di Bianca Cerri
Un uomo in blue jeans e stivali da cow-boy aspetta con grande impazienza l’autobus per andare al lavoro. Sul taschino della camicia ha appesa una targhetta simile ad un distintivo che lo identifica come “lavapiatti presso l’ufficio dello Sceriffo di contea”. In mano l’uomo stringe uno zainetto con dentro tutto l’occorrente per la colazione: panino, bibita e merendina. Quando l’autobus finalmente arriva sale e si siede tra la gente.
Molti lo osservano senza darlo a vedere, incuriositi dalla sua aria un po’ stranita senza sapere che l’uomo è uno dei disabili mentali arrivati nell’Iowa dal Texas, quasi mezzo secolo prima costretti a lavorare nello stabilimento per la lavorazione di carni avicole di Atalissa, una cittadina di circa quarantamila abitanti nel cuore della contea di Muscatine.
Per nove ore di seguito i ragazzi strangolavano, spennavano ed evisceravano tacchini sotto gli occhi implacabili dei capi-reparto al West Liberty Plant. La macellazione iniziava prima alle prime ore dell’alba. Salvo una breve pausa per il pranzo, andava avanti fino alla sera. La routine non cambiava mai, ogni giorno era identico a quello che l’aveva preceduto. Stesse azioni ripetute, stesso tran tran per oltre trent’anni.
Persino quando iniziarono a circolare le prime voci sui disabili costretti a macellare volatili per sessanta dollari al mese gli assistenti sociali rimasero perplessi ma tutto restò uguale a prima. Ogni qual volta venivano promessi inchieste e chiarimenti o aperte indagini sulla storia all’improvviso saltavano fuori difficoltà di vario tipo che rendevano “impossibile” arrivare alla verità.
Del resto, all’opinione pubblica la cosa interessava relativamente. Così la situazione rimase inalterata. Ancora oggi, sebbene si dica che i tempi siano cambiati, il governo Obama, sostiene di non sapere nulla dei malati di mente schiavizzati che sventravano animali con lo sguardo fisso e la testa persa in un altro mondo. Salvo una manciata di ore di sonno, che trascorrevano su materassi buttati a terra nei locali dove un tempo sorgeva un istituto scolastico, tutta la loro vita consisteva nella macellazione di volatili.
I vigilanti dell’azienda avicola, nota come Henry’s Turkey Service, raccontavano alla stampa locale che gli operai erano una grande famiglia allargata ma un’assistente sociale che aveva raccolto informazioni tornò di nascosto a visitare l’impianto, vide con i suoi occhi o ventuno disabili malnutriti e malandati costretti a lavorare in locali gelidi infestati dai topi e decise di non mollare la presa. Riuscì ad avvicinarli ed imparò i nomi di ciascuno di loro senza mai smettere di chiedersi come diavolo fossero finiti in un posto simile.
In un mondo che reputa banalmente inutile la presenza dei disabili nei vari settori lavorativi, la storia dei malati di mente dell’Iowa potrà apparire insignificante ma, conoscendola, ci si accorge che non è così.
Tutto comincia alla fine degli anni ’60, quando due giovani agronomi, Kenneth Henry e T.H. Johnson, entrambi con un approccio alla vita decisamente di destra, a favore del “diritto” al possesso di armi, dell’espulsione degli immigrati clandestini e della segregazione razziale, fondarono la Henry’s Turkey Service. I due fecero fortuna e, approfittando dei fondi concessi dal governo a favore dei corsi di formazione per l’avviamento al lavoro dei minori affetti da patologie mentali, reclutarono una settantina di ragazzi psico-labili nei vari istituti del Texas.
Gene Berg, il lavapiatti in attesa alla fermata dell’autobus alla periferia di una cittadina dell’Iowa, fu prelevato da una comunità per disabili di Abilene a soli 12 anni e portato ad “acclimatarsi” nell’impianto per la lavorazione delle carni avicole distante migliaia di chilometri da casa. Pretesto ufficiale: favorire la sua graduale conquista dell’autonomia.
Già abbandonato dalla famiglia, Berg si ritrovò invece in un ambiente ostile, dove pene, mali e disagio aumentarono. Oggi ha sessantadue anni e dice che per lui la vita finì quando iniziò a lavorare per la Henry’s Turkey Service.
