di Emanuela Muzzi

Londra. Se la Serbia guardi oggi ad est o ad ovest, verso Bruxelles o Mosca, in fondo non è una questione rilevante per chi concepisca l’Unione Europea come unione dei popoli, come civiltà comprensiva e multiculturale e non come zona di esercizio del potere delle banche centrali o area geo-economicamente strategica. Certamente le strategie economiche contano: ad esempio la decisione presa in questi giorni della Serbia di rimandare l’inizio della costruzione del corridoio “South Stream” ha infuriato Putin e portato la Russia a richiedere il taglio del 28% ed il pagamento del debito sulle forniture di gas accumulate sinora a Belgrado.

Pare infatti che Belgrado abbia scatenato la ritorsione di Mosca perché si è allineata con la politica della Ue rispetto al corridoio del gas “South Stream”. Questo è rilevante per capire il contesto strategico. Ma il testo in vista dell’entrata nella Ue dovrebbe riguardare il livello di democrazia e lo stato del rispetto dei diritti umani.

Belgrado è indubbiamente Europa dal punto di vista storico-culturale: una città dove per secoli culture diverse hanno convissuto pacificamente tra le rive del Danubio e della Sava anche dopo la morte di Tito, finché non è cominciata la grande tragedia di una guerra e scatenata da tre gerarchi al potere, Milosevic, Tudjiman e Itzebegovic, che ha riportato l'orrore dello sterminio di massa nel cuore dell'Europa sotto gli occhi non curanti dell'Occidente, interessato all'area balcanica solo per destabilizzarla e instaurare un nuovo quadro politico. Ma comunque i serbi agli ordini di Mladic e del mito della Grande Serbia, da Vukovar a Sebrenica, hanno macchiato la ‘Città bianca’ in modo permanente di crimini contro l’umanità.

La Commissione europea ritiene che i passi necessari alla rivisitazione critica di quanto avvenuto non siano ancora stati del tutto compiuti e che, in primo luogo l’amministrazione della giustizia, sia utilizzata a difesa di una casta. Secondo il rapporto UE sul progresso della Serbia in vista di un eventuale ingresso nell’Unione (Enlargement Strategy and Main Challenges 2014-15), la strada da fare verso un assetto democratico è ancora lunga e piena di ostacoli, anche in ordine alla libertà di stampa e libera informazione: il popolare talk show d’inchiesta ‘Utisak Nedelje’ (‘Impressioni della settimana’) in onda sulla TV serba B92 è stato soppresso il mese scorso; la direttrice del programma Olja Beckovic ha dichiarato che il bavaglio è opera del primo ministro Aleksandar Vucicic.

Tema molto delicato e in qualche modo riflesso innegabile delle difficoltà nella completa democratizzazione del paese. Del resto il neoeletto Primo Ministro, leader del Partito Progressista, tra i primi provvedimenti del suo mandato ha imposto al Parlamento il voto d’urgenza su tre decreti legge sulla regolamentazione dei media il cui testo non è stato reso noto all’informazione pubblica. Anche l’Osce lo scorso agosto ha ufficialmente espresso preoccupazione per la diretta ingerenza dello stato sui media e sulla censura online in Serbia.

Per proseguire sul percorso Belgrado-Bruxelles, troviamo le Corti di giustizia: nel report, la Commissione Ue conclude: “Scarsi progressi sono stati fatti nel campo giudiziario e dei diritti fondamentali”, specificando che, nonostante l’assegnazione di nuovi magistrati e una riforma giudiziaria in corso d’opera, l’accesso alla giustizia è ancora scarso e che, nei casi di crimini compiuti durante le guerre jugoslave, non c’è alcuna protezione dei testimoni.

In sostanza la Commissione - benché moderatamente - critica Belgrado, limitando le raccomandazioni al paese candidato a fattori di implementazione ed ottimizzazione di sistema, a dispetto di dati che parlano di violazioni sostanziali dei diritti umani delle minoranze e dei diritti delle donne, dell’accesso al lavoro ed alla rappresentanza politica e del diritto all’accesso alla giustizia, anche quella civile ordinaria. La Commissione, piuttosto, era stata decisamente più esplicita nello scoraggiare Belgrado dalla costruzione del corridoio South Stream in vista dell’accesso all’Unione.

Vero è che l’Unione Europea che ha appena avuto come suo presidente di turno l’Ungheria del nazista Orban, quando parla di diritti politici non può alzare la voce più di tanto se non vuole scatenare l’ilarità generale. Ma l’attenzione rivolta solo alla vicenda del South Stream ricorda come Bruxelles - che si tratti di Ungheria, di Serbia o di qualunque altro paese - sia interessata quasi esclusivamente all’economia.

L’ingresso di Belgrado offre un’ulteriore potenziale zona franca nel cuore del Vecchio Continente e l’ennesima occasione di bypassare le clausole sociali di mercato. Risorse naturali minerarie e braccia a basso costo sono il carburante ideale per i forzieri delle banche europee pronte all’invasione della Serbia come già è successo in ogni altro paese dell’Est Europa.

E non solo di Serbia si tratta. Sul tavolo della Commissione c’è anche il ‘break down diplomatico’ con la Turchia: lo scorso luglio il primo ministro turco Erdogan ha detto che di fronte ad un nuovo attacco ai ‘bosniaks’, (l’etnia musulmana sterminata dalle truppe serbe durante la guerra bosniaca) non avrebbe esitato a mandare una flotta di navi da guerra con 100mila turchi nel porto di Neum; Vu?i? ha subito risposto che una simile minaccia, se confermata, avrebbe destabilizzato la regione.

Naturalmente, come nelle migliori tradizioni, l’affresco della battaglia navale ottomana nel cuore dell’Adriatico, dipinto da Erdogan in piena campagna elettorale, è stato diplomaticamente annacquato dall’ambasciatore turco a Belgrado Kemal Bozay. Ma del resto, sempre in tema di allargamento Ue, potremmo ricordare quando Erdogan, parlando di Europa, disse che il Kossovo è territorio turco…Il silenzio di Bruxelles al riguardo era scontato, visto che Ankara è membro della NATO e che, dunque, le critiche vanno vellutate. Calcolando che la Serbia dovrebbe entrare nell’Unione nel 2020 e la Turchia nel 2023, tutto sommato possiamo ancora goderci qualche anno di tranquillità. E di noia.


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