di Michele Paris

A giudicare dai titoli dei giornali internazionali di questa settimana, il nuovo bilancio per il prossimo anno presentato dal governo Socialista francese sarebbe una sorta di audace mossa “anti-austerity” che sfida i ferrei principi europei del rigore, promossi principalmente da Berlino. In realtà, il piano di spesa mantiene tutti i tagli previsti ed è perciò perfettamente in linea con gli attacchi portati in questi anni dal presidente Hollande alle classi più deboli della società transalpina.

Il bilancio partorito dal governo del premier Manuel Valls si inserisce infatti nel piano dello stesso Hollande di eliminare dai capitoli della spesa pubblica ben 50 miliardi di euro entro il 2017. Per fare ciò, nel 2015 verranno nuovamente penalizzati svariati programmi sociali, tra cui in particolare quelli destinati alle famiglie con figli, e la sanità pubblica.

In quest’ultimo settore i tagli ammonteranno a 3,2 miliardi di euro, mentre i genitori francesi vedranno diminuire, tra l’altro, le somme tradizionalmente erogate una tantum alla nascita dei loro figli e gli assegni mensili, il periodo di congedo di maternità o paternità e il contributo per pagare i servizi di baby-sitter.

Tra gli altri provvedimenti previsti ci sono anche aumenti della tassa televisiva e della benzina diesel, così come l’apertura alla competizione di alcuni settori dei servizi e del commercio, come farmacie e attività notarili.

Complesivamente, il bilancio di Hollande prevede nel 2015 risparmi pari a 9,6 miliardi di euro per il welfare francese, 3,7 miliardi in meno da stanziare agli enti locali e altri 7,7 miliardi di tagli in vari settori finanziati dalla spesa pubblica.

Tutti questi interventi, più in generale, rappresentano un vero e proprio trasferimento di ricchezza a favore delle classi più agiate, in primo luogo degli industriali, visto che i tagli servono in larga misura a compensare benefici fiscali da 40 miliardi di dollari voluti da Hollande per le aziende private, teoricamente in cambio di una campagna di assunzioni di cui finora non vi è traccia.

L’annuncio del nuovo bilancio è stato accolto da numerose manifestazioni di protesta nel paese, con migliaia di francesi che, con ogni probabilità, non devono avere compreso fino in fondo la natura “anti-austerity” delle iniziative del loro governo proclamata dai media ufficiali.

La presunta “sfida” al rigorismo tedesco e dei vertici delle istituzioni europee da parte di Parigi, d’altra parte, si limita al rifiuto di implementare più rapidamente i tagli alla spesa promessi, così che la Francia possa ridurre il proprio deficit pubblico nei tempi imposti da Bruxelles.

Il piano francese dovrebbe portare il rapporto deficit/PIL dal 4,4% di quest’anno al 4,3% del 2015, per poi scendere al 3,8% nel 2016 e solo nel 2017 sotto il 3% (2,8%), cioè la soglia massima permessa dall’Unione Europea e che avrebbe dovuto essere raggiunta da Parigi dapprima nel 2013 e poi nel 2015.

A spiegare la nuova violazione delle direttive UE è stato il ministro delle Finanze, Michel Sapin, per il quale la difficile situazione economica francese ha costretto il governo a un “adattamento” del processo di riduzione del deficit. L’economia della Francia dovrebbe infatti crescere appena dello 0,4% quest’anno e raggiungere un tasso del 2% solo nel 2019, anche se queste stime, sia pure modeste, sono da molti ritenute eccessivamente ottimistiche.

Le parole di Sapin sono in ogni caso un’ammissione dell’impossibilità per un numero crescente di paesi di rispettare i parametri europei, se non a rischio di provocare un’esplosione sociale, visti i sacrifici già richiesti in questi anni ai ceti più poveri.

Il governo e il presidente francese, inoltre, nonostante siano esposti alle pressioni del business domestico e internazionale per tagliare ancor più rapidamente la spesa, continuano a far segnare livelli di gradimento infimi nel paese proprio a causa dell’accanimento con cui sono state perseguite le politiche di rigore. La situazione politica interna, poi, è sempre più precaria, con l’estrema destra in costante crescita e l’ala sinistra del Partito Socialista sul piede di guerra di fronte all’abbandono spudorato da parte di Hollande anche di qualsiasi parvenza vagamente progressista.

In ogni caso, il governo non intende recedere dalle politiche anti-sociali che hanno fatto sprofondare i Socialisti. Le dichiarazioni ufficiali dell’esecutivo, secondo le quali Parigi afferma di “respingere l’austerity” sono smentite dalla portata dei tagli già descritti, ma anche ad esempio dalle parole pronunciate martedì da Hollande nel corso di un incontro all’Eliseo con i vertici dell’industria transalpina. Il presidente ha infatti avvertito il paese che “non ci sono piani di risanamento indolori” e che “se non si sentono grida, ciò significa che non c’è risanamento”.

La cosiddetta “audacia” del governo francese in ambito finanziario ha comunque avuto riflessi questa settimana anche nella realtà parallela di Bruxelles, con il commissario europeo designato per gli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, finito sotto il fuoco dei parlamentari europei conservatori.

Nel corso di un’audizione prima della nomina ufficiale di Moscovici, sono state messe in dubbio le sue capacità di far rispettare le regole sui bilanci dei vari governi, visto che la Francia ha appena annunciato per la seconda volta in tre anni lo sforamento del tetto del deficit e che egli stesso, in qualità di ministro delle Finanze prima di Sapin, aveva presieduto al mancato raggiungimento dell’obiettivo del 3%.

Le notizie provenienti da Parigi, infine, hanno provocato reazioni spazientite in Germania, facendo riemergere le divisioni che continuano a segnare i rapporti tra i principali paesi europei di fronte a una crisi senza soluzioni in vista.

Secondo la cancelliera Merkel, così, la credibilità della stessa Europa dipenderebbe dalla volontà dei singoli governi di mettere in ordine i propri bilanci, mentre ancora più drastico è stato il numero uno della principale associazione delle aziende esportatrici tedesche, Anton Börner, per il quale se la Francia non dovesse trovare una via d’uscita dalla “spirale verso il basso” in cui si trova, l’Unione e la moneta unica potrebbero essere a rischio.

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