Nell'Islam disperarsi è considerato un peccato, ma a Bagram, durante i giorni peggiori del maggio 2002, sono stato incapace di non disperarmi. Ora, qui a Guantanamo, in questa gabbia di metallo con i suoi lucchetti, il suo pavimento ed il suo soffitto di metallo, il suo letto di metallo, il suo gabinetto di metallo, il tutto all'interno di una stanza bianca e illuminata a nuovo, sento la disperazione ritornare, mentre mi guardo attorno per la prima volta. Tutto quello che ho in questa cella è un pezzo di carta ed un rotolo di carta igienica. Mi hanno levato persino i miei occhiali. Ho chiesto di avere qualcosa da usare come tappeto per la preghiera e mi hanno portato una sottile stuoia da camping, che è diventata il mio materasso per i due anni seguenti. La prima cosa che ho voluto fare appena arrivato a Guantanamo, è stata pregare. Ho chiesto ad un soldato della Polizia Militare in quale direzione si trovasse l'est, ma non sono stati capaci di darmi una risposta. Mi hanno detto che non c'erano altri prigionieri qui con me, altrimenti le guardie lo avrebbero saputo, visto che tutti i detenuti fanno la medesima domanda. Ma forse in realtà avevano paura che dandomi questa indicazione potessi calcolare la mia posizione sull'isola - un potenziale danno alla sicurezza? In ogni caso mi misi a pregare, e poi mi sedetti per un momento, pensando. Guardando il pavimento esterno di lino colorato e chiaro, mi sembrava ovvio che questo posto fosse stato costruito di recente, e probabilmente mai usato prima.
Quindi mi sono steso per terra. Mi sentivo ancora un po' sotto l'effetto delle droghe che mi avevano dato sull'aereoplano. Mi hanno dato qualcosa che affermavano essere una coperta, ma che era fatta di un materiale tipo la plastica. Non c'era cotone o lana o qualcosa di simile in questa coperta, e non mi poteva in alcun modo riscaldarmi quando l'aria condizionata era accesa - condizione in cui le guardie tenevano la stanza in gran parte del tempo.
Dopo ho saputo che si trattava di una coperta anti suicidi - ovvero di una coperta che non poteva essere usata per fare nodi. Non ho capito perchè me l'hanno data. Non penso che loro stessi abbiano capito il perchè. Credo che molti di loro non conoscono il perchè di una serie di regole e procedure; semplicemente le eseguono perchè, come molti affermano, “E' scritto così nel SOP (manuale di Procedure Standard Operative)”.
Io languivo lì, chiedendomi perchè mi trovassi in questo posto, lontano da qualsiasi altro sulla Terra. Avevo capito di essere completamente da solo, ma non avrei mai immaginato che questa condizione di solitudine sarebbe durata per quasi due anni - non mi hanno mai permesso di vedere un altro prigioniero. Pensavo che molti di loro ancora mi vedessero come un pezzo grosso. Mi avevano studiato per tutto il tempo a Bagram: non ero uno che causava problemi, non mi ero messo a fare lo sciopero della fame, non ho insultato, gridato, urlato cose alle guardie, ma mi hanno sempre visto come una persona molto influente tra i prigionieri. Non avevano capito però che il semplice fatto che io parlassi inglese, arabo ed urdu, ed avevo un qualche tipo di educazione, mi aveva reso naturalmente come una persona che dinanzi all'orda di gente che era detenuta a Bagram - abitanti dei villaggi, giovani ragazzi, persone che non avevamo mai avuto rapporti con Occidentali - avesse l'abilità di aiutarli a negoziare con queste persone. Questa volta, comunque, avevano deciso di tenermi da solo.
Ho dormito pesantemente, con ancora in circolo le tossine delle droghe che mi avevano dato sull'aereoplano. La mattina successiva una delle guardie mi portò il primo cibo cotto che avevo visto da un anno: la colazione. Mi era stato detto che a Guantanamo avremmo potuto mangiare colazione con cibo cotto. Ma è stata una grossa delusione. C'erano the e latte rinforzato in tazze di polistirolo. Entrambi erano caldi. La colazione cotta era rivoltante. Riso, piselli verdi pastosi, ed un uovo bollito, tutto mischiato assieme. Non riuscivo a mangiarla. Ho detto alla guardia, “preferirei avere solo una tazza di the e basta”.
