di Michele Paris

I tre principali rappresentanti dell’apparato diplomatico-militare degli Stati Uniti sono apparsi contemporaneamente mercoledì di fronte alla commissione Esteri del Senato nell’ambito del dibattito in corso a Washington sulla nuova Autorizzazione all’Uso della Forza Militare (AUMF) richiesta dall’amministrazione Obama per proseguire la guerra contro lo Stato Islamico (ISIS) in Medio Oriente.

Il segretario di Stato, John Kerry, il numero uno del Pentagono, Ashton Carter, e il capo di Stato Maggiore, Martin Dempsey, hanno risposto alle domande dei senatori americani nel tentativo di convincerli ad approvare la richiesta avanzata dall’inquilino della Casa Bianca, tenendo però a sottolineare che, con o senza una nuova autorizzazione, le operazioni militari in Iraq e in Siria proseguiranno indisturbate.

Infatti, i bombardamenti ufficialmente contro le postazioni dell’ISIS in questi due paesi proseguono dall’agosto scorso e gli Stati Uniti dispongono già di circa tremila “addestratori” in territorio iracheno. Una nuova AUMF, per lo meno ai fini operativi del conflitto in corso, appare perciò del tutto superflua, visto che Obama aveva preso la decisione di scatenare una nuova guerra in Medio Oriente sulla base di un’autorizzazione all’uso della forza già in vigore, quella approvata dal Congresso nel 2001 all’indomani degli attentati dell’11 settembre e che era servita ufficialmente per dare la caccia ai membri di al-Qaeda.

La nuova AUMF abolirebbe però una seconda autorizzazione all’uso della forza, quella del 2002 che permise all’amministrazione Bush di invadere illegalmente l’Iraq di Saddam Hussein. Nella richiesta di Obama al Congresso vengono fissati alcuni paletti all’impiego delle forze armate molto facilmente aggirabili, per quanto riguarda sia i limiti temporali - fissati in tre anni, anche se prorogabili - sia l’esclusione del ricorso a truppe di terra per “operazioni di combattimento durature e di natura offensiva”.

La posizione dell’amministrazione Obama in relazione al senso di un’autorizzazione fondamentalmente superflua è stata esposta mercoledì dal segretario Kerry, quando ha sostenuto che l’approvazione di una nuova AUMF sarebbe soltanto una dimostrazione di unità da parte delle istituzioni americane di fronte alla minaccia dell’ISIS. Inoltre, un voto del Congresso servirebbe a rassicurare gli alleati di Washington che gli Stati Uniti appoggiano interamente la guerra all’ultima incarnazionale del fondamentalismo sunnita, anche se, come ha ammesso il generale Dempsey, dal punto di vista pratico non cambierebbe una sola virgola.

Il riconoscimento da parte dei membri della commissione Esteri del Senato dell’inutilità della nuova AUMF, assieme all’ammissione di Kerry, Carter e Dempsey, rende dunque particolarmente inquietante lo scenario che si è venuto a creare negli Stati Uniti riguardo la guerra all’ISIS.

I tre uomini seduti di fronte ai rappresentati eletti del popolo americano hanno di fatto comunicato a questi ultimi che la loro opinione e il loro voto non contano nulla. Tutto ciò che il Congresso potrebbe fare in merito alla guerra in atto è avallare la decisione presa sette mesi fa dal presidente. Se, invece, la nuova AUMF dovesse essere bocciata o nemmeno sottoposta a votazione, ciò non avrebbe comunque alcun effetto sulle decisioni prese alla Casa Bianca.

Questo stato dei fatti lo ha perfettamente riassuno il presidente della stessa commissione, il senatore repubblicano Bob Corker, il quale appena prima dell’apertura dell’audizione di mercoledì ha ammesso che, “come tutti sappiamo, sia che approviamo o non approviamo una AUMF, le conseguenze su ciò che sta accadendo sul campo [in Iraq e in Siria] saranno pari a zero”.

Questa situazione, più appropriata a una farsa che a un’audizione del Senato su questioni di guerra, non giunge esattamente inaspettata, ma è la logica conseguenza del deterioramento del clima democratico negli USA a cui si è assistito nell’ultimo decennio.

Per comprendere lo stato avanzato di questo processo basti pensare al fatto che lo stesso presidente Bush si era sentito in dovere di chiedere autorizzazioni preventive al Congresso prima di lanciare le invasioni di Afghanistan e Iraq. L’amministrazione repubblicana, sia pure basando le proprie istanze su menzogne e inganni, operava cioè in uno scenario nel quale appariva necessario quanto meno il rispetto delle formalità costituzionali.

La liquidazione anche di queste apparenze rappresenta invece l’aspetto cruciale dell’amministrazione Obama, durante la quale si è assistito a un’accelerazione dello smantellamento delle garanzie costituzionali negli Stati Uniti. Nell’America di Obama, infatti, il presidente decide in maniera segreta e senza passare attraverso alcun procedimento giudiziario l’assassinio mirato di sospettati di terrorismo - cittadini USA inclusi - in qualsiasi parte del pianeta.

Allo stesso modo, sul fronte domestico è ormai all’ordine del giorno la militarizzazione delle forze di polizia che, a loro volta, hanno facoltà di uccidere impunemente cittadini disarmati e inoffensivi. Le manifestazioni pacifiche di protesta contro gli abusi del governo o delle stesse forze di polizia sono accolte spesso con metodi repressivi degni di una dittatura, mentre virtualmente ogni abitante della terra è sottoposto alla sorveglianza continua del governo americano.

Una simile deriva è determinata dal declino irreversibile della posizione degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale, per far fronte alla quale la classe dirigente americana è costretta a ricorrere a metodi sempre più autoritari che sarebbero impossibili da mettere in atto rispettando le norme della democrazia.

