di Michele Paris

Le dimissioni rassegnate qualche giorno fa dal direttore della CIA, generale David Petraeus, hanno messo in agitazione tutto l’ambiente politico americano a pochi giorni dalla rielezione alla Casa Bianca del presidente Obama, sollevando una serie di interrogativi sul futuro della principale agenzia di intelligence a stelle e strisce. Soprattutto, però, l’uscita di scena del 60enne ex comandante delle forze di occupazione in Iraq e in Afghanistan rimane avvolta per molti versi nel mistero, dal momento che la sua infedeltà coniugale sembra essere solo un pretesto dietro al quale potrebbero nascondersi implicazioni di natura politica decisamente più rilevanti.

Come è ormai noto, Petraeus ha sottoposto la propria lettera di dimissioni a Barack Obama giovedì scorso e quest’ultimo le ha accettate il giorno successivo dopo averne valutato l’opportunità. Secondo la versione ufficiale, le ragioni dell’addio alla CIA sarebbero legate unicamente al suo coinvolgimento in una relazione extra-coniugale con la scrittrice 40enne Paula Broadwell, la quale aveva stabilito legami piuttosto stretti con Petraeus nell’ambito della stesura di una biografia del generale scelto da Obama poco più di un anno fa per guidare l’agenzia di Langley.

Nell’affaire di Petraeus si sarebbe involontariamente imbattuto l’FBI dopo che una seconda donna, la 37enne Jill Kelley di Tampa, in Florida, la scorsa primavera aveva notificato al Bureau la ricezione di una manciata di e-mail anonime nelle quali veniva minacciata per avere flirtato in maniera impropria con il generale Petraeus. Jill Kelley, la cui identità è stata rivelata solo domenica  dalla Associated Press, è una funzionaria del Dipartimento di Stato incaricata di coordinare i rapporti con il Comando delle Forze Speciali e, assieme al marito, aveva conosciuto Petraeus e la moglie, Holly, quando quest’ultimo era a capo del Comando Centrale, la cui sede si trova appunto a Tampa.

Dopo avere ricevuto le suddette e-mail, Jill Kelley le aveva segnalate ad un agente dell’FBI suo amico, il quale aveva fatto partire un’indagine preliminare che avrebbe successivamente identificato l’autrice in Paula Broadwell. Durante l’analisi dell’account della donna, l’FBI è venuto a conoscenza di altre e-mail dal contenuto esplicito provenienti dal direttore della CIA, rivelando così la relazione tra i due. Paula Broadwell è anch’essa un ex ufficiale dell’esercito ed ha svolto servizio per un anno in Afghanistan.

Gli agenti dell’FBI hanno interrogato la Broadwell per la prima volta a partire dal 21 ottobre scorso e nel suo PC sarebbero stati trovati alcuni documenti classificati che a suo dire non ha ottenuto tramite Petraeus, circostanza confermata anche da quest’ultimo dopo avere ammesso la relazione extra-coniugale con la sua biografa.

Alla luce dei risultati dell’indagine, l’FBI avrebbe concluso che non vi erano le basi per un procedimento legale, poiché non erano state riscontrare violazioni della legge né era stata messa in pericolo la sicurezza nazionale. Sempre secondo la ricostruzione ufficiale, l’FBI, aspettandosi la chiusura della vicenda, ha alla fine informato dell’accaduto il superiore nominale di Petraeus, il direttore dell’Intelligence Nazionale, James Clapper, nel pomeriggio dell’election day (martedì scorso), anche se di lì a pochi giorni sono invece giunte le dimissioni del generale.

Le polemiche sulla questione non si sono fatte attendere, soprattutto perché il Congresso e la Casa Bianca sono stati tenuti all’oscuro dell’indagine su un funzionario governativo così importante. Il presidente Obama, ad esempio, sarebbe venuto a conoscenza dei fatti solo giovedì, quando ha ricevuto Petraeus con in mano le sue dimissioni. Anche i vertici dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia sarebbero stati informati tardivamente dell’indagine, cioè solo alla fine dell’estate, nonostante le regole del Dipartimento impongano agli agenti di notificare tempestivamente ai propri superiori eventuali indagini che coinvolgono funzionari pubblici.

Ad aggiungere un’ulteriore nota di intrigo alla vicenda è stata poi un’altra rivelazione. Secondo i resoconti, infatti, l’agente dell’FBI che aveva avviato l’indagine preliminare sulle e-mail di minaccia ricevute dall’amica Jill Kelley, preoccupato per possibili violazioni della sicurezza nazionale, a fine ottobre, cioè a pochi giorni dal voto, ha sentito la necessità di informare della relazione extra-coniugale di Petraeus il leader di maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, Eric Cantor. Messo al corrente dei fatti, il deputato repubblicano della Virginia avrebbe poi esposto le stesse apprensioni al direttore dell’FBI, Robert Mueller.

Secondo i media americani, l’FBI non avrebbe fornito in anticipo le informazioni su Petraeus a Congresso e Casa Bianca per un certo imbarazzo nel rendere di dominio pubblico una relazione extra-coniugale di un personaggio così importante in assenza di rilevanza legale. Il presidente Obama, tuttavia, ha accettato senza eccessivi drammi le dimissioni del direttore della CIA, il quale secondo la versione ufficiale ha lasciato il suo incarico perché avrebbe potuto essere ricattato e quindi mettere a rischio la sicurezza nazionale.