Verso la sera del secondo giorno la persona che mi aveva detto che stavo per andare a Guanatanamo, Jay, si fece vivo, con un altro uomo chiamato George. Jay era uno di coloro che effettuavano gli interrogatori a Bagram, la persona a cui avevo dato una lunga lettera indirizzata alle autorità. Mi disse: “La tua lettera è arrivata molto più in alto di quanto tu possa immaginare”. Sono stato contento di vederlo, una faccia familiare e senza la malizia che avevo visto in altri. Quando gli altri due che lo accompagnavano, comunque, entrarono nella stanza dietro di lui, il mio cuore ebbe un mancamento. Si trattavano di Marti e Niel, i due agenti dell'FBI di Bagram.
Le guardie li fecero rimanere nell'altra parte della stanza, quindi vennero nella mia cella, mi incatenarono con un vestito a tre pezzi, e mi portarono fuori.
Mi sedetti accanto ad un tavolo dove le guardie mi avevano portato, di fronte a Jay e Gorge, Marti e Niel. Gli ultimi due erano entrambi enormi, obesi, con lo stile dei poliziotti delle strade di New York, forse entrambi americani di origine irlandese.
Rob, un loro collega, mi aveva detto a Bagram, come entrambi assieme raggiungessero una massa di oltre 500 libbre (circa 226 kg, ndt) - non era qualcosa di cui vantarsi, pensavo. Potevano conoscere in modo preciso come operare sulle strade di New York, ma erano fuori del loro ambiente qui. Inoltre, sapevano di non essere soggetti ad alcun controllo; non dovevano preoccuparsi troppo di possibili controlli da parte di loro superiori, o del Dipartimento degli Affari Interni, come sarebbe successo se fossero stati nel territorio degli Stati Uniti. Avevano l'autonomia di fare qualsiasi cosa volevano; potevano estrarre informazioni dalle persone in qualsiasi modo lo ritenevano opportuno. Così lavoravano tutti i poliziotti e gli agenti dell'intelligence che avevo conosciuto a Kandahar e a Bagram. I metodi poco scrupolosi della CIA erano stati applicati anche dalle altre agenzie governative americane. In seguito, l'FBI avrebbe tentato di dipingersi come l'agenzia “pulita”, che vedeva le altre agenzie applicare la tortura, ma che affermava di non essere coinvolta in questi metodi. Per quanto posso dire dalla mia esperienza, anche l'FBI era parte integrante di questo processo.
Questa volta sapevo che non mi avrebbero minacciato dell'uso di tecniche di tortura egiziane, perchè c'era Jay lì con loro. A Bagram, quando era arrivato un nuovo reparto della polizia militare ed aveva sentito di quel ragazzo canadese, Omar, che era stato accusato di aver ucciso un soldato di elite americano, fu solo l'intervento di Jay che evitò le torture che già loro avevano immaginato nei suoi confronti. In effetti, Jay mi aveva dato un minimo di speranza una volta, affermando che “Guantanamo sarà l'inizio della fine di questa odissea per te”. Ma anche la mia parte più ottimista era convinta del contrario.
”Non rivedrai mai più la tua famiglia”. Le parole di Marti a Bagram mi tornarono alla mente quando vidi la sua faccia. “Potrai essere giustiziato da una squadra addetta alla fucilazione, con una iniezione letale o in una camera a gas”.
In effetti mi stavano minacciando nuovamente. “Vogliamo che tu legga e firmi questi documenti”, mi dicevano, piazzando una serie di sei pagine stampate di fronte a me sul tavolo. Avevano scritto la mia confessione.
C'erano tre copie - una per me; dall'altra parte del tavolo una per Jay e George e una per Niel e Marti. Loro mi dissero che se non firmavo questa confessione, mi sarebbero capitate una serie di cose, nessuna delle quali positiva. Queste includevano il rimanere per molti anni a Guantanamo prima che qualcuno iniziasse a considerare il mio caso, poi un processo sommario - ovvero una formalità prima della condanna. “Sarà un processo molto breve, i giudici guarderanno le prove che presenteremo, e le prenderanno per buone. Questo significherà che potrai essere condannato al carcere a vita, o potrai essere condannato a morte, o entrambe - esecuzione dopo un lungo tempo in carcere in cui dimenticherai anche di essere nato”.
