di Michele Paris

La giustizia americana ha nuovamente garantito questa settimana la piena impunità a un altro agente di polizia responsabile dell’assassinio senza motivo di un uomo disarmato. Esattamente come la settimana scorsa a Ferguson, un grand jury predisposto dal procuratore distrettuale della contea di Richmond, a Staten Island, nella città di New York, ha stabilito di non doversi procedere contro il poliziotto Daniel Pantaleo, nonostante le prove a suo carico fossero decisamente più pesanti rispetto al caso del Missouri.

Come in quest’ultima vicenda, anche quella del “borough” meno popoloso di New York è ruotata attorno a un grand jury, nuovamente utilizzato dalla classe dirigente americana come paravento per portare a termine una gigantesca ingiustizia dando l’impressione del rispetto scrupoloso del dettato di legge.

Ancor più di quello del 18enne Michael Brown a Ferguson, l’assassinio lo scorso mese di luglio del 43enne Eric Garner - anch’egli di colore - ha mostrato come le forze di polizia negli Stati Uniti abbiano facoltà di violare i diritti fondamentali della popolazione, fino a provocare la morte, a prescindere da quale sia la ragione delle loro azioni o la gravità delle prove a carico dei responsabili.

Un sistema giudiziario considerato democratico non è infatti stato in grado anche solo di intentare un processo ai danni di un rappresentante delle forze di polizia neppure in presenza di ben tre filmati che avevano mostrato gli istanti finali della vita di Garner e del responso di un medico legale, il quale dopo l’autopsia aveva inequivocabilmente definito la morte come “omicidio”.

Il pomeriggio del 17 luglio scorso, alcuni agenti di polizia si erano avvicinati a Eric Garner nei pressi del terminal del traghetto di Staten Island per eseguire l’arresto su richiesta di alcuni negozianti della zona che si erano lamentati perché l’uomo da qualche tempo vendeva sigarette in maniera illegale.

Dopo che Garner aveva fatto resistenza, era seguito un alterco con i poliziotti, così che Pantaleo aveva deciso di praticare una manovra (“chokehold”) vietata dal Dipartimento di Polizia di New York da oltre vent’anni a causa del rischio di soffocamento per coloro che la subiscono.

L’agente ha cioè stretto un braccio attorno al collo dell’uomo per immobilizzarlo e farlo stendere a terra. Una volta costretto Garner sul terreno, tuttavia, Pantaleo non ha accennato a lasciare la presa, nonostante la sua vittima, ancora più in affanno in quanto asmatico, avesse ripetuto più volte le parole “Non riesco e respirare”, provocandone la morte.

Di fronte ai membri del grand jury, il procuratore distrettuale Daniel Donovan ha consentito la testimonianza dello stesso agente Pantaleo, senza che le dichiarazioni di quest’ultimo fossero sottoposte a un qualche contraddittorio. Questa pratica era stata adottata anche nel grand jury di Ferguson ed è servita, proprio come nel caso di Michael Brown, a fare in modo che l’agente omicida fornisse la propria versione dei fatti senza il rischio di essere smentito o interrogato da una parte terza.

Donovan, come il procuratore Robert McCulloch della contea di St. Louis, nel Missouri, ha legami molto stretti con la polizia di New York e ha dunque puntualmente utilizzato il meccanismo del grand jury - previsto dal Quinto Emendamento alla Costituzione americana - per evitare qualsiasi grana legale al responsabile della morte di Eric Garner. I grand jury negli Stati Uniti sono d’altra parte tradizionalmente manipolabili dai procuratori, tanto più che le udienze avvengono in segreto e senza nessun giudice che le presieda.