I giovanissimi disabili venivano fatti alzare e buttati sotto una doccia gelida prima dell’inizio dei turni di lavoro. L’incubo fu identico per Willie Levi, trovato in una scuola per minorati psichici di Orange. Il ragazzo, madre domestica e padre alcolizzato, avrebbe facilmente potuto diventare un campione d’atletica e si ritrovò invece a vivere in un edificio fatiscente dell’Iowa di proprietà del comune di Atalissa trasformato in stabilimento per la lavorazione delle carni avicole.
I tre fratelli Penney, reclutati nello stesso istituto di Berg, dove erano stati scaricati dai genitori perché “difficili da gestire” furono anche loro spediti nell’Iowa dal Texas per lavorare a tempo pieno nell’ammazzatoio. Bisognava imparare in fretta a lavorare tra melma e sangue e, soprattutto, abituarsi ad incombenze mostruose senza lasciarsi vincere dallo struggimento. Nei capannoni a diversi livelli tacchini, polli ed oche venivano uccisi in modo raccapricciante e poi spennati ed avviati alla lavorazione.
Ad Atalyssa venivano sterminati più di ventimila volatili al giorno ma le leggi che avrebbero dovuto proteggere i minori più vulnerabili erano già letteralmente evaporate. Autorità statali e agenzie federali voltarono le spalle ai ragazzi costretti ad affrontare ogni giorno una odiosa routine.
Nel maggio del 1981, Gene Berg tentò la fuga con in tasca venticinque centesimi, una microscopica edizione della Bibbia e l’indirizzo della madre scarabocchiato su un pezzo di carta. Era arcistufo di tirare il collo a migliaia di pennuti mentre gli operai normodotati si divertivano alle sue spalle e disposto a correre qualunque rischio pur di allontanarsi sa quel posto che avrebbe messo in ginocchio anche persone non particolarmente deboli.
Berg, che oggi ha sessantadue anni, ricorda ancora che con i soldi comprò una merendina ma non riuscì a fare molta strada. I vigilanti lo ritrovarono per poi scortarlo oltre i cancelli che circondavano il piatto edificio di mattoni dove i volatili venivano massacrati.
Del resto, gli Stati Uniti non hanno mai avuto una legge che proibisca di sfruttare i disabili. Anzi, proprio secondo la legge i lavoratori mentalmente o fisicamente ritardati, non avendo la capacità di svolgere mansioni precise, difficilmente verrebbero assunti e devono accontentarsi di un salario ben al di sotto dei minimi previsti per i cittadini normodotati. Le imprese che superano ogni limite di decenza al massimo vengono multate.
Moltissime associazioni benefiche, industrie, aziende e persino le scuole hanno sempre approfittato dei diversamente abili costringendoli a lavorare per pochi centesimi l’ora. Nel caso della Goodwill Industries International, una delle più grandi realtà del volontariato e del no-profit nel mondo, ad esempio, sfruttare le persone più vulnerabili per crearsi la reputazione di benefattori, è una regola. “We believe in Work”, ovvero “Crediamo nel lavoro” è il motto della Goodwill. Il che non impedisce ai dirigenti di portarsi a casa trecentomila dollari l’anno lasciando ad esempio a persone come Harold Leigland, un commesso cieco dalla nascita solo le briciole.
Il paragrafo 14 comma C della legge federale stabilisce infatti anche che i minimi salariali possono essere ulteriormente ridotti nel caso di soggetti ciechi, cerebrolesi o tossicomani. Non esiste una regola fissa, l’imprenditore deve rivolgersi al dipartimento del Lavoro e, una volta ottenuto il nulla-osta, stabilirà l’importo a suo piacimento. Sono soprattutto le organizzazioni umanitarie che si appellano al diritto di pagare i disabili il minimo possibile anche se non mancano certo gli industriali. Un numero infinito di aziende vive ormai raschiando quello che si usa definire il fondo del barile.
Citando a caso, Cross Roads Support, Kinston Automotive and Tire, nella Carolina del Nord sono state autorizzate negli ultimi tre mesi a tagliare di netto lo stipendio dei disabili riducendolo a due dollari e settantacinque l’ora. Un importo che non basta neppure a coprire l’abbonamento dell’autobus.