La vicenda Petraeus, così come viene raccontata dai giornali d’oltreoceano, sembra avere svariati aspetti quanto meno insoliti, a cominciare proprio dal fatto che la Casa Bianca e il Congresso, o quanto meno la maggioranza di esso, sono stati tenuti a lungo all’oscuro dell’indagine, resa nota alla fine in concomitanza con la rielezione di Obama.

Anche se non appaiono ancora chiare le forze che hanno agito dietro alle dimissioni forzate del capo della CIA, è altamente improbabile che, per la rilevanza del personaggio e del suo ruolo, non vi siano risvolti politici e che tutto dipenda soltanto dalla scoperta di una relazione clandestina, soprattutto perché lo stesso FBI era giunto alla conclusione che non vi erano stati comportamenti illegali né minacce alla sicurezza nazionale.

Come ha ricordato domenica il New York Times, poi, l’FBI ha una lunga storia, soprattutto sotto la direzione di J. Edgar Hoover, di indagini segrete nella vita sessuale di importanti personalità di Washington per mettere assieme dossier che consentono ricatti o che al momento opportuno possono spingere a inevitabili dimissioni.

Sulla questione ha con ogni probabilità influito anche la posizione ricoperta da David Petraeus. Il generale, ad esempio, era stato nelle ultime settimane al centro delle polemiche seguite all’assassinio a Bengasi dell’ambasciatore USA in Libia, J. Christopher Stevens, l’11 settembre scorso. Petraeus avrebbe dovuto testimoniare questa settimana a porte chiuse di fronte alle commissioni per i Servizi Segreti di Camera e Senato sul ruolo e le responsabilità della CIA nei fatti di Bengasi. Come hanno confermato alcuni membri delle due commissioni, Petraeus sarà esentato per il momento dal testimoniare.

Su tale questione, va ricordato che l’assalto al consolato di Bengasi, nonostante gli sforzi della classe politica americana di incentrare il dibattito unicamente sulla risposta iniziale dell’amministrazione Obama, ha fatto emergere i legami imbarazzanti tra il governo degli Stati Uniti, con la CIA in testa, e i gruppi jihadisti responsabili della morte dell’ambasciatore e di altri tre cittadini americani, nonché del caos che regna in Libia, sui quali Washington aveva puntato per rovesciare il regime di Gheddafi.

L’indagine dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia che ha causato la caduta del direttore della CIA, inoltre, indica anche possibili scontri tra le diverse agenzie governative e che sembravano appartenere al passato. Da considerare infine, anche se appaiono tutt’altro che evidenti le implicazioni, il ruolo svolto da Petraeus in 14 mesi al vertice della CIA, durante i quali è stato protagonista di una evidente espansione delle attività dell’agenzia di intelligence nell’ambito della guerra al terrore.

In questo senso, vanno ricordate almeno le divergenze di vedute tra Petraeus e il numero uno dell’anti-terrorismo USA, John Brennan, attorno alla campagna di assassini mirati condotta con i droni in Pakistan, Yemen e altrove. Come aveva recentemente rivelato un’inchiesta del Washington Post, mentre Petraeus insisteva per espandere la flotta di droni assegnata alla CIA, Brennan preferiva limitare il ruolo dell’intelligence in questo settore dell’anti-terrorismo, per lasciarlo soprattutto nelle mani delle forze armate, teoricamente sottoposte a regole più trasparenti e quindi più facilmente controllabili dai vertici civili.

Secondo le indiscrezioni che circolano a Washington in questi giorni, proprio John Brennan sarebbe uno dei principali candidati alla successione di Petraeus alla direzione della CIA. Già ex funzionario dell’agenzia, di cui è stato a capo della stazione in Arabia Saudita, Brennan gode della totale fiducia di Obama, il quale nel 2009 aveva già cercato di installarlo nel ruolo assegnato successivamente a Petraeus, ma la sua candidatura finì per naufragare precocemente a causa del coinvolgimento nel programma di interrogatori con metodi di tortura promossi dall’amministrazione Bush.

La fine di Petraeus, in ogni caso, conferma ancora una volta come le faccende sessuali private di uomini importanti vengano sfruttate per regolare i conti all’interno della classe dirigente americana, facendo passare relazioni extra-coniugali come reati inammissibili. Ciò appare tanto più inquietante nel caso di Petraeus, il quale al comando delle forze di occupazioni statunitensi nell’ultimo decennio ha presieduto a svariati crimini di guerra in Iraq e in Afghanistan che lo hanno proiettato ai vertici di una delle più influenti agenzie governative.

Con l’addio di Petraeus, il presidente Obama procederà ora a nominare come suo sostituto l’attuale vice-direttore della CIA, Michael Morell, già al fianco di George W. Bush e ugualmente apprezzato dall’attuale inquilino della Casa Bianca. Morell, molto ben visto dai funzionari della CIA, potrebbe anche essere confermato alla guida dell’agenzia e, assieme a John Brennan, appare al momento il candidato più accreditato per la successione a Petraeus. Morell e Brennan sembrerebbero infatti poter garantire a Obama un maggiore controllo su Langley, i cui rapporti con la Casa Bianca in questi quattro anni non sono stati del tutto senza attriti.

 

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