di Michele Paris

Nel fine settimana, il candidato repubblicano sconfitto da Obama nelle presidenziali del 2012, Mitt Romney, ha dichiarato ufficialmente la sua intenzione di rinunciare alla ricerca della nomination per il suo partito nel 2016, dopo un breve periodo nel quale aveva accarezzato l’idea di lanciare per la terza volta una corsa alla Casa Bianca. La decisione dell’imprenditore multimiliardario dovrebbe contribuire a fare maggiore chiarezza sugli equilibri del partito di maggioranza al Congresso a meno di un anno dall’inizio delle primarie, constringendo soprattutto i grandi finanziatori a scegliere verso quale candidato dirottare i propri assegni milionari.

L’ex governatore del Massachusetts ha con ogni probabilità messo da parte definitivamente le sue aspirazioni dopo avere riscontrato una certa freddezza tra i donatori più corteggati del Partito Repubblicano, tra cui il magnate dei casinò, Sheldon Adelson, il proprietario della squadra di football dei New York Jets, Woody Johnson, e il manager di “hedge funds”, Paul Singer.

A suggellare il sostanziale rifiuto dell’establishment repubblicano era stato anche un recente editoriale del Wall Street Journal di proprietà di Rupert Murdoch, nel quale risultava più che evidente il desiderio di puntare su un cavallo diverso per il 2016.

Romney, d’altra parte, ha dovuto scontare anche l’inevitabile aura di perdente che grava sui candidati sconfitti nelle elezioni presidenziali americane, tradizionalmente ostacolati dai vertici del loro partito nella ricerca di una nuova nomination. Oltretutto, lo stesso Romney era stato battuto anche nelle primarie del 2008 da John McCain dopo avere iniziato la campagna da superfavorito.

A detta dei media negli Stati Uniti, in ogni caso, l’uscita di scena di Romney restringerebbe a due il campo dei favoriti in casa repubblicana, vale a dire l’ex governatore della Florida, Jeb Bush, e l’attuale governatore del New Jersey, Chris Christie.

I collaboratori di entrambi hanno infatti subito iniziato una sfida nella sfida per accaparrarsi il sostegno dei ricchi finanziatori repubblicani che avevano sovvenzionato la corsa di Romney nel 2012. “Ora - secondo il New York Times - i donatori non potranno più nascondersi”, dal momento che praticamente tutti i possibili candidati alla nomination del Partito Repubblicano hanno messo assieme gli strumenti previsti dalla legge per la raccolta di fondi e continueranno perciò a esercitare pressioni sui potenziali sostenitori per schierarsi dalla loro parte.

Inoltre, nonostante manchino molti mesi all’inaugurazione della nuova stagione delle primarie, la direzione che prenderà il denaro dei finanziatori nelle prossime settimane potrebbe chiarire se e quali spazi rimarranno aperti per i candidati attualmente considerati di seconda fascia.

Tra questi ultimi spiccano il governatore del Wisconsin, Scott Walker, e il senatore della Florida, Marco Rubio. Il primo ha conquistato una certa credibilità negli ambienti imprenditoriali soprattutto per avere condotto una durissima battaglia contro i sindacati e gli impiegati pubblici nel suo Stato. Il secondo, invece, è particolarmente apprezzato dalla cerchia dei Tea Party e ha suscitato l’entusiasmo dei facoltosi sostenitori repubblicani grazie a un recente intervento in un forum organizzato in California dagli imprenditori Charles e David Koch.

Ancora più complicato appare il percorso del senatore del Kentucky al primo mandato e di tendenze libertarie, Rand Paul, figlio del perenne candidato alla Casa Bianca, Ron Paul. Rand Paul raccoglie qualche consenso negli ambienti di estrema destra, tra le sezioni isolazioniste del Partito Repubblicano e tra qualche giovane americano disorientato dalla crisi del sistema politico di Washington. Le sue posizioni si scontrano tuttavia con le esigenze interventiste del capitalismo a stelle e strisce, rendendolo poco popolare sia tra l’apparato dirigente del partito sia tra gli esponenti dell’alta borghesia i cui interessi sono legati alle avventure dell’imperialismo USA.

