di Mario Lombardo

Da qualche giorno una grave crisi politica sta attraversando la repubblica caucasica della Georgia, con evidenti riflessi sullo scontro in atto attorno alle vicende ucraine tra i governi occidentali e quello russo. Il gabinetto del primo ministro Irakli Garibashvili rischia cioè di perdere la maggioranza parlamentare che lo sositiene dopo l’uscita dalla coalizione di governo del partito filo-occidentale “Liberi Democratici”. La decisione dei leader di questa formazione è arrivata in seguito a un duro confronto con il premier, il quale nella giornata di martedì aveva rimosso dal proprio incarico il ministro della Difesa, nonché leader dei Liberi Democratici, Irakli Alasania.

Il provvedimento è stato preso ufficialmente a causa delle dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo in merito a un’indagine in corso su episodi di corruzione legati alle forniture di materiale destinato alle forze armate del paese. In sostanza, Alasania aveva definito l’indagine come una manovra politica volta a far naufragare i piani per l’integrazione della Georgia nella NATO e, più in generale, rappresenterebbe un “attacco alla scelta euro-atlantica” fatta dal paese caucasico.

In segno di solidarietà con il loro leader, tra martedì e mercoledì altri due ministri si sono dimessi: quello degli Esteri, Maia Panjikidze, assieme ai suoi quattro vice, e quello per l’Intergrazione Europea e Euro-Atlantica, Aleksi Petriashvili. Secondo alcuni giornali, anche l’inviato della Georgia presso la NATO, Levan Dolidze, avrebbe abbandonato la propria funzione, ma le sue dimissioni non sembrano essere state finora confermate.

Sempre mercoledì, poi, i leader della coalizione di governo hanno partecipato a un vertice, al quale avrebbe assistito anche l’ex primo ministro e fondatore del partito di Garibashvili (“Sogno Georgiano”), l’imprendore miliardario Bidzina Ivanishvili. Già accusato di pilotare le decisioni del governo dietro le quinte, durante l’incontro Ivanishvili avrebbe parlato a favore dell’inchiesta che coinvolge il ministero della Difesa, spingendo i rappresentanti dei Liberi Democratici ad abbandonare la riunione.

Successivamente, Alasania ha reso nota la decisione di ritirare l’appoggio del suo partito all’Esecutivo e, in varie interviste, ha ribadito le accuse già rivolte contro il primo ministro, lasciando intendere che sia in atto un tentativo di cambiare gli orientamenti della politica estera georgiana per favorire “il paese che ha occupato i territori georgiani”, vale a dire la Russia.

Dichiarazioni simili sono state rilasciate anche dagli altri due ministri dimissionari. Petriashvili ha fatto riferimento a un “gruppo ristretto”, verosimilmente di membri del partito Sogno Georgiano, che sarebbe dietro alle manovre per imprimere una svolta strategica al paese. L’ormai ex ministro degli Esteri Panjikidze, cognata di Alasania, ha sostenuto invece che tutti i progetti e i risultati conseguiti dalla Georgia riguardo all’integrazione con l’Unione Europea e la NATO sono messi in pericolo da “elementi” interni al governo.

L’uscita dei Liberi Democratici dal governo mette a rischio la sopravvivenza del governo di Tbilisi. Se tutti e dieci i parlamentari di questo partito dovessero passare all’opposizione, al governo mancherebbero infatti tre voti per avere la maggioranza assoluta. Secondo il sito di informazione Civil Georgia, tuttavia, almeno due deputati del partito di Alasania potrebbero rimanere nella coalizione, mentre il governo e i leader di Sogno Georgiano starebbero trattando con alcuni parlamentari indipendenti per ottenere il loro appoggio.

Dal momento che la Georgia è un fedele alleato dell’Occidente e un punto fermo nella strategia di accerchiamento della Russia fin dalla cosiddetta “Rivoluzione delle Rose” del 2003, orchestrata dagli Stati Uniti e guidata da vari leader dell’opposizione tra cui il futuro presidente Mikheil Saakashvili, gli sviluppi della crisi politica in atto a Tbilisi stanno provocando gravi preoccupazioni a Washington e a Bruxelles.

Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno diffuso un comunicato per esprimere le proprie perplessità circa il licenziamento di Alasania, definito dal New York Times il “garante” dell’integrazione della Georgia nella NATO e nell’UE. Parallelamente, il Dipartimento di Stato ha invitato i leader georgiani a “mantenere la rotta verso un futuro euro-atlantico”. L’ambasciatore USA a Tbilisi, Richard Norland, in apparenza senza ironia, ha premesso che “la composizione del governo della Georgia è ovviamente una questione che riguarda i georgiani” per poi chiedere a “tutti i partiti di… dedicarsi al futuro del paese” che dovrà essere “fermamente ancorato alle istituzioni euro-atlantiche”.