Io leggevo le pagine senza crederci. La mia prima reazione è stata, “Questo è terribile. L'inglese usato è terribile. Nessuno potrebbe mai credere che io abbia scritto un tale documento”. Ma poi subito dopo ho pensato: “Questo potrebbe essere buono - chiunque conosca il mio stile di scrittura saprebbe che non potrei essere stato io l'autore, che non mi piace scrivere in questo modo”. Sembrava un tipo di scrittura non uniforme ed avventuroso, molto più simile allo stile di scrittura di un sedicenne che non di quella che ci si aspetterebbe da un membro del Federal Bureau of Investigation. Mi ricordo che durante una della interrogazioni che avevo sostenuto a Bagram, Marti mi aveva detto: “Smettila! Smettila di usare paroloni”. Oltre all'inglese patetico, i “fatti” che leggevo erano completamente assurdi. Il testo era pieno di esagerazioni, menzogne e presunzioni. C'erano nomi di cui io non avevo neppure sentito parlare, ma che loro conoscevano fin troppo bene. Il documento affermava, tra le altre cose, che io ero un esponente di lungo tempo di al-Queda; che ero stato addestrato nei loro campi; che li avevo finanziati ed avevo persino fornito soldi che erano finiti in mano ai terroristi dell'11 settembre. Quando chiesi come mai aveva raggiunto tali conclusioni, mi dissero che io avevo già ammesso di aver partecipato e finanziato i loro campi.
Era folle ascoltare loro fare riferimento ai campi, come se qualsiasi campo di addestramento della recente storia islamica fosse stato creato sotto l'ombrello di al-Queda. La logica e la ragione, di nuovo, sembravano essere persi sotto una valanga di assunzioni senza alcuna base. Mi ricordo che mi misi addirittura a ridere mentre leggevo quelle terribili pagine che erano così potenzialmente dannose per il mio futuro.
Gli americani erano ossessionati con la parola al-Queda. Il loro documento lasciava intendere che quasi chiunque io abbia incontrato nella mia vita fosse stato un membro di al-Queida. Lasciava intendere che io avevo partecipato ed avevo sponsorizzato economicamente i “campi di addestramento di al-Qaueda Jamat-e-Islami..” Erano davvero così ignoranti da pensare che Jamat-e-Islami, il terzo partito politico per importanza in Pakistan, fosse un'emanazione di al-Queda? Non è che si erano confusi con il movimento al-Gam'ah al-Islamiyyah dell'Egitto? In embrambi i casi si trattava di movimenti di rinascita islamica nei rispettivi Peesi. Entrambi avevano appoggiato le forze dei mujahidin che avevano combattuto contro i Sovietici negli Anni Ottanta. Ma questo si poteva di dire di centinaia di altri gruppi e partiti politici, o organizzazioni come la CIA. O era un deliberato tentativo di sfruttare l'ignoranza dell'opinione pubblica americana, all'interno della quale sarebbero stati in pochi a leggere una dichiarazione del genere, ma ancora di meno sarebbero stati chi poteva trovare una qualche differenza?
La dichiarazione che mi era stata presentava affermava anche io avevo finanziato un uomo che non avevo mai sentito neppure nominare prima di allora - un uomo coinvolto in un tentativo di attentato terroristico contro un aereoporto americano, nel 2000 - ma non spiegava come, dove e quando mi sarei incontrato con lui. Si affermava inoltre che io avrei provvisto “alloggio per sospettati di terrorismo e per le loro famiglie, mentre atti di guerra erano compiuti contro gli Stati Uniti”, ma di nuovo non si menzionava chi fossero queste persone, o esattamente di cosa fossero accusate. Io, da parte mia, sapevo che stavano facendo riferimento ad una risposta che avevo dato precedentemente ad una delle loro domande, quando dissi loro che alcune donne e bambini, i cui uomini erano probabilmente scomparsi, erano stati a casa mia con la mia famiglia per qualche giorno in Pakistan. Tra di loro c'erano alcuni curdi che avevano aiutato ad evacuare la mia stessa famiglia. La dichiarazione non spiegava in alcun modo come fosse possibile che queste donne e bambini fossero membri di al-Queida, o avessero compiuto atti ostili contro gli Stati Uniti.
