di Michele Paris

Con una decisione in bilico tra ipocrisia e vigliaccheria, i 28 membri dell’Unione Europea hanno deciso questa settimana di aggiungere alla propria lista delle organizzazioni terroristiche l’ala militare del partito/milizia sciita libanese Hezbollah. La mossa, impensabile solo pochi mesi fa, è il frutto di una spregevole offensiva diplomatica di Stati Uniti e Israele, con la collaborazione di Gran Bretagna, Canada e Olanda, e nulla ha a che fare con la natura attuale del “Partito di Dio”, bensì con la promozione degli interessi di Washington e Tel Aviv e con il deteriorarsi della situazione in Siria per i cosiddetti “ribelli” appoggiati dall’Occidente.

Il contenuto del provvedimento adottato a Bruxelles nella serata di lunedì rivela le divisioni e i dubbi sulla decisione di svariati membri dell’Unione - come Austria, Irlanda, Spagna e la stessa Italia - preoccupati per le possibili conseguenze sia sulla stabilità del Libano sia per le sorti della missione ONU nel sud del paese mediorientale alla quale essi contribuiscono con un numero significativo di soldati. Il loro piegarsi senza troppa fatica alle pressioni americane e israeliane rivela anche il desolante abbandono di qualsiasi velleità di politiche anche minimamente indipendenti e non appiattite su Washington in Medio Oriente.

Per superare le perplessità e raggiungere l’unanimità richiesta per designare una qualsiasi entità come terroristica, oltre a risparmiare per ora l’ala politica di Hezbollah, l’UE ha affermato che rimarranno aperti i canali diplomatici con tutti i partiti libanesi e che i trasferimenti di denaro legali verso l’organizzazione guidata da Sayyed Hassan Nasrallah non verranno interrotti.

In sostanza, perciò, i governi europei si sono dati da fare per rassicurare il Libano dopo avere preso una decisione che contribuirà ulteriormente a destabilizzare questo paese, già spinto sull’orlo della guerra civile a causa delle politiche irresponsabili perseguite dall’Occidente in Siria.

Oltretutto, l’aggiunta alla lista nera UE avrà per il momento ben pochi effetti concreti, visto che Hezbollah stesso non opera alcuna distinzione tra la propria ala militare e quella politica, così che le risorse finanziare in territorio europeo che potrebbero essere congelate saranno difficilmente individuabili, così come gli individui da colpire con eventuali divieti di ingresso.

La decisione appare dunque soprattutto politica e rappresenta in ogni caso solo il primo passo verso la totale messa al bando da parte dell’Europa di un’organizzazione che costituisce una spina nel fianco per gli interessi di Israele e degli Stati Uniti in Medio Oriente.

In particolare, come ha spiegato martedì al quotidiano libanese Daily Star Matthew Levitt, ex vice-assistente del segretario al Tesoro USA, il nuovo scenario aperto dopo la decisione di Bruxelles consentirà ai vari governi dell’Unione di avviare indagini sulle attività di Hezbollah in Europa per verificarne la conformità alle sanzioni. In seguito a queste verifiche, con ogni probabilità, l’UE finirà per riscontrare irregolarità che a loro volta serviranno per giustificare ulteriori misure punitive.

La notizia dell’inclusione del “Partito di Dio” tra i gruppi terroristi non appare tanto un motivo di imbarazzo per quest’ultimo, come ha spiegato con la consueta arroganza il New York Times, quanto per la stessa UE, i cui governi membri hanno dimostrato nuovamente tutto il loro servilismo verso gli USA e Israele proprio a pochi giorni da quello che i media di mezzo mondo avevano definito come una dura presa di posizione contro Tel Aviv con l’approvazione da parte di Bruxelles di un limitato boicottaggio economico dei prodotti provenienti dai territori palestinesi occupati illegalmente.

