di Michele Paris

Il secondo turno delle elezioni presidenziali in Senegal ha sancito domenica la definitiva sconfitta dell’85enne Abdoulaye Wade. Il presidente uscente, in carica dal 2000, era alla ricerca di un terzo mandato alla guida del paese dell’Africa occidentale nonostante le proteste dell’opposizione e di decine di migliaia di manifestanti che erano scesi nelle piazze lo scorso mese di febbraio alla vigilia del primo turno.

Ancora prima della diffusione dei dati definitivi, lo stesso Wade nella serata di domenica ha riconosciuto la propria sconfitta e la vittoria del rivale, il suo ex primo ministro Macky Sall. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale senegalese, Wade si sarebbe anche congratulato di persona con il neo-presidente.

Alla notizia del sospirato cambio alla guida del paese, migliaia di persone nella capitale, Dakar, si sono precipitate nelle strade per festeggiare. L’epilogo del voto in Senegal sembra chiudere così un periodo caratterizzato da insolite tensioni in questo paese che nella sua storia post-coloniale non ha mai conosciuto un solo colpo di stato.

Ampiamente disprezzato nel paese, il presidente Wade lo scorso dicembre aveva annunciato a sorpresa l’intenzione di correre per un terzo incarico dopo la promessa fatta nel 2007 di dare l’addio alla politica attiva nel 2012. La promessa faceva seguito ad una modifica costituzionale che imponeva un limite di due mandati per la carica più alta del Senegal. Secondo Wade, tuttavia, essa non doveva applicarsi al suo caso perché introdotta dopo l’inizio della sua presidenza. A sancire la legalità della nuova candidatura di Wade era stata a gennaio una sentenza della Corte Costituzionale, in seguito alla quale erano scoppiati scontri in alcune città del paese tra manifestanti e forze di sicurezza, con un bilancio finale di almeno sei morti.

La modifica alla Costituzione più importante per la permanenza al potere dell’anziano leader era invece naufragata nell’estate del 2011. In quell’occasione, Wade aveva cercato di abolire il ballottaggio nelle elezioni presidenziali nel caso un candidato avesse raccolto almeno il 25% dei consensi al primo turno. Con un livello di popolarità crollato da tempo nel paese, il presidente era ben consapevole che un’opposizione compatta al secondo turno avrebbe potuto sconfiggerlo.

Ciò è precisamente quello che è accaduto domenica. Dopo che Wade aveva ottenuto il 34,8% dei voti al primo turno, contro il 26,6% di Sall, attorno a quest’ultimo si sono coalizzati praticamente tutti i candidati sconfitti, determinando l’inevitabile sconfitta del presidente in carica.

Se i risultati finali non saranno resi noti ancora per qualche giorno, alcuni dati parziali testimoniano il sentimento diffuso in tutto il Senegal verso Wade. Sall, ad esempio, avrebbe addirittura ottenuto oltre il triplo dei voti del presidente nello stesso collegio elettorale di quest’ultimo a Dakar. Alcuni brogli segnalati dagli osservatori internazionali, inoltre, non hanno influito in maniera decisiva sull’esito del voto.

A segnare la sorte di Wade era stato anche il voltafaccia nei suoi confronti dei governi francese e americano, i due principali sponsor di Dakar. La sua inclinazione a lanciare progetti grandiosi in un paese dove la grande maggioranza della popolazione vive in condizioni di povertà rischiava infatti di scatenare una rivolta nel paese che avrebbe potuto mettere in discussione le stesse “riforme” neoliberiste dettate dall’estero e che hanno beneficiato solo una ristretta élite di potere.

Il presidente francese Sarkozy, dopo aver chiesto a Wade nei mesi precedenti di farsi da parte, è stato uno dei primi a congratularsi con Macky Sall, già considerato garanzia di continuità per gli interessi francesi. Lo stesso programma elettorale del presidente eletto, infatti, si basa in gran parte sulla critica dello stile di governo di Wade, così da ridurre le ingenti spese destinate alle opere faraoniche intraprese in questi anni.

Le promesse di Sall comprendono tra l’altro, oltre al rispetto del limite dei due mandati alla guida del paese, un generico piano per migliorare le condizioni di vita dei senegalesi, il rilancio del settore agricolo e l’adozione di modalità di governo più “sobrie ed efficienti”.

Per quanto riguarda l’apertura del paese al capitale straniero, la rotta seguita da Wade verrà perseguita invariabilmente anche dal suo successore. Il nuovo presidente senegalese, d’altra parte, è stato a lungo membro del partito di Wade (Partito Democratico del Senegal, PDS), per il quale ha guidato il governo dall’aprile 2004 al giugno del 2007. Sall è stato anche presidente dell’Assemblea Nazionale, una carica che ha perso nel novembre 2008 dopo uno scontro con lo stesso Wade proprio attorno alla gestione di un grandioso progetto per una conferenza islamica nella capitale. In seguito alla rottura con Wade, Sall è passato all’opposizione e ha fondato un proprio partito, l’Alleanza per la Repubblica.

Come durante le proteste del mese scorso, anche alla vigilia del ballottaggio di domenica qualsiasi prospettiva di cambiamento per la maggioranza della popolazione senegalese è rimasta fuori dal dibattito politico. A monopolizzare l’attenzione sono state così le tendenze autoritarie e gli eccessi di Wade, sfruttati dall’opposizione per rimuovere un presidente sempre più impopolare e poter proseguire le stesse politiche economiche richieste dall’estero. Il tutto, per evitare il contagio della rivolta in tempi di Primavera Araba, nel rispetto delle formalità democratiche previste dalla Costituzione.

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