di mazzetta

Il reattore di Khushab Il Pakistan sta costruendo da anni un potente reattore al plutonio, ma a renderlo noto non è stata l'AIEA (Agenzia Atomica) e nemmeno una fonte governativa, ma un istituto privato che lo ha scoperto attraverso foto satellitari commerciali. La centrale aumenterebbe di dieci volte la capacità di produrre testate nucleari del Pakistan. Esiste un paese che fabbrica da anni bombe atomiche dichiarandole "islamiche" e in questi giorni si scopre che si sta attrezzando per diventare capace di farne molte di più. E' lo stesso paese negli anni scorsi ha provveduto a consegnare ordigni nucleari, progetti, importanti impianti e assistenza in loco a paesi quali la Libia, l'Iran, l'Arabia Saudita e la Corea del Nord. Curiosamente questo paese non è nella lista dei "cattivi" di Washington e nemmeno in quella dei paesi "canaglia" o di quelli accusati di essere un paradiso per i "terroristi". Ha anzi ricevuto recentemente sia delle forniture militari da Washington che un prestito di un miliardo di dollari dalla Banca Mondiale presieduta da Wolfowitz. Il prestito singolo più ingente che sia mai stato concesso ad un paese dalla World Bank. La storia della proliferazione nucleare pachistana è nota da tempo ed è assurta alla dimensione di scandalo internazionale fin dal 2003, quando l'AIEA ottenne dai libici la conferma che le centrifughe per l'arricchimento dell'uranio in loro possesso erano il frutto della collaborazione pachistana.

Un segreto di pulcinella, poiché il progetto della "bomba atomica islamica" nacque negli anni '70 da un accordo abbastanza esplicito tra Pakistan, Arabia Saudita, Iran (all'epoca retto dallo Scià ) e Libia. Il progetto prevedeva un'associazione dei paesi organizzata in modo che il Pakistan avrebbe sviluppato il programma nucleare con i finanziamenti dei soci ricchi di petrolio, che le armi avrebbero potuto essere usate contro la minaccia indiana ed israeliana e che il Pakistan avrebbe trasferito know-how e hardware ai paesi che ne avessero fatto richiesta.

Un accordo puntualmente rispettato, poiché l'Iran sta costruendo da anni copie conformi delle centrali pachistane, la Libia ha consegnato agli USA identico materiale e ci sono segnali evidenti che l'Arabia Saudita possa aver ottenuto e immagazzinato alcune testate. Nella commissione che sovrintende al programma nucleare pachistano, siede da sempre un principe della famiglia reale saudita, unico straniero ammesso. Nel 1998, quando l'esistenza dell'atomica pachistana divenne "ufficiale", uno dei più entusiasti fu l'allora ignorato Osama Bin Laden, che colse l'occasione per salutare la grande conquista con una lettera ai fedeli decisamente entusiasta.

Questa stretta alleanza tra pachistani e sauditi a cavallo degli ordigni atomici pare non interessare molto a Washington, almeno a livello di quanto traspare sui media. Il paragone con le accuse all'Iran è imbarazzante per il Dipartimento di Stato.

L'esistenza di un nuovo reattore in costruzione è stata rivelata dall'ISIS (Institute for Science and International Security), una istituzione non governativa, che l'ha scoperto attraverso le foto di satelliti commerciali (fornite da Digital Globe). Si trova a Khushab, una cittadina già sede di un altro reattore molto più piccolo da 50 megawatt. Quello nuovo dovrebbe essere in grado di produrre almeno 1000 megawatt di energia e arricchire materiale fissile sufficiente per la costruzione di qualche decina di testate all'anno, tra l'altro di concezione più moderna e in grado di essere montate più comodamente sui missili. Fonti pachistane contattate dal Washingon Post hanno confermato che la centrale è effettivamente in costruzione, non che ci fosse molto altro da fare.

Questo vuole anche dire che la sua costruzione, iniziata a cavallo del 2000, non può essere sfuggita agli attenti occhi degli americani, che già nel 1989 erano in grado di leggere dai satelliti a quale velocità i pachistani stessero facendo girare le centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. Il che conferma il fatto che per gli americani sia un vero e proprio tabù parlare del programma nucleare pachistano. Più in generale sembra che per gli USA sia tabù parlare male del Pakistan non meno di quanto lo sia parlare male di Israele; certi preziosi alleati sono difesi "senza se e senza ma".

Forse è per questo che a Washington non si sono adirati più di tanto quando hanno scoperto che coinvolti nel 9/11 erano i servizi pachistani e sauditi: allo stesso modo hanno metabolizzato la spiegazione della "mela marcia" quando Musharraf ha offerto un famoso scienziato come unico colpevole dei traffici nucleari da e per il Pakistan, pur rifiutandosi di farlo interrogare dagli americani o dai funzionari dell'AIEA. Un orgoglio nazionalista, quello di Musharraff, che ha tenuto al riparo da scomode domande tutti i funzionari pachistani coinvolti negli ultimi quindici anni in migliaia di operazioni, troppo spesso troppo "jihadiste" per chi abbia in mente di combattere una "war on terror".