Questi stessi media ufficiali stanno inoltre ricordando in questi giorni come a spingere i paesi UE più riluttanti a bollare Hezbollah come gruppo terrorista sarebbero stati i risultati delle indagini sull’attentato dell’estate scorsa nella località bulgara di Burgas, sul Mar Nero, contro un autobus di turisti israeliani che provocò sei morti, dimenticando opportunamente di aggiungere che l’attribuzione della responsabilità all’ala militare del movimento sciita non è supportata da alcuna prova schiacciante né, tantomeno, dalla sentenza di un tribunale.

Nel febbraio di quest’anno, semplicemente, il governo conservatore di Sofia, in risposta alle pressioni di USA e Israele, aveva indicato Hezbollah come “probabile” responsabile dell’attentato, pur senza esprimerne la certezza. Successivamente, varie indagini giornalistiche avrebbero mostrato la debolezza degli indizi contro il partito sciita libanese, mentre ai primi di giugno il nuovo esecutivo bulgaro a guida socialista ha fatto marcia indietro, avvertendo l’UE a non aggiungere Hezbollah all’elenco delle organizzazioni terroriste sulla base di “prove tutt’altro che chiare”.

I fatti di Burgas sono stati comunque sfruttati ad arte per convincere, se mai fosse stato necessario, paesi come Francia e Germania a dare il loro consenso alle sanzioni contro Hezbollah. Il processo che ha portato al voltafaccia di Parigi e Berlino nel mese di maggio è stato descritto nel dettaglio da un articolo pubblicato martedì dal quotidiano israeliano Haaretz.

Il reporter Barak Ravid ha cioè raccontato di come il governo Netanyahu avesse istituito una speciale task force dopo le bombe sul Mar Nero con l’incarico, tra l’altro, di fornire ai governi UE materiale di intelligence ottenuto da Israele non solo su questo attentato ma anche sulle altre presunte attività illegali di Hezbollah, compreso il coinvolgimento dei suoi membri nel conflitto in Siria.

Francia, Germania, Italia e Spagna hanno poi ricevuto anche informazioni da Israele sulla presenza di “cellule dormienti” di Hezbollah entro i loro confini e, soprattutto, subito dopo l’attacco terroristico di Burgas, Tel Aviv ha inviato in Bulgaria una propria squadra di esperti per “aiutare” le autorità locali nelle indagini.

Alle indagini hanno partecipato anche Stati Uniti, Canada, Germania e Australia, a conferma dell’imparzialità dei risultati presentati dal governo di Sofia nel mese di febbraio. L’annuncio dell’allora ministro degli interni, Tsvetan Tsvetanov, era stato infatti il risultato dell’opera di convincimento di questi paesi per spingere Sofia a puntare il dito contro Hezbollah.

Secondo Haaretz, “fin dall’inizio la task force [israeliana] sapeva che l’ostacolo maggiore sarebbe stato trasformare le informazioni su Hezbollah in prove che avrebbero dovuto reggere in un tribunale europeo”. In altre parole, Israele e i suoi più stretti alleati si sono dati da fare con la Bulgaria e il resto dell’Unione Europa per costruire prove e un’accusa apparentemente solida contro il “Partito di Dio”, così da fornire a Germania e Francia una giustificazione sufficiente al cambio di opinione sulla sua aggiunta alla lista nera.

Il lavoro dietro le quinte di Israele, conclude Haaretz, è stato ultimato a maggio e il dossier sui fatti di Burgas consegnato a mano al ministro dell’Interno tedesco. Il giorno 22 dello stesso mese, il governo di Berlino ha così ritenuto di avere la copertura politica necessaria per annunciare pubblicamente la propria approvazione all’aggiunta di Hezbollah all’elenco delle organizzazioni terroriste stilata dall’UE.

Con Germania e Francia a bordo, le residue resistenze degli altri paesi sono state superate agevolmente, non senza però l’intervento personale di Netanyahu e del presidente israeliano Shimon Peres, protagonisti di telefonate ai capi dei governi più difficili da convincere, come ad esempio quello austriaco.