Secondo quanto affermato alla stampa americana dal docente di legge della Fordham University di New York, James Cohen, “è fuori discussione che un grand jury faccia precisamente quello che vuole l’accusa virtualmente nel 100% dei casi”. Lo stesso Cohen ha poi aggiunto che “il video [dell’omicidio] ha mostrato il poliziotto mentre stava eseguendo una pratica probita da tempo” - il “chokehold” - “ma sembra che ciò non abbia fatto alcuna differenza per i giurati perché il procuratore aveva deciso che non doveva esserci alcuna incriminazione per nessun crimine”, neanche di minore gravità.

La morte di Eric Garner per mano della polizia e la completa impunità per l’agente responsabile non sono in ogni caso eccezioni negli Stati Uniti, visto che ogni anno si registrano centinaia di eventi simili. A New York, solo lo scorso mese di novembre un uomo di colore era stato ucciso “accidentalmente” da un colpo d’arma da fuoco esploso da un agente mentre scendeva le scale nel palazzo del proprio appartamento di Brooklyn.

Se possibile, a suscitare un senso di disgusto ancora più profondo della decisione del grand jury sono state le dichiarazioni sulla vicenda rilasciate dai politici americani, principalmente democratici, a cominciare dal presidente Obama.

Quest’ultimo, con il solito cinismo e malcelato disinteresse ha sostenuto che “quando qualcuno in questo paese non viene trattato in maniera equa di fronte alla legge, sussiste un problema”, ma “il mio compito in quanto presidente è di aiutare a risolverlo”.

Toni simili, assieme a vuote rassicurazioni, erano già stati usati la settimana scorsa per la vicenda di Michael Brown, ma le reali intenzioni di Obama e degli ambienti di potere negli Stati Uniti sono apparse evidenti proprio qualche giorno fa. Questa settimana, infatti, in un discorso pubblico il presidente ha sostanzialmente appoggiato il proseguimento del programma di militarizzazione delle forze di polizia nel paese, proponendo solo qualche trascurabilissimo cambiamento cosmetico, come ad esempio la necessità di un addestramento “adeguato” per gli agenti.

Il ministro della Giustizia uscente, Eric Holder, ha annunciato invece l’avvio di un’indagine federale sulla morte di Garner. Una simile iniziativa è già in corso in relazione ai fatti di Ferguson ma l’intervento del Dipartimento di Giustizia in situazioni di questo genere è limitato a casi in cui vi sia stata una violazione dei diritti civili della vittima, cioè un’eventualità estremamente difficile da dimostrare.

Il sindaco di New York, Bill de Blasio, da parte sua, è apparso mercoledì a Staten Island dicendosi particolarmente colpito dalla vicenda poiché suo figlio è anch’egli di colore. De Blasio ha poi ridicolmente promesso di equipaggiare gli agenti di polizia della città con speciali videocamere per filmare il loro operato, senza spiegare però in che modo questa misura potrà essere utile nei casi come quello di Garner, visto che la sua morte, come già ricordato, era stata ripresa da vari passanti e le immagini lasciavano ben pochi dubbi sulle responsabilità dell’agente Pantaleo.

La morte di Garner e la decisione del grand jury, infine, hanno prodotto due differenti reazioni già riscontrate a Ferguson e in altri casi simili. La prima, interamente giustificata e condivisibile, è un’ondata di proteste contro la polizia e il sistema giudiziario in molte città e soprattutto a New York.

Qui, i manifestanti spontanei hanno marciato per le strade di Manhattan bloccando a lungo il traffico. Come di consueto, la polizia ha risposto duramente, facendo solo a New York e nella sola serata di mercoledì più di 80 arresti.

Decisamente nauseante è invece la seconda conseguenza, vale a dire l’intervento pubblico di personalità come il reverendo Al Sharpton, di fatto al servizio dell’establishment democratico con l’incarico di calmare gli animi nella popolazione e convincere i manifestanti ad avere fiducia nel sistema, mantenendo al contempo il dibattito pubblico all’interno della limitata prospettiva dei rapporti razziali e oscurando in maniera deliberata le più esplosive questioni sociali dietro alla dilagante violenza delle forze di polizia negli Stati Uniti.

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