La lista è lunghissima è comprende alberghi lussuosi come il Ramada Inn e l’Holyday Inn, catene di fast food tra cui le arcinote McDonald e Highway 55 Burgers, produttori di materiali da imballaggio come Coleman Assembly in Massacchussets, grandi librerie come Bayfield e persino il Politecnico di Fox Valley, che pagano ai disabili salari compresi tra i 28 ed il 41 centesimi per ogni ora di lavoro.
Quanto agli enti istituzionali, il ministero dei Trasporti del Wisconsin godeva di questo privilegio già dalla fine del 2012. Comunità-famiglia e no-profit di qualunque categoria pagano ai disabili salari da fame. Grandi organizzazioni umanitarie, come anche la Goodwill, vietano addirittura ai dipendenti disabili di servirsi degli stessi bagni degli altri lavoratori. In compenso, ma questo è noto, nel 1980 boicottarono, capitanati da Ted Turner, i giochi olimpici per protesta contro quella che definirono “invasione dell’Afghanistan” da parte dell’Unione Sovietica, ma non risulta abbiano mai trovato nulla da ridire sullo sterminio del popolo afgano da parte degli americani.
Jim Burnett, campione di maratona, lavora per la Goodwill. Burnett viene descritto come lavoratore modello oltre che volenteroso. D’altra parte, se a 49 anni vince ancora gare di maratona, è ovvio che la disabilità non influisce sul suo rendimento. Ma i suoi guadagni sono assai esigui, soprattutto se paragonati ai circa sessanta milioni l’anno che l’impresa no profit corrisponde ai suoi dirigenti. Di circa centomila dipendenti della Goodwill, almeno ottomila risultano essere disabili mentali e, nonostante i fondi provenienti da casse pubbliche, sono tutti regolarmente sotto-pagati.
Eppure la Goodwill ha attecchito anche in Italia ed in molti altri paesi del mondo e realizza miliardi rivendendo ad esempio gli abiti di seconda mano che la gente getta negli appositi cassonetti. Ogni filiale è assolutamente indipendente dall’altra e quella di Los Angeles risulta essere decisamente la più generosa di tutte, con dirigenti che percepiscono compensi di circa quattrocentomila dollari l’anno. Dei nove milioni di dollari ricevuti dal governo della filiale Goodwill in Connecticut, due milioni sono andati al presidente David Turner ed al suo staff.
L’America del nuovo millennio, grazie alla legge federale, ha però mantenuto il privilegio in tutti gli stati di sfruttare le braccia dei disabili per ingrassare le tante lobbies politiche che, ad esempio, in Missouri fagocitano circa due milioni di dollari l’anno.
In sintesi, stiamo parlando di una forza-lavoro composta da circa trecentomila addetti costretti a lavorare e al tempo stesso inventarsi il modo di sopravvivere nonostante gli impedimenti dovuti alla loro condizione. La direzione generale di Goodwill continua però a vantarsi di aver offerto “una grande opportunità” a persone che sarebbero stare escluse comunque dal mondo del lavoro.
Ma questo non cambia che in Missouri presidente e alti dirigenti di Goodwill abbiano falsificato ad arte centinaia di fatture ed altri documenti ufficiali con ammirevole disinvoltura. Non solo non ci sono stati miglioramenti della qualità di vita per i disabili ma, nonostante l’arresto Ronald Partee, presidente di Goodwill, Missouri è finito in carcere ma, incredibilmente, anche dietro le sbarre Partee ha continuato ad amministrare le entrate per un totale di circa settanta milioni di dollari l’anno. Nella mega-truffa erano implicati anche dozzine di alti papaveri che però hanno comunque incassato compensi per due milioni di dollari l’anno.
Nella Carolina del Nord, una coppia i coniugi al soldo di Goodwill portava oltre ottocentomila dollari l’anno. La stessa cifra, più o meno, donata da Goodwill alle popolazioni sub-sahariane. Samuel Bageston, l’uomo che scritto l’articolo quattordici, cattedra di economia presso la facoltà di legge del Michigan, stima che il lavoro di un disabile mentale non può in nessun modo valere più di tre dollari l’ora. Ma in un paese che ha come dio il libero mercato, a vincere è sempre il diavolo.