Il 32enne primo ministro Garibashvili, da parte sua, ha respinto le accuse di Alasania in maniera netta, assicurando allo stesso tempo agli Stati Uniti che “l’integrazione euro-atlantica del nostro paese non è soltanto una scelta del governo, ma anche del popolo” e che “questo processo è irreversibile”.

In effetti, almeno esteriormente, non sembra esserci finora alcun segnale concreto di una possibile modifica degli orientamenti strategici della Georgia, il cui governo solo lo scorso mese di giugno aveva firmato un accordo di partnership con Bruxelles assieme a Moldavia e Ucraina.

Soprattutto tra gli ambienti anti-russi negli Stati Uniti, tuttavia, circola da tempo più di un dubbio in merito alla serietà dell’impegno per l’integrazione con l’Occidente da parte dei leader del partito Sogno Georgiano. I sospetti riguardano in particolare il suo fondatore, Bidzina Ivanishvili, arricchitosi grazie ad agganci nella Mosca post-sovietica e legato per motivi d’affari alla Russia, qundi ritenuto meglio disposto verso il Cremlino di quanto non lo era Saakashvili.

Ivanishvili, d’altra parte, una volta vinte le elezioni nel 2012 aveva promesso di riparare le relazioni con la Russia, danneggiate dopo il conflitto del 2008 in Ossezia del sud, pur mantenendo fermo l’impegno di continuare il processo di avvicinamento all’Occidente. Inoltre, Ivanishvili aveva da subito iniziato una campagna fatta di arresti e incriminazioni ai danni di numerosi esponenti del regime di Saakashvili, guadagnandosi così le critiche del governo di Washington e dei suoi alleati.

Su queste paure dell’Occidente, Alasania e i Liberi Democratici stanno dunque facendo leva per avvantaggiarsi politicamente e, con ogni probabilità, favorire le ambizioni dell’ormai ex ministro della Difesa. Alasania, addirittura, in una recentissima apparizione televisiva ha sostenuto che in Georgia “ci sono molti Yanukovich”, in riferimento al deposto presidente ucraino che aveva voltato alle spalle all’Europa per aderire a un accordo economico e commerciale con la Russia.

Il riferimento a Yanukovich e all’Ucraina nasconde un’evidente minaccia da parte di Alasania, cioè che un eventuale allontanamento dall’Occidente del governo georgiano provocherebbe una nuova protesta di piazza appoggata da Washington. L’intransigenza dell’ex ministro della Difesa nei confronti della Russia era apparsa evidente nel corso di una visita a Tbilisi del numero uno del Pentagono, Chuck Hagel, nel mese di settembre. In quell’occasione, Alasania aveva duramente condannato il comportamento di Putin, collegando inoltre la situazione in Ucraina a quella vissuta dal suo paese durante e dopo la guerra del 2008.

La crisi politica esplosa in Georgia è senza dubbio il sintomo e allo stesso tempo la conseguenza di tensioni che covano sotto la cenere tra le élite della ex repubblica sovietica. Il partito di Ivanishvili, specialmente, è composto da fazioni e tendenze di vario genere, così che al suo interno ci sono divisioni sull’allineamento strategico che dovrebbe perseguire la Georgia sullo scacchiere internazionale, cioè se continuare a inseguire una totale integrazione con l’Occidente o tenere una posizione più pragmatica che non escluda relazioni cordiali con il Cremlino.

Se queste divergenze sono state un fattore nel determinare le vicende dei giorni scorsi in Georgia, esse sono però anche le conseguenze dello scontro di potere in atto tra il premier Garibashvili e Ivanishvili da una parte e Alasania dall’altra.

Come ha scritto mercoledì la testata on-line Eurasianet, non è la prima volta che Alasania viene colpito da provvedimenti decisi dal capo del governo, in particolare durante i tredici mesi trascorsi alla guida del governo da Ivanishvili (ottobre 2012 - novembre 2013). In questo periodo, il miliardario georgiano si sarebbe infatti adoperato per “bloccare le ambizioni politiche di Alasania”, giungendo nel gennaio del 2013 a rimuoverlo dall’incarico di “primo vice premier” dopo che erano emerse manovre per un suo tentativo di candidarsi alla presidenza del paese dietro le spalle del capo del governo.

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