Inoltre, veniva affermato che la mia libreria in Inghilterra fosse in realtà un centro di reclutamente per al-Queida, che era il nostro sponsor; sebbene si supponeva che fosse il contrario piuttosto. Non avevano appena detto che ero stato io a finanziare al-Queida? Era tutto ridicolo. Lo leggevo, e pensavo, questa è solo una massa di stronzate. Ed alla fine mi chiesero di firmarla.
Io guardai verso Jay, poggiai il documento e gli dissi: “Hai letto tutto questo ammasso di chiacchiere senza senso?”
”Se tu avessi visto la bozza precedente, Moazzam, avresti pensato che eravamo impazziti”.
”Non ho alcuna intenzione di firmare questa immondizia”, protestavo. “Prima di tutto, è piena di menzogne e in secondo luogo io non scrivo in questo modo. Queste non sono le mie parole. Così se volete che io firmi qualcosa del genere, lasciatemi fare delle correzioni, aggiungere alcune spiegazioni, rimuovere tutte le dichiarazioni non corrette e le menzogne assolute”. Mi permisero allora di fare alcune alterazioni selezionate, ma lasciarono in essere le peggiori menzogne, come quella in cui ammettevo di essere un combattente di prima linea di al-Queda, o che ero a conoscenza del fatto che i soldi che avevo inviato nel 1994 ai combattenti del Kashmir erano stati usati per la preparazione degli attacchi dell'11 settembre.
Mi sentivo sorprendentemente calmo. Stavo immaginando i danni che una dichiarazione del genere poteva fare dinanzi ad una corte; avrebbe messo alla luce del sole anche gran parte delle loro tattiche comunque. In ogni caso, non sapevo più quali fossero i parametri della legge da rispettare: tutti sapevano che dopo l'11 settembre nuove leggi erano entrate in vigore negli Stati Uniti, e si trattava di leggi terrificanti. In che modo infatti leggi americane potevano essere applicate, retroattivamente, ad un cittadino inglese che non aveva mai viaggiato a ovest di Dublino, e per di più per crimini che non aveva mai commesso? Probabilmente mi stavano per giudicare sulla base di quello che Nathan mi aveva detto a Kandahar: “Stiamo procedendo a giudicare sulla base di quelle che pensiamo essere le tue intenzioni, e sulla base dei nostri rapporti di intelligence”.
La mia mente stava vorticando, ma ancora non riuscivo a credere che ci fosse un modo mediante il quale una qualsiasi corte competente nel mondo avrebbe potuto ritenere valida una tale confessione.
Mi sentivo confortato dal fatto che almeno Jay capisse quanto falso fosse questo documento... e soprattutto che era preparato a dire questa cosa dinanzi all'FBI. Ero realmente disgustato dal modo in cui i due dell'FBI lavoravano, e questa era stata solo l'ulteriore conferma di quello che pensavo di loro. Ho poi notato il modo viscido con il quale vennero da me di nuovo: durante la notte, chiesero alle guardie di andarsene via dalla stanza, in modo tale che non ci fosse alcun testimone. Si supponeva che fosse tutto veloce: “Qui ci sono i fogli, e qui è la penna, leggi velocemente e firma”.
Prendevano i fogli dopo che avevano fatto le correzioni. Dovevano avere un computer ed una stampante sul veicolo, poiché non c'era nessun altro edificio a Camp Echo, per quanto io sapessi. Uscivano e dicevano alle guardie di entrare. Mi chiudevano nuovamente nella cella. Poi i quattro tornavano entro 10 minuti. Mi mettevano davanti un nuovo documento, e le cose si ripetevano. Io facevo correzioni, ma questa volta non me lo avrebbero permesso. Erano agitatissimi. “Smettila di giocare con noi, sappiamo bene che tu...” Io potevo rivedere la stessa rabbia che questi uomini avevano quando avevano ordinato la mia punizione a Bagram. Non potevo dimenticare per nessun motivo che si trattava degli stessi uomini.
