di Mario Lombardo

Uno scontro interno al partito Repubblicano è in atto in questi giorni al Congresso americano attorno all’approvazione del bilancio federale per il prossimo anno, con il tetto delle spese militari al centro della diatriba. Mentre la classe politica degli Stati Uniti sta cercando di trovare un qualche espediente per neutralizzare i limiti imposti per legge agli stanziamenti destinati al Pentagono, non vi è traccia di una vera opposizione ai drastici tagli che si prospettano per i programmi sanitari pubblici più popolari.

La Camera dei Rappresentanti e il Senato, entrambi a maggioranza repubblicana, hanno recentemente presentato un proprio progetto di bilancio all’insegna dell’austerity più estrema. Oltre a prevedere l’abrogazione della “riforma” sanitaria di Obama, le due proposte di legge includono misure sostanzialmente simili per far fronte a quella che viene definita la “insostenibilità” di Medicare e Medicaid, le coperture sanitarie pubbliche riservate rispettivamente agli anziani e agli americani a basso reddito, ma anche dei buoni alimentari (“food stamps”), distribuiti in questi anni di crisi a un numero crescente di persone.

Le modifiche a Medicare proposte dai repubblicani della Camera prevedono la trasformazione di questo programma in un sistema di “voucher”, con i quali coloro che, per così dire, ne beneficiano dovrebbero acquistare prestazioni sanitarie – evidentemente razionate – sul mercato privato.

La gestione di Medicaid e dei buoni alimentari passerebbe invece totalmente ai singoli stati americani, i quali dovrebbero far bastare stanziamenti federali predefiniti, anche in questo caso razionando sensibilmente i servizi offerti.

I numeri del bilancio proposto dal Senato indicano a sufficienza la devastazione che si prospetterebbe per questi programmi e le conseguenze su decine di milioni di americani delle classi più disagiate. Nei prossimi dieci anni, Medicare perderebbe 430 miliardi di dollari e Medicaid 400. Complessivamente, nello stesso periodo di tempo i tagli alla spesa sociale ammonterebbero a ben 4 mila e 300 miliardi di dollari.

Nella versione della Camera i tagli a Medicaid sarebbero addirittura di 913 miliardi di dollari, mentre anche vari programmi che garantiscono sussidi e prestiti agli studenti per l’accesso alle costosissime università americane verrebbero pesantemente penalizzati.

Le incertezze circa l’approvazione definitiva del prossimo bilancio non dipendono comunque da una qualche battaglia per salvare i programmi pubblici che potrebbero finire sotto la scure repubblicana, bensì dalla già ricordata disputa sul budget del Pentagono.

Il partito di maggioranza al Congresso, in sostanza, è diviso tra “falchi” del bilancio e “falchi” della Difesa, con i primi che intendono confermare i tagli automatici alle spese militari previsti da una legge del 2011 e i secondi che intendono invece aggirare il tetto di spesa e garantire alle forze armate USA risorse senza limiti per condurre le operazioni in cui sono coivolte all’estero.

Sulla questione, la Casa Bianca è allineata alle posizioni dei “falchi” della Difesa, visto che la proposta di bilancio di Obama prevedeva stanziamenti per 561 miliardi di dollari al Pentagono, cioè una quarantina di miliardi in più rispetto al tetto massimo, più altri 51 miliardi destinati appositamente alle operazioni “contingenti” oltreoceano.

Lo stesso presidente democratico avrebbe minacciato di esercitare il potere di veto per bloccare eventuali bilanci che intendono rispettare i limiti massimi di spesa militare. A confermarlo è stato il segretario alla Difesa, Ashton Carter, in un’apparizione alla Camera nella giornata di mercoledì.

Nessuna minaccia di veto è stata invece agitata da Obama per quanto riguarda i tagli ai programmi pubblici vitali per gli americani più poveri. Anzi, se la Casa Bianca e i democratici in genere criticano gli assalti alla spesa pubblica proposti dai repubblicani, la stessa bozza di bilancio del presidente includeva tagli per 423 miliardi di dollari a Medicare per il prossimo decennio, mentre, ad esempio, prospettava una consistente riduzione dell’aliquota fiscale da applicare alle corporation.

Il dibattito in corso sul tetto di spesa del Pentagono è però fuorviante, come quasi sempre accade nelle controversie di Washington tra i due partiti o le fazioni all’interno di essi. Infatti, anche coloro che sostengono di voler mantenere i limiti previsti dalla legge in vigore per il bilancio della Difesa hanno in realtà già pronte soluzioni per eluderli.

Il bilancio stilato dalla Camera prevede cioè un budget perfettamente in linea con il tetto (523 miliardi), ma a fianco di esso sarebbero disponibili altri 40 miliardi sotto forma di “fondi di emergenza” e quindi non soggetti ai limiti fissati per legge.

Ancora più ridicoli sono stati gli sviluppi della vicenda al Senato. Qui, i senatori della commissione Bilancio hanno ripreso i colleghi della Camera per avere sottoposto una proposta che intende aggirare il tetto di spesa, per poi adottare un provvedimento che fa sostanzialmente la stessa cosa.

L’unica differenza consiste nel definire la somma extra come un “fondo di riserva” che al momento non andrebbe a pesare sul bilancio federale, poiché non prevede stanziamenti. L’entità dell’importo aggiuntivo destinato al Pentagono, secondo la proposta del Senato, dovrebbe essere oggetto di trattative da avviare nei prossimi mesi.

Vari senatori repubblicani insistono tuttavia sull’approvazione di un bilancio che annulli in maniera pura e semplice i tagli automatici previsti alla spesa militare USA. Tra di essi figurano l’ex candidato alla presidenza, John McCain, e il senatore della South Carolina, Lindsey Graham, entrambi tradizionalmente annoverati tra i “falchi” della politica estera americana.

Graham, il quale sta valutando una candidatura nelle primarie repubblicane per la Casa Bianca del prossimo anno, in un intervento pubblico qualche giorno fa aveva sostenuto in maniera inquietante che, se fosse stato presidente, avrebbe “letteralmente” messo sotto assedio militare il Congresso di Washington per costringere i suoi membri a revocare i tagli al bilancio del Pentagono.

La vicenda descritta dimostra come le esigenze dell’imperialismo americano abbiano la priorità assoluta, non solo rispetto ai bisogni essenziali della popolazione ma anche sulle leggi approvate dal Congresso. Inoltre, sulla necessità di finanziare la macchina da guerra USA a discapito di qualsiasi altra voce di spesa esiste un sostanziale accordo bipartisan a Washington.

Per raggiungere questo obiettivo, nelle scorse settimane si sono moltiplicati gli appelli dei vertici militari, impegnati a descrivere uno scenario catastrofico per gli Stati Uniti nel caso non fossero garantite le risorse chieste dal Pentagono.

Gli Stati Uniti sono già di gran lunga il paese che spende di più per le proprie operazioni militari. La cifra complessiva stanziata annualmente da Washington in questo ambito è più alta della somma dei bilanci militari dei paesi posizionati tra il secondo e il decimo posto – o il quindicesimo, a seconda delle fonti dei dati – nella graduatoria delle spese militari.

L’insaziabile bisogno di fondi delle forze armate degli Stati Uniti deriva direttamente dal venir meno dell’influenza di questo paese sullo scacchiere internazionale. La posizione americana declinante in un pianeta tendente sempre più al multipolarismo richiede un impiego crescente della forza militare, sia per cercare di contenere le minacce rappresentate da potenze emergenti, a cominciare dalla Cina, sia per appoggiare alleati e regimi fantoccio al servizio degli interessi strategici di Washington.

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