di Michele Paris

Secondo quanto riportato dalla stampa giapponese, il primo ministro nipponico Shinzo Abe sarebbe intenzionato a sciogliere anticipatamente la camera bassa del Parlamento di Tokyo (Dieta), così da ottenere un nuovo mandato elettorale prima dell’ulteriore discesa dei livelli di popolarità del suo governo prevista nei prossimi mesi. Ufficialmente, la decisione sarebbe legata allo stato dell’economia e all’aumento della tassa sui consumi dall’8% al 10% che dovrebbe entrare in vigore nell’ottobre del prossimo anno.

Abe, cioè, intende valutare i nuovi dati sull’andamento del PIL giapponese che usciranno nella giornata di lunedì per riservarsi l’opzione, nel caso la crescita risultasse debole, di rinviare l’aumento dell’imposta all’aprile 2017. In tal caso, il premier ultra-conservatore potrebbe anche indire nuove elezioni che, con ogni probabilità, il suo Partito Liberal-Democratico (LDP) finirebbe per vincere senza particolari affanni.

Il governo giapponese aveva già introdotto un aumento dell’IVA dal 5% all’8% nell’aprile scorso, come previsto da un provvedimento preso dal precedente governo di centro-sinistra guidato dal Partito Democratico (DPJ), provocando un crollo dei consumi e una contrazione dell’economia pari al 7,1% nel secondo trimestre dell’anno.

Questa misura, assieme ad altre iniziative di stampo nazionalista e militarista nell’ambito della sicurezza nazionale e alla sostanziale incapacità di incidere sulle condizioni economiche della maggioranza della popolazione, ha provocato la rapida discesa degli indici di gradimento di un esecutivo che era stato propagandato come uno dei più popolari in assoluto nella storia recente del Giappone grazie ad aggressive politiche di stimolo alla crescita.

Vista l’esperienza dei mesi scorsi, Abe starebbe perciò pensando di posporre l’aumento della tassa sui consumi e di consolidare la propria maggioranza parlamentare mentre i numeri continuano a indicare un comodo margine di vantaggio per l’LDP sui partiti dell’opposizione praticamente allo sbando.

Il primo ministro si assicurerebbe così un nuovo mandato fino alla fine del 2018, in modo da poter adottare nei prossimi due anni una serie di misure estremamente impopolari senza doversi preoccupare a breve delle loro conseguenze sull’appuntamento con le urne.

Le decisioni principali che il governo nipponico intende prendere, oltre all’aumento dell’IVA, riguardano la riattivazione delle centrali nucleari dopo il disastro di Fukushima, l’aumento dell’impegno delle forze armate giapponesi all’estero, la riscrittura della Costituzione in senso militarista, l’approvazione di un controverso trattato di libero scambio “trans-pacifico” voluto dagli Stati Uniti (TPP) e, soprattutto, la “riforma” del mercato del lavoro e dei programmi di assistenza sociale.

Il fatto che Abe stia per mettere in atto una manovra profondamente anti-democratica, così da assicurarsi il prolungamento del suo mandato alla guida del paese senza fare i conti con gli elettori una volta adottate misure impopolari, testimonia della crisi politica in cui è precipitato il governo Liberal-Democratico che solo due anni fa aveva stravinto le elezioni.

Inoltre, la mossa del premier - che non risponde a nessuna necessità numerica in Parlamento né a pressioni o a eventi particolari che abbiano apparentemente messo in difficoltà il governo - rivela ancora una volta la natura di classe delle cosiddette “Abenomics”, cioè l’insieme delle politiche di libero mercato messe in atto o semplicemente annunciate dal gabinetto conservatore, risoltesi come altrove in benefici che hanno favorito quasi soltanto grandi aziende e speculatori di borsa, mentre risultano fortemente avversate dalla gran parte dei giapponesi.