”Potresti essere giustiziato da una squadra di fucilieri, Moazzam, lo sai?”, mi disse Marti, sembrando in grado di controllare la sua rabbia. “Hanno già costruito una camera per le esecuzioni qui, l'ho vista con i miei occhi”, confermava Niel.
”Ti sei forse dimenticato dei tuoi bambini...” “OK, OK, datemi solo un minuto”.
Avevo pensato a questo già molte volte prima d'ora, dalla prima volta che li avevo visti. Alla fine mi ero rassegnato a qualsiasi cosa sarebbe uscita fuori. Nonostante tutte le insinuazioni, non riuscivo ancora a scorgere l'ammissione di alcun crimine nella dichiarazione, di sicuro nessuna ammissione che io avrei potuto vedere. “Lo sapete bene, non fa alcuna differenza, firmerò qualsiasi cosa vogliate, ma prima devo fare una cosa”.
Dissi loro che volevo andare nella cella. Mi misi a pregare sperando di ottenere lumi. Chiesi ad Allah di rendere questo documento un mezzo per esporre le loro menzogne. Questa preghiera è chiamata al-Istikharah in arabo: la preghiera per chiedere la guida di Allah per prendere la giusta scelta. Solo dopo ho firmato. Ho chiesto ai due dell'FBI di ottenere una copia della dichiarazione ma non me ne hanno data nessuna. Questo è stato tutto. Non ho mai più visto loro due in seguito.
Deve essere stato davvero tardi durante la notte quando se ne andarono; le luci non erano ancora accecanti, ma erano accese, come sempre. Mi sentivo come se avessi intrapreso un grosso passo, che avrebbe cambiato il mio futuro, il futuro della mia famiglia. Mi sentivo come se avessi letteralmente firmato un foglio che gettasse via la mia vita. Iniziavo a fare note senza fine per presentare come argomenti per l'avvocato difensore e per la corte che io aspettavo si materializzasse in pochi giorni, come mi avevano detto. Si aspettavano che io mi dichiarassi colpevole di qualsiasi accusa. Ma io avevo altri piani.
Avevo solo una penna blu per scrivere, e presto finì l'inchiostro per la massa di argomenti che avevo accumulato in venti pagine di memoria difensiva.
Iniziai a scrivere anche lettere per i miei familiari, iniziando ogni lettera con, “In nome di Allah, il più compassionevole, il più pronto al perdono”, e “mia amata moglie”. Dicevo a mia moglie, Zaynab, che io pensavo a lei ed ai bambini in ogni singolo istante. Mi sentivo strano a pensare alla mia casa: non volevo che la memoria del caldo e della gentilezza fosse rovinata dalle sordide scene attorno a me, ma avevo bisogno di questa dolcezza e della mia famiglia per riprendere la speranza nel futuro.
Scrissi perciò a mia moglie Zaynab una lettera di nove pagine - scritta in piccolo su fogli A4 rigati - dopo circa sei settimane. Le davo consigli su tutte le minuzie della vita familiare, che doveva organizzare senza di me. Tentavo di aiutarla con la scelta delle scuole per i bambini e, nella sua lotta e di mio figlio Umamah contro l'asma, la incoraggiavo ad andare in palestra, nuotare, o fare esercizi a casa, e anche di studiare un po' per se stessa. Tentavo in tutti i modi di farla sentire fiera di se stessa: “Hai detto di aver raggiunto poco nella tua vita. Non è vero. I sacrifici che hai fatto, e le difficoltà che hai superato (e che continui a superare) ti hanno reso una straordinaria persona. Le tue intenzioni sono sempre state pure (per il piacere di Allah e per farmi contento). Qualsiasi fossero gli errori, gli sbagli, etc - che sono stati anche miei - per i quali sto scontando la colpa. Dinanzi ai miei occhi, e dinanzi agli occhi del Signore, credo, la tua persona è diventata molto più importante, e penso che ti sei assicurata un posto nel Paradiso - nel Giardino dei Martiri. So che vuoi che le cose cambino quando sarà rilasciato. Ma sono già detenuto da troppo tempo. Anche io voglio che tutto sia differente, spendere tutto il mio tempo restante con la mia famiglia - perseguire il nostro benessere alla luce del tempo speso altrove e del nostro incerto futuro”.