Per l’Europa ha pesato in maniera decisiva sulla decisione di lunedì anche la situazione in Siria, visto che le opinioni su Hezbollah sono cominciate a cambiare dopo che Nasrallah qualche mese fa aveva ammesso pubblicamente l’invio di un certo numero di uomini a combattere a fianco delle forze fedeli a Bashar al-Assad nelle aree vicine al confine con il Libano.

Il tentativo di danneggiare Hezbollah rientra perciò nella strategia messa in atto dall’Occidente per soccorrere forze “ribelli” totalmente inadeguate ad abbattere il regime di Damasco, poiché sostanzialmente osteggiate dalla maggior parte della popolazione siriana.

Senza nemmeno un’ombra di vergogna, i leader europei e americani hanno ammesso che la decisione appena presa a Bruxelles è stata in larga misura determinata dall’evoluzione della crisi in Siria e dal ruolo svolto da Hezbollah nella guerra civile in corso. Il Segretario di Stato USA, John Kerry, ricorrendo a definizioni che meglio si adatterebbero al suo governo, ha ad esempio messo in luce il ruolo “pericoloso e destabilizzante” svolto in Siria dal partito/milizia libanese.

Lo stesso ex senatore democratico ha poi definito la decisione di Bruxelles come “un messaggio a Hezbollah, il quale non può operare nell’impunità”, come è consentito invece a Stati Uniti, Israele e ai loro alleati, veri responsabili del baratro in cui è precipitata la Siria da due anni e mezzo a questa parte.

Il capo della diplomazia UE, Catherine Ashton, nei giorni scorsi aveva a sua volta confessato all’emittente saudita Al-Arabiya di avere presentato la proposta di mettere all’indice Hezbollah ai 28 paesi membri proprio a causa del coinvolgimento di quest’ultima organizzazione nella vicenda siriana. La Ashton, nella giornata di lunedì, ha inoltre sostenuto che il provvedimento adottato dimostra come “l’Unione Europea non intenda tollerare il terrorismo in nessuna forma”, tranne che, si intende, per i gruppi fondamentalisti che Bruxelles e Washington sostengono più o meno indirettamente per avanzare i propri interessi strategici, come in Libia e ora in Siria.

La notizia proveniente dall’Europa, come è ovvio, è stata accolta duramente dai vertici di Hezbollah, i quali l’hanno definita una decisione “aggressiva e ingiusta”, nonché “scritta da mani americane con inchiostro israeliano e semplicemente sottoscritta dall’UE”. Anche il presidente libanese, Michel Suleiman, ha espresso la propria preoccupazione, chiedendo al ministro degli Esteri di Beirut di insistere con i governi europei per convincerli a tornare sui loro passi.

Quella di lunedì, tuttavia, non è una mossa affrettata bensì una decisione ben ponderata e senza possibilità di ripensamenti che ha tenuto presente sia i vantaggi che possibili ripercussioni negative, con l’intento preciso di provocare i maggiori danni possibili a Hezbollah, come era accaduto ad esempio con la creazione del cosiddetto Tribunale Speciale per il Libano, creato sotto l’egida delle Nazioni Unite appositamente per attribuire all’organizzazione sciita la responsabilità dell’assassinio nel febbraio 2005 dell’ex primo ministro sunnita, Rafik Hariri.

Per questo, la revisione della politica UE nei confronti di Hezbollah tra sei mesi non servirà in nessun modo, come auspicano alcuni, a valutare l’annullamento delle sanzioni che verranno definite nei prossimi giorni, ma se mai ad applicarne altre ancora più pesanti, così da aggiungere un ulteriore tassello al tentativo di spezzare l’asse della “resistenza” in Medio Oriente, formato appunto da Hezbollah, Siria e Iran, tutti al centro delle manovre militari, diplomatiche ed economiche degli Stati Uniti e dei loro servili alleati.

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