Washington conosce benissimo da sempre il grado di avanzamento dei programmi pachistani, ma invece di denunciali apertamente come nel caso dell'Iran (che ha firmato il Trattato di Non Proliferazione ed è soggetto alle ispezioni internazionali diversamente dal Pakistan) ha preferito contrastarli siglando una complessa e per molti versi storica alleanza con la rivale India. A New Delhi Bush ha concesso le chiavi dell'arsenale americano e una forma d'adesione su misura al TNP in grado di non porre alcun limite alla corsa indiana all'armamento nucleare. Un accordo che ha una valenza geopolitica anche più ampia, ma sul quale i progressi della "bomba atomica islamica" hanno sicuramente dato uno stimolo in più ai contraenti.

Nel silenzio di Washington Musharraf regge uno Stato fallito, con quasi la metà del paese pervaso da rivolte e relative rappresaglie dell'esercito, mentre la "società civile", rianimata dagli USA, gli lancia ridicoli ultimatum a che lasci il potere e l'opposizione "islamica" cerca di farlo fuori con attentati in serie. La sua capacità di tenere unita la casta militare, che allo stesso tempo è anche "garante" della sicurezza dei siti nucleari e la disponibilità almeno formale a schierarsi con Bush, gli garantiscono l'immunità da attacchi diretti sui media, anche perché il Pakistan è stato da sempre complice di parecchie efferatezze americane.

Il rapporto simbiotico del Pakistan con l'Arabia Saudita e la sua casa reale e, a loro volta, il loro rapporto con Washington fin dall'indipendenza dalla Corona britannica, indica che Karachi è sicuramente una capitale che gli USA considerano nella cerchia degli alleati privilegiati, quelli da sostenere anche quando perseguono interessi e politiche formalmente contrarie alla dottrina USA; ma soprattutto un alleato da proteggere dal discredito presso le pubbliche opinioni.

Musharraf è sicuramente minacciato da una "opposizione islamica", ma nel paese i movimenti estremisti non sono certo maggioritari, molti sembrano al contrario essere sopravvissuti negli anni proprio grazie a provate complicità nella dittatura militare. Lo stesso Musharraf è a capo di una formazione islamica. A Washington è bastata una lunga serie di promesse non rispettate per la transizione del potere ai civili per risolvere il "problema d'immagine", rappresentato dal fatto che Musharraf sia a tutti gli effetti un dittatore golpista. Alo stesso tempo a Musharraf è bastato dire che aveva arrestato (e poi liberato e perdonato) uno scienziato nucleare per ricevere il plauso del Dipartimento di Stato. Anche Bush invece di biasimarlo lo ha presentato agli americani come un leader preoccupato di arrestare la proliferazione nucleare, un valido ed efficace alleato. Succedeva nel 2003, è successo in seguito fino all'ultimo incontro pubblico tra i due, mentre il Pakistan costruiva il nuovo mostro al plutonio.

Anche nel nostro paese il dibattito procede entro i "paletti" imposti da Washington, quelle rare volte che si discute pubblicamente di armamenti nucleari si parla di Iran e di quanto siano pericolosi i mullah con l'atomica, ma a memoria nessuno ha mai discusso non solo se l'atomica di pachistani e sauditi sia o meno pericolosa, ma nemmeno della sua esistenza. Allo stesso modo il nuovo programma nucleare indiano, assunto come "alleato", non ha stimolato alcuna analisi presso i principali organi d'informazione.

Un vero e proprio muro; ci si trova speso a leggere discussioni e analisi sul programma nucleare iraniano sulla stampa italiana, ma quasi in nessuna si indicava il Pakistan come fornitore dell'Iran. Anche un sondaggio su scala più vasta ha restituito lo stesso risultato, mostrando come su qualche centinaio di persone (pur qualificate, compresi alcuni deputati e un paio di senatori) la maggior parte pensasse a traffici con le ex-repubbliche sovietiche, altri a complicità cinesi o anche con il blocco occidentale, ma del coinvolgimento del Pakistan, nonostante abbia provocato uno scandalo internazionale, non era stato informato nessuno.

In effetti reperire articoli critici sul Pakistan e l'Arabia Saudita sulla stampa italiana è molto difficile, pur trattandosi di paesi nei quali la democrazia proprio non esiste, anzi risultano motori e origine dei movimenti terroristici islamici contro i quali tutto il mondo libero sembra da qualche anno deciso a regolare i conti a qualsiasi costo.

Una circostanza che fa pensare che forse la logica della guerra in corso ha poco a che fare con l'Islam, con le armi nucleari e con la diffusione di armi di distruzione di massa: sembra molto di più connessa a un preciso disegno che punta alla libanizzazione permanente del Medioriente e alla costituzione di un'alleanza filo-occidentale in Asia in grado di fare da contrappeso alla crescita della Cina e all'imprevidibilità del granducato russo retto da Putin. Il tutto creando confronti e tensioni in grado di impegnare i principali concorrenti emergenti dell'Occidente negli anni a venire e, allo stesso tempo, impegnandoli ad aumentare le risorse destinate alla difesa e alla costruzione di impianti nucleari a scapito degli investimenti civili.

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