci ricevono denaro a sufficienza, perché spargere menzogne è un lavoro che non ha bisogno di particolari abilità professionali.

Ma il fatto che – come gli stessi Stati Uniti ammettono – non abbiano il benché minimo seguito nell’isola, ha un’importanza relativa ai fini del loro utilizzo. La campagna anticubana che gli USA finanziano con decine di milioni di dollari all’anno ha bisogno di poter dimostrare che qualcuno si arruola, non fosse altro per evitare che l’anno successivo i fondi diminuiscano e la giostra s’interrompa. Sarebbe la fine della cuccagna dei fondi senza controllo sui quali mettono le mani a Miami.

Ma che c’entrano i mercenari con la società civile? A che titolo essi possono parlare a nome della società civile di Cuba? Personaggi come Costa Morua, Elisardo Sanchez, Berta Soler, Yoani Sanchez, Guillermo Farinas e altri tolgono ogni credibilità al Foro, e la presenza di Felix Rodriguez Mendeguita ha addirittura seppellito la pubblica decenza.

Felix Rodriguez, agente CIA e socio di Posada Carriles, il “bin Ladin delle Americhe”, oltre ad essere colui che guidò i soldati boliviani al nascondiglio di Ernesto Guevara, è stato al centro di ogni attività terroristica ella CIA in America Latina ed è noto il suo coinvolgimento nell’Iran-Contras-gate, l’operazione di finanziamento illegale della CIA ai terroristi Contras in Nicaragua finanziato con i proventi della vendita di armi (sotto embargo) all’Iran.

Il Vertice presenta comunque aspetti politici di assoluto rilievo rispetto ad altri nel passato. Vede il rientro di Cuba dopo che per decenni era stata esclusa per volontà del governo degli Stati Uniti. Una novità resasi inevitabile viste le pressioni di Brasile, Argentina, Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua, giunti in diversi momenti a minacciare di disertare i lavori se Cuba non fosse stata riammessa. Peraltro, il dialogo tra Washington e L’Avana sembra proseguire lentamente ma decisamente: ieri il Dipartimento di Stato ha chiesto alla Casa Bianca di togliere Cuba dalla “black list”, ovvero la lista dei paesi che gli USA ritengono “patrocinatori del terrorismo”.

Ovviamente Cuba niente aveva a che vedere con il sostegno al terrorismo, esclusiva degli alleati di Washington nel Golfo Persico e in Medio Oriente, ma la misura è politicamente importante, dal momento che la “black list” è sempre stata utile premessa per embarghi, minacce ed invasioni verso i suoi componenti. Quella della rimozione di Cuba dalla “black list” era una delle richieste inderogabili che L’Avana aveva posto per proseguire il dialogo su basi serie e non solo per effetti propagandistici e che alla vigilia del Vertice delle Americhe gli USA diano visto bueno è certamente un passo avanti nella giusta direzione.

Novità anche per quanto riguarda le minacce rivolte al Venezuela. Il presidente Obama, in una intervista durante una visita-lampo in Giamaica, ha affermato che “il Venezuela non è una minaccia alla sicurezza nazionale degli USA e gli USA non sono una minaccia per il Venezuela”. Una decisa retromarcia, dunque, da quanto da lui stesso firmato in calce al Decreto Presidenziale dello scorso Marzo, dove il Venezuela veniva invece catalogato come “minaccia”.

Probabilmente Obama ha compreso l’errore strategico di un atto che ha compattato il popolo venezuelano e quasi tutta l’America Latina con il governo di Nicolas Maduro, ben oltre le differenze politiche pure esistenti, vedi il caso della Colombia di Santos.

Tra provocazione allo stato puro e barlumi di aperture politiche, gli Stati Uniti sembrano comunque voler giocare ancora una volta una partita aggressiva, riconfermando alla destra latinoamericana come qualunque novità nel subcontinente, per quanto dotata di maquillage, non comporterà un sostanziale cambio di approccio tra il gigante del nord e quello che si ostina a ritenere “il giardino di casa”.

Le aperture a Cuba e i passi indietro nei confronti del Venezuela si accompagnano all’aumento della pressione politica e del dispiegamento di militari lungo tutto il continente. Il Vertice si concluderà domenica e solo la dichiarazione finale dirà se prevarranno gli aspetti innovatori o quelli più imperiali nel proseguimento delle relazioni tra Centro-Sud e Nord America. E’ lecito non farsi soverchie illusioni: la dottrina Monroe è ancora vigente, diversamente i mercenari sarebbero rimasti a Miami.





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