Tra gli analisti d’oltreoceano non sembra esserci consenso su chi sia il principale beneficiario della rinuncia di Romney. Per alcuni, Jeb Bush sarebbe decisamente favorito, visto che appare in pole position per garantirsi in particolare il denaro degli speculatori di Wall Street, essendosi recato già più volte a New York nelle ultime settimane per corteggiare i donatori di Romney.

Molti ricchi sostenitori californiani del miliardario mormone sembrano ugualmente orientati a passare nel campo di quello che sarebbe il terzo presidente della famiglia Bush, così come altri di stanza nel sud degli Stati Uniti. Infine, libero da incarichi politici, Bush ha già programmato decine di appuntamenti per raccogliere denaro nei prossimi mesi, mentre Christie dovrà sdoppiarsi con gli impegni di governatore.

Christie, inoltre, pur avendo pianificato un’aggressiva campagna per raccogliere fondi, non può ricevere donazioni da istituzioni bancarie a causa delle restrizioni di legge che si applicano ai governatori. Christie dovrà anche fare i conti con le conseguenze di uno scandalo esploso lo scorso anno nel suo stato. Nel settembre 2013, cioè, un membro del suo staff aveva ordinato la chiusura per alcune ore di due trafficatissime corsie di un ponte a Fort Lee, nel New Jersey.

La decisione, secondo molti sanzionata dallo stesso Christie, aveva causato un colossale ingorgo, nonché la morte di una donna per arresto cardiaco su un’ambulanza bloccata nel traffico, e sarebbe stata presa come ritorsione contro il sindaco di Fort Lee, colpevole di non avere appoggiato il governatore repubblicano nelle elezioni del 2013.

Secondo un sostenitore repubblicano citato dal sito di informazione Politico.com, tuttavia, ci sarebbe una sensibile “sovrapposizione tra i potenziali donatori di Romney e quelli di Christie”. Romney, per quello che può contare, ha anche indirettamente bocciato la candidatura di Jeb Bush, affermando venerdì che “la prossima generazione di leader repubblicani [dovrà essere formata da persone] che non sono conosciute così bene come lo sono io e che non hanno ancora diffuso il proprio messaggio nel paese”. Romney, poi, nel fine settimana ha cenato con lo stesso Christie, anche se ha evitato finora di esprimere ufficialmente il proprio sostegno per uno dei candidati del suo partito.

I prossimi mesi vedranno dunque un’accesa competizione tra i principali candidati repubblicani, i quali cercheranno di posizionarsi il più a destra possibile e di fare appello alle élites economico-finanziarie americane per assicurare i loro fedeli servizi in caso di elezione alla Casa Bianca.

Nella valanga di analisi e commenti sullo stato della corsa alla nomination per il Partito Repubblicano è poi mancata qualsiasi osservazione sullo stato della “democrazia” statunitense e sui meccanismi di selezione della sua classe dirigente.

Ciò che dovrebbe balzare agli occhi osservando la vicenda di Romney è che la scelta dei candidati per le elezioni presidenziali viene operata esclusivamente dai rappresentanti dei grandi interessi che controllano il Partito Repubblicano attraverso un processo fatto di incontri a porte chiuse o, tutt’al più, di eventi esclusivi per raccogliere fondi, nel quale a stabilire priorità, gerarchie e agende politiche è unicamente il denaro.

Lo stesso identico scenario osservabile nel campo repubblicano si riscontra peraltro in quello democratico, dove gli aspiranti alla nomination si sfidano principalmente nell’accaparrarsi i finanziamenti dei ricchi sostenitori che prediligono, per la difesa dei propri interessi, la versione teoricamente “liberal” dell’apparato di potere di Washington.

In tutto questo, l’opinione degli elettori risulta trascurabile, come conferma appunto il fatto che, almeno per il momento, il più probabile candidato alla nomination repubblicana – Jeb Bush – è un politico reazionario e con un passato da businessman a dir poco controverso, nonché discendente di una dinastia politica americana tra le più disprezzate degli ultimi decenni.

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