Per quanto riguarda l’autorizzazione all’uso della forza militare in discussione, la sua approvazione appare oggi incerta, non perché membri del Congresso o rappresentanti dei media “mainstream” abbiano intenzione di sollevare un dibattito pubblico attorno al senso del provvedimento nell’ambito della deriva anti-democratica negli Stati Uniti.

La ragione dell’incertezza sulla sorte dell’AUMF richiesta da Obama è da ricercare piuttosto nelle opinioni contrastanti espresse da repubblicani e democratici, con i primi che ritengono l’autorizzazione troppo restrittiva dei poteri di guerra attribuiti al presidente e i secondi che, al contrario, la valutano eccessivamente sbilanciata a favore della Casa Bianca.

Anche coloro che criticano l’AUMF, in ogni caso, non sono contrari alle avventure belliche dell’imperialismo USA, bensì temono il radicalizzarsi dell’opposizione nel paese a eventuali nuove guerre su vasta scala come in Afghanistan e in Iraq. Inoltre, una parte dell’establishmenti di Washington ritiene con ogni probabilità che le risorse militari americane debbano essere utilizzate in conflitti strategicamente più importanti nel prossimo futuro, viste le crescenti tensioni con Russia e Cina.

La discussione sull’AUMF mette infine in luce ancora una volta l’indescrivibile ipocrisia del governo americano e, parallelamente, il gigantesco inganno della “guerra al terrore”. L’amministrazione Obama è infatti impegnata a chiedere l’approvazione di un provvedimento che assicurerebbe poteri di guerra pressoché illimitati, ancorché sostanzialmente già a disposizione del presidente, sfruttando la minaccia di un organismo - l’ISIS - che appare a tutti gli effetti come una creatura degli stessi Stati Uniti e dei loro alleati nel mondo arabo.

Che l’ISIS sia o sia stato uno strumento della politica estera americana oltre a risultare evidente dai fatti di questi ultimi anni è confermato in maniera più o meno diretta da vari esponenti dell’establishment di Washington.

Tra i più espliciti in questo senso era stato qualche mese fa il generale Wesley Clark, ex comandante delle forze alleate nella guerra in Kosovo, ex comandante supremo della NATO in Europa e per un breve periodo candidato alla presidenza per i democratici nel 2004. Secondo Clark, l’ISIS è stato creato e finanziato precisamente dai “più stretti alleati” degli Stati Uniti, al fine di “combattere Hezbollah” in Libano.

Gli alleati a cui accennava Clark sono le monarchie assolute del Golfo Persico, in prima fila nel fornire denaro e armi a formazioni jihadiste anche e soprattutto per rovesciare Bashar al- Assad in Siria, ma la sua ammissione tende a minimizzare, se non a occultare del tutto, il ruolo svolto dagli Stati Uniti in queste operazioni.

Un simile atteggiamento lo aveva tenuto poco dopo le dichiarazioni di Clark anche lo stesso generale Dempsey, il quale in un’audizione al Congresso aveva ammesso che i principali alleati arabi degli USA avevano finanziato l’ISIS.

A ottobre dello scorso anno, poi, il vice-presidente americano, Joe Biden, era finito al centro di una polemica per avere detto la pura verità sullo Stato Islamico, cioè che paesi come Turchia, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi avevano “riversato centinaia di milioni di dollari e migliaia di tonnellate di armi su chiunque combatteva Assad”, inclusi “elementi estremisti” come l’ISIS. Gli Stati Uniti, però, non sono stati spettatori innocenti di questo crimine, ma attori protagonisti.

Per qualcuno in Medio Oriente, quella tra Stati Uniti e ISIS sarebbe tuttora una vera collaborazione clandestina, mascherata dietro a una guerra inefficace. Nelle scorse settimane, vari giornali hanno riportato ad esempio le denunce di politici iracheni in relazione a presunti lanci di carichi di armi da parte di velivoli americani in zone controllate dall’ISIS. Per Washington, questi episodi sarebbero dovuti a errori, poiché le armi finite nelle mani dell’ISIS erano destinate alle milizie alleate nella guerra contro i jihadisti.

I sospetti restano tuttavia molto forti e accentuati oltretutto dalla piega che sembra essere sul punto di prendere la guerra in corso, soprattutto in Siria. Di ciò si è avuta indicazione proprio nell’audizione di Kerry, Carter e Dempsey nella giornata di mercoledì. A un certo punto della discussione, il senatore Corker ha chiesto se l’autorizzazione all’uso della forza militare presentata da Obama potrebbe includere la difesa dei “ribelli” siriani addestrati dagli Stati Uniti nel caso finissero sotto attacco delle forze del regime di Damasco.

Il generale Dempsey ha escluso questa eventualità, ma quando Corker ha avanzato l’ipotesi di aggiungere tale clausola all’AUMF, nessuno dei tre ha mosso una qualche obiezione. Anzi, lo stesso Dempsey e il segretario alla Difesa Carter, nel discutere del programma di addestramento di “ribelli affidabili” che sta per essere lanciato in Giordania e in Turchia - ufficialmente per preparare una forza efficace da contrapporre all’ISIS - hanno affermato che una condizione fondamentale per la sua riuscita sarà appunto il sostegno militare che a essi dovrà essere fornito dagli Stati Uniti.

Con la giustificazione di dovere difendere i “ribelli” da Assad, perciò, gli USA potrebbero a breve effettuare bombardamenti contro le forze governative oppure imporre una no-fly zone nel nord della Siria, cambiando perciò di fatto l’obiettivo del coinvolgimento militare, rappresentato fin dall’inizio, anche se non ammesso apertamente, proprio dal regime di Damasco. Il tutto grazie all’opportuna minaccia rappresentata dallo Stato Islamico.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy