di Mario Lombardo

La crisi diplomatica in corso nella penisola di Corea sembra scivolare in questi giorni verso un possibile conflitto militare allargato che le stesse parti in causa desidererebbero con ogni probabilità evitare. Le tensioni in Asia nord-orientale sono state alimentate a inizio settimana da nuove provocazioni americane, ma anche da dichiarazioni minacciose del governo di Seoul e dall’ennesimo annuncio del regime di Pyongyang, apparentemente deciso a cancellare i modesti risultati derivanti dalla incerta cooperazione tra le due Coree e Washington negli ultimi decenni.

I toni relativamente concilianti adottati nei giorni scorsi dalla neo-presidente sudcoreana, Park Geun-hye, sono stati apertamente abbandonati lunedì, quando, nel corso di un briefing con il proprio ministro della Difesa, la leader conservatrice ha autorizzato le forze armate del paese a “rispondere in maniera rapida ed efficace” e “senza calcoli politici” a eventuali minacce militari provenienti dal Nord.

Il cambio di marcia registrato a Seoul sembra così indicare la possibilità di iniziative militari non solo di natura difensiva nei confronti di Pyongyang, ma anche, come ha scritto l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap, l’ipotesi di “lanciare un attacco preventivo” se dalla Corea del Nord dovessero giungere generici segnali di un “imminente attacco nucleare o missilistico” contro il Sud.

Questo irrigidimento del governo di Park Geun-hye va di pari passo con l’intensificarsi del coinvolgimento americano nella crisi. Dopo il debitamente propagandato dispiegamento di aerei da guerra con testate nucleari sui cieli della penisola di Corea nel quadro delle esercitazioni militari in corso con le forze armate di Seoul, lunedì gli Stati Uniti hanno fatto sapere di avere posizionato il cacciatorpediniere USS McCain, solitamente ospitato in una base giapponese, al largo delle coste sudcoreane.

Questa nave da guerra è in grado di intercettare e abbattere missili balistici di media e lunga gittata e verrà a breve affiancata dalla USS Decatur, proveniente dalle Filippine. Quattro imbarcazioni americane di questo genere erano già state dispiegate nell’area lo scorso dicembre, quando la Corea del Nord aveva annunciato e poi messo in atto un test missilistico a lungo raggio che il regime di Kim Jong-un aveva descritto come un semplice lancio di un satellite ad uso civile.

Inevitabilmente, le mosse degli Stati Uniti hanno incontrato la dura risposta di Pyongyang e, al contrario di quanto dichiarato da Washington, sono mirate precisamente ad inasprire la crisi in atto e a giustificare una maggiore presenza militare americana nella regione in funzione anti-cinese.

Gli stessi vertici del governo americano, infatti, hanno ammesso esplicitamente che, nonostante le dichiarazioni bellicose provenienti dal Nord, non sembra esserci alcun segnale che il regime di Kim stia mobilitando le proprie forze armate per scatenare un attacco che, peraltro, risulterebbe molto probabilmente in un disastro per l’isolato paese asiatico.

Gli obiettivi strategici americani vengono perciò celati dietro alle dichiarazioni retoriche che si leggono in questi giorni sui media d’oltreoceano. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha ad esempio affermato che i movimenti delle forze navali del suo paese verso la penisola di Corea servirebbero a prevenire mosse avventate e unilaterali da parte di Seoul, nonché a rassicurare i propri alleati (Giappone e Corea del Sud) che gli USA faranno di tutto per impedire un improbabile attacco nordcoreano.

Le iniziative annunciate dalla presidente sudcoreana Park, che potrebbero consentire un’operazione militare preventiva contro Pyongyang, appaiono tuttavia coordinate proprio con gli Stati Uniti. Il ministero della Difesa di Seoul, infatti, ha lasciato intendere che il suo governo sta lavorando assieme agli USA ad una strategia che serva da “deterrente” contro la Corea del Nord in caso di minaccia nucleare oppure di impiego imminente o effettivo di un’arma nucleare contro il Sud.

Le manovre ordinate dall’amministrazione Obama, in ogni caso, sono state criticate duramente dalla Corea del Nord. I media ufficiali hanno rilevato l’esistenza di una “minaccia nucleare” contro il loro paese per poi minacciare a loro volta gli Stati Uniti con “serie conseguenze” a causa delle loro azioni.

Dopo avere dichiarato nullo l’armistizio del 1953, messo le proprie forze armate in stato di allerta e interrotto la linea di comunicazione diretta con Seoul, il regime di Kim nella giornata di martedì ha infine minacciato la chiusura del complesso industriale di Kaesong, dove operano numerose aziende sudcoreane, e annunciato la riapertura del complesso nucleare di Yongbyon, chiuso nel 2007 in seguito ad un accordo provvisorio siglato con Washington. Il riavvio del reattore, secondo gli analisti, consentirebbe alla Corea del Nord di ottenere una quantità di plutonio sufficiente a produrre un’arma nucleare all’anno.

Se gli avvertimenti provenienti da Pyongyang nascondono in realtà il desiderio del regime stalinista di trovare un qualche accomodamento con gli Stati Uniti, le ripetute provocazioni e il continuo innalzamento della retorica da entrambe le parti rischiano nondimeno di innescare un conflitto in tutta la regione del nord-est asiatico anche a causa di uno scontro teoricamente trascurabile.

In questo scenario, le tensioni tra le due Coree e gli USA stanno creando non poche preoccupazioni nelle stanze del potere a Pechino. La Cina, infatti, continua a considerare il vicino nord-orientale come un “asset” strategico per contenere le mire statunitensi nella regione ma, allo stesso tempo, l’atteggiamento provocatorio di Kim Jong-un e del suo entourage consente a Washington di rafforzare minacciosamente la propria presenza nella regione.

Per questo, a Pechino sembra essere in corso da qualche tempo un dibattito più o meno tollerato tra coloro, soprattutto ai vertici delle forze armate, che insistono per mantenere un rapporto privilegiato con Pyongyang sostenendo il regime a oltranza e altri che consigliano al contrario un allentamento del legame che storicamente unisce i due paesi.

Quest’ultima tesi ha trovato spazio recentemente addirittura in un editoriale scritto per il Financial Times da Deng Yuwen, direttore di un’influente testata affiliata al Partito Comunista cinese, il quale ha bollato come “superata” l’alleanza strategica tra Pechino e Pyongyang, invitando il suo governo ad abbandonare il regime di Kim.

Secondo quanto riportato lunedì dal quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, in seguito alle pressioni del ministero degli Esteri cinese, Deng Yuwen avrebbe però pagato il pezzo pubblicato dal giornale britannico con la sospensione dal suo incarico.

Nonostante il provvedimento disciplinare, che conferma come le fazioni che auspicano il mantenimento dell’alleanza con la Corea del Nord siano ancora prevalenti a Pechino, le posizioni di Deng trovano certamente un qualche riscontro all’interno della classe dirigente cinese e potrebbero emergere ulteriormente nel prossimo futuro fino a scontrarsi apertamente con la linea più tradizionalista sotto la spinta degli eventi a cui si sta assistendo nella penisola coreana.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy