di Michele Paris

Una giuria composta da dodici membri ha giudicato il 22enne di origine cecena, Dzhokhar Tsarnaev, colpevole di tutti e 30 i capi d’accusa a suo carico per avere fatto esplodere assieme al fratello deceduto, Tamerlan, due bombe artigianali sulla linea del traguardo della maratona di Boston il 15 aprile 2013. Il verdetto era ampiamente prevedibile, anche alla luce della strategia difensiva, ma, in maniera altrettanto prevedibile, il breve processo svoltosi nella metropoli del Massachusetts ha sorvolato sui numerosi punti oscuri di una vicenda culminata con la morte di tre persone e il ferimento di altre 264.

Tsarnaev è stato condannato anche per l’omicidio di un agente della polizia del Massachusetts Institute of Technology, avvenuto durante il tentativo di fuga dei due fratelli tre giorni dopo l’attentato. 17 dei 30 capi d’accusa formulati dalla procura federale comportano l’esecuzione capitale come pena massima.

Nello stato del Massachusetts non è in realtà contemplata la pena di morte ma il processo a Tsarnaev è stato intentato nel circuito federale che invece continua a prevederla. L’entità della pena disposta nei confronti del giovane ceceno verrà decisa al termine della seconda fase del processo che dovrebbe avere inizio già nei prossimi giorni e durare un paio di settimane.

La pena capitale è appoggiata da una minima parte della popolazione nel nord-est degli Stati Uniti. Tuttavia, in fase di selezione i dodici membri della giuria sono stati obbligati a giurare di essere pronti a emettere una sentenza di condanna a morte se i fatti presentati in aula fossero stati sufficientemente gravi.

Agli avvocati della difesa, in ogni caso, basterà convincere anche uno solo dei giurati che non vi sono gli estremi per una sentenza capitale, così da risparmiare il patibolo al loro assistito. Su questo obiettivo minimo, e sulla ricerca di una condanna all’ergastolo senza possibilità di libertà condizionata, si è basata d’altra parte la strategia difensiva durante la prima fase del processo.

Il verdetto di colpevolezza non era mai apparso in dubbio, visto che l’avvocato difensore Judy Clark aveva ammesso durante la propria arringa d’apertura che non vi erano dubbi sul fatto che Dzhokhar avesse partecipato all’attentato. Quest’ultimo, però, era stato a suo dire interamente influenzato dal vero ideatore del piano, il fratello maggiore Tamerlan, convenientemente ucciso dalla polizia il 18 aprile del 2013 durante una spettacolare caccia all’uomo che aveva di fatto determinato la sospensione per alcune ore delle libertà democratiche di milioni di persone nell’area di Boston.

Il piano scelto dalla difesa ha lasciato così ampio spazio alle tesi dell’accusa nel corso del dibattimento, con ben 92 testimoni sfilati davanti ai giurati, inclusi vari sopravvissuti all’attentato. In aula sono stati descritti nel dettaglio molti particolari raccapriccianti dei momenti seguiti all’esplosione, così come è stata mostrata la piccola imbarcazione privata in cui Dzhokhar si era nascosto per sfuggire inutilmente alla cattura e sulla cui parete, malgrado il buio e gli spari degli agenti di polizia, avrebbe scritto in maniera perfettamente leggibile alcune frasi di odio contro gli Stati Uniti per il trattamento riservato ai musulmani in molte parti del pianeta.

La difesa, da parte sua, ha convocato solo quattro testimoni e non ha praticamente mai contro-interrogato quelli dell’accusa. Secondo alcune stime, il tempo complessivo utilizzato dalla difesa durante il dibattimento è stato di appena cinque ore.

La colpevolezza di Dzhokhar Tsarnaev nella pianificazione e nell’esecuzione della strage di Boston sembra in ogni caso chiara, come avevano confermato anche i filmati di sorveglianza che lo hanno ritratto nei momenti precedenti e successivi alle esplosioni.

Sull’intera vicenda pesano tuttavia interrogativi irrisolti e, anzi, frequentemente oscurati dalle autorità, talvolta anche con il ricorso a metodi estremi. Quest’opera di insabbiamento è stata possibile anche grazie alla collaborazione dei media ufficiali, ben attenti a non sollevare le questioni più delicate collegate a uno dei fatti di terrorismo più gravi accaduti negli USA dopo l’11 settembre 2001.

Per cominciare, la notizia ampiamente diffusa delle segnalazioni inviate dalle autorità russe all’FBI e alla CIA nel 2011 e nel 2012 sui contatti di Tamerlan Tsarnaev con ambienti terroristici ceceni non è mai stata approfondita né spiegata in modo convincente.