Le scrissi di nuovo dopo altre sei settimane: “Ti amo così tanto e mi manchi terribilmente. Ho guardato alla mia lettera precedente, e mi sono sentito veramente un miserabile ... Avrei dovuto essere onesto ed ammettere che io tento di fare il mio meglio per non pensare a te ed ai bambini, perchè è troppo doloroso pensare come state vivendo senza di me, e di tutto il tempo passato assieme nel passato. C'è così tanto che io voglio condividere con te nella mia vita, così come con i bambini, e più di tutto vorrei avere l'opportunità di scusarmi per tutti gli errori che ho fatto - in particolare nei tuoi riguardi - nei riguardi della mia famiglia. Ho pianificato tutto nella mia testa; Non so cosa diventeranno questi piani, se si trasformeranno in realtà o meno, ma ti assicuro che includono alcuni forti cambiamenti al mio/nostro stile di vita precendente”.
Una volta, scrissi a mio padre usando termini che dubitavo che gli americani potessero capire, come affermare che “ero stato inviato a Coventry”, implicando l'isolamento; oppure che io stavo “vivendo come Sheba”, dal nome del cane che avevo quando ero bambino. Ma in ogni caso non gli inviai la lettera. Sentito che non volevo far conoscere a mio padre le umiliazioni della mia vita, come il piccolo spazzolino, non più grande di un inch, che avevo attaccato al mio indice medio per pulire i miei denti, ed il piccolo tubo traslucido di dentifricio lungo due inches; o il cibo, come carne tritata, trasformata in una bistecca, che era così schifoso che ho vomitato quando ho tentato di mangiarlo; o le bottiglie d'acqua che avevano trasformato in modo tale che io non potessi tentare di gettare acqua, o altro, addosso alla Polizia Militare.
Feci un calendario di questi primi giorni del 2003, usando un pezzo di carta. Uno dei volontari della Croce Rossa di Kandahar mi disse di non pensare in termini di giorni passati, particolarmente, pensavo, perchè questi giorni si sarebbero trasformati in settimane, mesi, ed anni. Ma segnare ogni giorno che passava su un calendario, mi dava la possibilità di guardare ai giorni dinanzi a me, sperando per il futuro.
Iniziai presto a vedere che non c'era nulla di consistente - eccetto l'inconsistenza. Niente di quello che era vero a Bagram lo era necessariamente anche a Guantanamo. Le regole, le procedure, erano differenti. Qualsiasi cosa che avessi guadagnato lì, non la ottenevo automaticamente anche qui. Non riuscivo a capire, e questo divenne simbolico per me, l'attitudine ed il comportamento dei soldati americani. Le guardie mi dicevano come anche loro erano confusi da strette rigidità militari e protocolli senza senso. “Questo è il modo corretto, questo il modo sbaglio e questo il modo dell'esercito”, dicevano spesso. Avevano portato via di nuovo i miei occhiali - come i primi giorni a Kandahar. Avevano portato via le mie lettere - le poche che avevo avuto a Bagram, le foto dei miei bambini e le note che avevo preso. Non li ho rivisti più fino al giorno in cui sono stato rilasciato.
* Moazzam Begg è un musulmano inglese di seconda generazione. Nel 2002, fu arrestato in Pakistan e detenuto per due anni dagli Stati Uniti come un "nemico combattente". In questo pezzo descrive il suo arrivo le interrogazioni a cui è stato sottoposto a Guantanamo dopo essere stato detenuto sia a Kandahar che a Bagram. E' stato rilasciato nel 2005, ed ora vive a Birmingham, Inghilterra, con la sua famiglia. Ad oggi, Begg può insegnare solo in Inghilterra perchè, nonostante l'assenza di accuse contro di lui, il suo passaporto è stato ritirato come condizione per il suo rilascio. Spera comunque di avere la possibilità di viaggiare ed insegnare in giro in futuro senza limitazioni.
Tradotto in esclusiva da Daniele John Angrisani per Altrenotizie
VI RACCONTO GUANTANAMO E DINTORNI
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