Abe, in ogni caso, si incontrerà lunedì con il leader dell’alleato di governo, Natsuo Yamaguchi del partito buddista Komeito, per discutere i tempi dell’eventuale scioglimento della Camera dei Rappresentanti giapponese. Le date più probabili per il voto anticipato sembrano essere il 14 o il 21 dicembre.

L’LDP al governo viene accreditato dai sondaggi di una quota di voti vicina al 37%, al di sotto del 43% ottenuto nelle elezioni del dicembre 2012 ma ampiamente sufficiente per sconfiggere l’opposizione del Partito Democratico. Quest’ultimo avrebbe infatti un gradimento inferiore addirittura all’8%, almeno secondo un recente sondaggio diffuso dalla televisione pubblica NHK.

Ancora per qualche giorno, Abe sarà impegnato lontano dal Giappone e martedì a Pechino, durante il vertice dell’APEC, ha affermato di non avere preso alcuna decisione sul voto aniticipato. Le indicazioni in questo senso, tuttavia, sembrano piuttosto chiare.

Il quotidiano conservatore Yomiuri Shimbun ha ad esempio rivelato che il già ricordato numero uno del partito Komeito avrebbe dato ordine ai propri luogotenenti di accelerare i preparativi per le elezioni. Uno dei massimi dirigenti dei Liberal-Democratici, inoltre, in una conferenza stampa tenuta sempre martedì ha affermato che nel partito, “senza dubbio, prevarrà la volontà di sciogliere [anticipatamente] la camera bassa” del Parlamento. Per giovedì, infine, è in programma una riunione per pianificare la strategia elettorale del partito, a cui parteciperanno 120 parlamentari dell’LDP eletti per la prima volta nel 2012.

La strategia di Shinzo Abe ha comunque sorpreso molti all’interno della classe dirigente giapponese e tra la comunità internazionale degli affari. In linea generale, il governo di Tokyo è esposto a forti pressioni sia per mettere in atto le “riforme” per la liberalizzazione della propria economia sia per tenere sotto controllo un debito pubblico che, a oltre il 220% del PIL, è il più elevato di tutti i paesi industrializzati.

Precisamente per contenere l’esplosione del debito nipponico, il precedente governo del DPJ aveva deciso l’impopolare raddoppio dell’IVA in due fasi per portarla al 10% entro il 2015. Soprattutto dalla Banca Centrale del Giappone, protagonista di un programma di “stimolo” all’economia sul modello del “quantitative easing” della Fed americana, si stanno intensificando perciò gli appelli al governo per implementare l’aumento della tassa nei tempi previsti.

Anche nell’Esecutivo non mancano poi le voci che criticano il rinvio, a cominciare dal ministro delle Finanze, Taro Aso, il quale ha avvertito mercoledì in Parlamento che i fondi per il welfare giapponese saranno a rischio se l’IVA non salirà al 10% nel 2015.

I membri del governo più vicini al premier continuano al contrario a manifestare preoccupazione per le ripercussioni sull’andamento dell’economia. Secondo quanto riportato da Bloomberg News, il consigliere di Abe, Etsuro Honda, avrebbe ad esempio escluso l’aumento dell’imposta se l’economia giapponese dovesse far segnare una crescita inferiore al 3.8% nel terzo trimestre.

Le previsioni degli economisti indicano una crescita per il periodo luglio-settembre attorno al 2,8%. Su base annua, invece, la crescita ammonterebbe a un anemico 1%, contro l’1,5% registrato nel 2013.

Abe, in definitiva, si ritrova a fare i conti con una situazione economica ben più complessa del previsto e poco o per nulla migliorata - per non dire aggravata - dalle politiche adottate dal suo governo. Un labirinto, quello in cui si trova il Primo Ministro, da cui sembra ora voler uscire cercando di portare a termine l’adozione delle misure anti-sociali promesse al business indigeno e richieste dagli ambienti finanziari internazionali senza passare attraverso il giudizio degli elettori giapponesi.

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