L’FBI ha sostenuto di avere condotto indagini su Tamerlan ma di non avere trovato informazioni che meritassero una maggiore attenzione, così che nel 2012 gli sarebbe stato possibile effettuare indisturbato un viaggio di sei mesi nelle repubbliche caucasiche russe della Cecenia e del Daghestan, entrando probabilmente in contatto con ambienti jihadisti notoriamente sostenuti dalla CIA.

Ciò appare ancora più sconcertante alla luce dei sospetti che la polizia americana doveva avere sul coinvolgimento di Tamerlan in un triplice omicidio avvenuto l’11 settembre 2011 in un appartamento di Waltham, nel Massachusetts, tra le cui vittime figurava un suo amico intimo.

Dopo l’attentato alla maratona, inoltre, i familiari dei due fratelli Tsarnaev avevano dichiarato in varie interviste che l’FBI aveva interrogato più volte Tamerlan, così come la sua abitazione era stata perquisita in più occasioni. Secondo la madre, poi, gli agenti federali non avevano nascosto i propri timori sulla pericolosità dello stesso Tamerlan.

L’FBI, la CIA e il dipartimento della Sicurezza Interna erano quindi a conoscenza delle attività e delle inclinazioni dei responsabili degli attentati del 2013 ma non hanno mai informato gli altri membri della task force congiunta per l’anti-terrorismo nell’area di Boston, cioè le autorità locali di polizia. Questa mancanza da parte delle agenzie federali è stata sempre definita come un semplice errore o la conseguenza dello scarso coordinamento tra i vari organi della sicurezza nazionale.

Almeno su una parte di queste oscure vicende avevano provato a fare luce i legali di Dzhokhar Tsarnaev, quando lo scorso anno nelle fasi preliminari del processo avevano rivelato il tentativo da parte dell’FBI di reclutare Tamerlan come informatore. Gli avvocati avevano così chiesto alla corte federale distrettuale la consegna di tutti i documenti del “Bureau” relativi al più anziano dei fratelli Tsarnaev. L’istanza è stata però respinta dopo che il governo si è appellato alla necessità di proteggere la “sicurezza nazionale”.

Un’altra rivelazione aveva contribuito ad alimentare i dubbi sugli oscuri rapporti tra le agenzie federali americane e la famiglia Tsarnaev. Uno zio dei due fratelli, Ruslan Tsarni, era stato identificato come il fondatore nel 1995 del cosiddetto Congresso delle Organizzazioni Internazionali Cecene (CCIO), da molti considerato uno strumento della CIA per fornire armi ai ribelli della repubblica autonoma russa nel Caucaso.

La sede del CCIO risultava essere presso un indirizzo di Rockville, nel Maryland, corrispondente all’abitazione di Graham Fuller, vice-direttore del Consiglio per l’Intelligence Nazionale della CIA durante la presidenza Reagan e agente segreto operativo in molti paesi, tra cui Afghanistan, Yemen e Arabia Saudita, prima di lasciare ufficialmente l’agenzia nel 1988 a causa del suo coinvolgimento nello scandalo Iran-Contras. A conferma dei legami tra Tsarni e Fuller, entrambi avevano confermato che la figlia di quest’ultimo era stata sposata con lo zio dei fratelli Tsarnaev negli anni Novanta.

Sempre l’FBI aveva infine messo a tacere poco più di un mese dopo l’attentato di Boston un possibile testimone delle vicende legate ai fratelli Tsarnaev. Il 27enne ceceno Ibragim Todashev, amico di Tamerlan, era stato infatti ucciso nel corso di un interrogatorio nella sua abitazione di Orlando, in Florida, in circostanze a dir poco dubbie.

Il resoconto della morte di Todashev fatto dall’FBI era stato smentito clamorosamente dai rapporti dell’autopsia e da indagini giornalistiche indipendenti che hanno mostrato come il giovane immigrato non aveva tenuto alcun comportamento minaccioso nei confronti degli agenti che lo stavano interrogando.

Nessuna delle questioni suddette è stata dunque sollevata durante il processo a Dzhokhar Tsarnaev, tanto meno dalla difesa di quest’ultimo. Il procedimento in aula si è risolto così in uno spettacolo attentamente coreografato, con l’obiettivo di tenere nascosta la verità dietro alle bombe di Boston e di servire una condanna già pronta da tempo all’unico imputato della strage.

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