di Luca Mazzucato

La sera del 4 Gennaio, pochi minuti dopo il ricovero di Sharon per un grave ictus, rimbalza la notizia di veglie di preghiera per il premier, a Gerusalemme, e di un grande ritrovo spontaneo al muro del pianto. In realtà, quella notte Gerusalemme resterà deserta e al muro del pianto faranno capolino solo alcuni giornalisti a caccia di servizi strappalacrime. E' iniziato in diretta il processo di beatificazione. E' comprensibile che Sharon non mobiliti le folle: il piglio decisionista da eroe di guerra gli ha valso in patria un consenso senza precedenti, basato però sull'autorità e il rispetto più che sulla passione civile. Il suo personaggio infatti è estremamente controverso: storicamente nemico della sinistra pacifista, con il ritiro da Gaza si è guadagnato il consenso di quest'ultima ma anche l'odio dei religiosi ultraortodossi. Pochi in Israele dimenticano che fino a due anni fa Sharon era un falco dell'estrema destra. Beniamino dei coloni, ha devoluto ingenti finanziamenti alla costruzione e all'ampliamento di nuovi insediamenti nella West Bank. Il suo chiodo fisso è sempre stato la questione demografica per ottenere il controllo di Gerusalemme Est, ribaltando a favore degli ebrei la popolazione della parte occupata della città (progetto comunque fallito). Tale era il suo seguito tra i coloni che fino all'ultimo momento gli evacuati da Gaza hanno creduto che il ritiro fosse in realtà un furbo stratagemma mediatico. Sul piano militare, la sicurezza per Sharon si declina con gli omicidi mirati dei militanti palestinesi e innesca immancabilmente la sequenza di attacchi suicidi e rappresaglie israeliane. Questa reazione di causa ed effetto è talmente evidente da avergli attirato sui quotidiani l'accusa esplicita di utilizzare l'escalation a fini strettamente elettorali, in particolare per distogliere l'attenzione dalle pesanti accuse di corruzione.

L'atteggiamento di Sharon nei confronti della questione Palestinese cambia radicalmente l'anno scorso, quandosi rende conto della possibilità unica di risolvere il conflitto in modo unilaterale, nella finestra temporale favorevole della seconda amministrazione Bush. Da quel momento il falco Sharon si trasforma in colomba pacifista, a quanto pare sotto l'influente direzione del figlio Omri, responsabile della sua campagna elettorale. Dato che l'ostilità pregiudiziale del partito del Lykud verso qualsiasi soluzione al conflitto gli lega le mani (tanto che gli serve il soccorso del Labor Party al momento del ritiro da Gaza), Sharon non esita a smantellare lo storico partito della destra israeliana, prosciugandolo e lasciandolo nelle mani di Netanyahu. Dal nulla crea Kadima (Avanti), un nuovo partito di centro moderato, ritagliato intorno all'enorme consenso personaledi cui gode. I sondaggi in novembre, nella prima settimana dalla scissione, danno a Kadima la maggioranza quasi assoluta dei seggi ed in breve quasi tutti i ministri dell'attuale governo lasciano il Lykud (Olmert) o il Labor (Peres) per saltare sul carro del vincitore. L'esodo è così spregiudicato che le accuse reciproche di opportunismo risuonano dalla Knesset su tutti i media.

Ma ora, con Sharon appeso tra la vita e la morte, ma comunque non in grado di proseguire la sua avventura, di punto in bianco la politica israeliana si ritrova ora orfana dell'uomo che l'ha modellata a propria immagine. Nonostante questo, le istituzioni israeliane hanno dato notevole prova di solidità, quando la notte stessa dell'ictus i poteri di PrimoMinistro sono stati trasferiti a Ehud Olmert, vicepremier e Ministro delle Finanze, mentre le scadenze istituzionali per l'approvazione del budget procedono senza scosse. Contrariamente alle previsioni negative, i sondaggi del dopo Sharon danno Kadima ancora in forte vantaggio su Lykud e Labor.Ehud Olmert, vice di Sharon, catapultato al vertice di Kadima, rappresenta la figura chiave del nuovo panorama politico. Nell'ultimo sondaggio, Kadima accrescerebbe infatti i suoi consensi con la candidatura Olmert, in aumento persino rispetto all'ultimo sondaggio con Sharon alla guida; segnale che la svolta centrista è stata azzeccata e sta godendo dell'effetto di unità nazionale.

Olmert è un politico scaltro e avveduto, l'ultimo rimasto delle giovani promesse della politica israeliana del dopo '67. Si dice che ai tempi dei suoi primi mandati alla Knesset abbia avuto frequentazioni con la mafia israeliana, ma col tempo è riuscito a far dimenticare i sospetti e, nel 1993, è stato eletto sindaco di Gerusalemme. Ha goduto di un notevole consenso, tanto che venne rieletto per un secondo mandato. Da sindaco, si è distinto in particolar modo per il suo mancato appoggio alla politica di espansione degli insediamenti a Gerusalemme Est e, in questo modo, entra in polemica con Netanyahu e con l'estrema destra del Lykud. Infatti è tra i primi a seguire Sharon in Kadima e contratta all'ombra del premier la fuoriuscita dal suo partito degli altri ministri dell'attuale governo. Conosce infatti molto bene i retroscena del Lykud, essendone stato tesoriere e responsabile della raccolta fondi (anche lui, come Sharon, si sta difendendo dalle accuse di finanziamento illecito). E' di oggi uno dei primi atti di Olmert come primo ministro: la decisione di permettere il voto palestinese a Gerusalemme Est, ma con la clausola che tutti i candidati di Hamas vengano esclusi dalle liste. Finché c'era Sharon al comando, al contrario, la parola d'ordine era di vietare le elezioni a Gerusalemme Est, considerando di fatto la città un territorio annesso ad Israele.

Ora che l'ex generale è uscito di scena, Olmert rappresenta il candidato premier naturale per il neonato partito di centro. Shimon Peres, l'altro leader, nonostante goda di un indiscusso prestigio internazionale, all'interno ha ormai perso la sua credibilità e viene accusato apertamente di essere in vendita al miglior offerente. Infatti, dopo aver perso in ottobre le primarie del Labor, Peres lasciò il suo partito per entrare in Kadima e ora, dopo il ricovero di Sharon, ha aspettato i primi sondaggi sulla tenuta di Kadima prima di sciogliere la riserva sulla sua permanenza nel partito. Dopo la breve indecisione, Peres ha affermato che non correrà per la poltrona di primo ministro, forse ricordando che nella sua carriera ha collezionato soltanto una serie infinita di sconfitte. Ha ribadito invece il suo appoggio a Olmert nella campagna elettorale e i primi manifesti elettorali diKadima con la faccia di Peres stanno facendo la loro comparsa perle strade. Infine ha rifiutato il posto di vice premier e ministro degli esteri, autoassegnandosi una posizione speciale come responsabile del futuro governo per il processo di pace. Il fatto che Kadima rappresenti un magnete elettorale è confermato dalla probabile candidatura dell'ex primo ministro laburista Ehud Barak,che in questi giorni sta contrattando la sua presenza sulle liste del nuovo partito.

Se un'ennesima escalation di violenza non farà virare i consensi su Netanyahu e il Lykud, lo scenario più probabile per le elezioni israeliane del 28 Marzo è dunque la vittoria di Kadima con Ehud Olmert primo ministro ed un governo di coalizione con il LaborParty ed altri partiti minori (Meretz e Shinui), con il mandato di ricominciare dalla road map. Ancora una volta.

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