di Michele Paris

Un nuova ondata di oscurantismo religioso sta producendo in molti stati americani una serie di attacchi al diritto all’aborto sancito quarant’anni fa da una storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. Le misure finora più restrittive dell’accesso all’interruzione di gravidanza sono state approvate proprio qualche giorno fa dal parlamento statale del North Dakota, dove la classe dirigente locale sta procedendo a grandi passo verso la totale messa al bando dell’aborto stesso.

Per la prima volta negli Stati Uniti, la legge firmata la settimana scorsa dal governatore repubblicano del North Dakota, Jack Dalrymple, mette fuori legge l’aborto a partire dal momento in cui può essere rilevato il battito cardiaco del feto, vale a dire a partire dalle 10-12 settimane di gravidanza tramite un’ecografia addominale o, addirittura, dalle 6 settimane con un’ecografia transvaginale. Il provvedimento consente l’aborto in via eccezionale dopo questo periodo solo nel caso in cui si renda necessario per salvaguardare la salute della madre ma non, ad esempio, in caso di stupro.

La stessa legge prevede condanne fino a 5 anni di carcere e sanzioni fino a 5 mila dollari per quei medici che praticano l’interruzione di gravidanza successivamente al periodo massimo stabilito. Queste misure dovrebbero entrare in vigore il primo agosto prossimo ma svariate associazioni a difesa del diritto all’aborto stanno già preparando denunce legali per dichiararne l’incostituzionalità.

L’assemblea statale del North Dakota ha inoltre licenziato altre due leggi nei giorni scorsi per limitare ulteriormente la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza. La prima fa riferimento in maniera apparente al principio di anti-discriminazione, stabilendo l’impossibilità di ricorrere all’aborto in caso di malformazioni genetiche o di scelta del sesso. In realtà, simili iniziative rappresentano una chiara violazione della privacy delle donne, costringendole a dichiarare i motivi della loro decisione, nonché un’indebita interferenza nelle decisioni mediche.

La seconda legge, invece, prende di mira i medici che praticano l’aborto, i quali dovranno essere in possesso del cosiddetto “admitting privilege” presso le strutture ospedaliere locali, cioè la facoltà di disporre il ricovero delle pazienti in questi stessi ospedali. Dal momento che quasi tutti i medici che effettuano le interruzioni di gravidanza nell’unica clinica che offre questo servizio in North Dakota provengono appositamente da altri stati americani, essi non fanno parte dello staff degli ospedali locali e non dispongono perciò del necessario “admitting privilege”.

Ancora più preoccupante è poi una modifica alla Costituzione statale già approvata dalla Camera del North Dakota per stabilire che la vita inizia al momento del concepimento, assegnando di conseguenza ogni diritto legale all’embrione. Un simile provvedimento, che deve essere approvato dal Senato statale e sottoposto a referendum popolare, cancellerebbe di fatto la possibilità di ricorrere all’aborto in North Dakota, con le donne e i medici coinvolti potenzialmente esposti all’accusa di omicidio.

Come già anticipato, in questo stato del Midwest americano è rimasta una sola struttura, la Red River Women’s Clinic di Fargo, a garantire circa tremila interruzioni di gravidanza all’anno. Questa clinica, come molte altre negli Stati Uniti, rischia ora di dover cessare la propria attività dopo che negli ultimi anni ha già dovuto fronteggiare una lunga serie di ostacoli legali creati dalla classe politica locale.

Per impedire l’attività di queste cliniche, infatti, numerosi stati hanno da tempo messo in atto leggi che richiedono onerose incombenze burocratiche e dispendiosi adeguamenti delle loro strutture, simili a quelli previsti per gli ospedali veri e propri.

L’offensiva in corso in North Dakota, dove a dominare il panorama politico è il Partito Repubblicano, fa parte di una tendenza nazionale volta a minare le fondamenta legali stabilite con la sentenza della Corte Suprema “Roe contro Wade” del 1973 che stabilì il diritto all’aborto almeno fino a quando il feto non è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno (22-24 settimane).

Più in generale, il drammatico spostamento a destra del baricentro politico americano ha consentito l’espansione dell’influenza delle frange ultra-reazionarie all’interno della società americana, le quali stanno conducendo un vero e proprio attacco al principio della separazione tra Stato e Chiesa, a cui tra l’altro si è frequentemente piegata anche l’amministrazione Obama in questi anni.

Nel concreto, inoltre, le misure adottate per restringere le possibilità di accedere all’interruzione di gravidanza penalizzano maggiormente le donne appartenenti alle classi più disagiate, le quali si ritrovano a dover affrontare ostacoli logistici ed economici sempre più seri oppure a portare a termine gravidanze indesiderate o ricorrere a pratiche alternative rischiose e illegali.

Leggi simili a quelle del North Dakota sul rilevamento del battito cardiaco del feto stanno per essere discusse anche in Kansas e nell’Ohio, mentre Alabama e Indiana hanno recentemente adottato provvedimenti per rendere più complicato il libero esercizio dei medici in questo ambito. Complessivamente, secondo i dati dell’istituto di ricerca americano Guttmacher, solo tra il 2011 e il 2012 negli Stati Uniti sono state approvate più di 130 leggi a livello statale per limitare l’accesso all’interruzione di gravidanza.

Nel 2013, prima dell’iniziativa del North Dakota, ha sollevato molte polemiche soprattutto quella dell’assemblea statale dell’Arkansas, la quale ha messo fuori legge dapprima gli aborti effettuati dopo la 20esima settimana e successivamente quelli dopo la dodicesima settimana, quando cioè il battito cardiaco del feto è generalmente rilevabile con un’ecografia addominale. Su entrambe le leggi aveva posto il veto il governatore democratico, Mike Beebe, ma le due camere del Congresso statale a maggioranza repubblicana hanno riapprovato i due provvedimenti con una maggioranza superiore ai due terzi.

Oltre alle leggi che restringono l’accesso all’aborto e rendono più difficile l’operato delle cliniche specializzate, alcuni stati hanno poi deciso di tagliare i fondi pubblici destinati al finanziamento di organizzazioni come Planned Parenthood. Quest’ultima, nella maggior parte dei casi, in realtà non fornisce prestazioni chirurgiche, bensì soltanto prodotti anti-concezionali, assistenza alle donne facenti parte delle fasce più povere della popolazione e consigli sulla pianificazione familiare.

Negli Stati Uniti, infine, tutte queste misure si accompagnano da tempo a minacce e azioni violente messe in atto nei confronti del personale medico che si occupa di aborti da parte delle frange più estreme all’interno del cosiddetto movimento “pro-life”.

L’ultimo omicidio registrato è stato quello del dottor George Tiller, assassinato nel 2009 per la sua attività medica in una clinica di Wichita, nel Kansas. Molti altri episodi di violenza hanno luogo poi regolarmente ai danni di strutture dedite all’interruzione di gravidanza in vari stati, come le esplosioni che hanno colpito nel solo 2012 le cliniche di Grand Chute, in Wisconsin, e di Pensacola, in Florida.

Quest’ultima, in particolare, era già stata seriamente danneggiata da un attentato nel 1984, mentre dieci anni più tardi sarebbe stata il teatro dell’assassinio di un medico del proprio staff da parte di un fanatico anti-antiabortista.

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