di Alessandro Iacuelli

Il sequestro della nave italiana Enrico Ievoli, "è seguito con estrema attenzione da parte del governo italiano e della Farnesina in particolare". È quanto ha tenuto a sottolineare il ministro degli Esteri Giulio Terzi al termine del suo incontro alla Farnesina con il premier somalo. La nave è stata sequestrata il 27 dicembre al largo delle coste dell'Oman, ad opera di un gruppo di pirati somali, con a bordo 18 membri dell'equipaggio di cui sei italiani. Un sequestro lungo.

"Affronto la questione con tutti gli interlocutori che ci possono aiutare e ne ho parlato anche con il premier somalo", ha dichiarato Terzi. Il ministro ha però voluto ricordare che "siamo fortemente tenuti alla linea del riserbo che auspico da parte di tutti per garantire il ritorno a casa degli ostaggi".

Da parte sua il premier somalo, Abdiweli Mohamed Ali, ha tenuto a sottolineare che la pirateria "è un problema regionale non solo somalo, che minaccia la comunità internazionale" auspicando così che dalla prossima conferenza di Londra, in programma il 23 febbraio, venga messa a punto una "risposta internazionale". Il premier si è quindi impegnato ad adoperarsi "perché gli ostaggi tornino dalle loro famiglie.

La vicenda della nave italiana appare più complessa rispetto a casi simili avvenuti negli ultimi anni. Si tratta di un mercantile dell'armatore Marnavi di Napoli, una compagnia di navigazione specializzata in trasporti chimici e alimentari con sede legale a Napoli e cinque navi nella flotta. A bordo della nave sequestrata ci sono 18 persone: sei italiani, cinque ucraini e sette indiani. Il tanker, lungo 138 metri, trasporta circa 15.750 tonnellate di soda caustica. Partita da Fujairah negli Emirati Arabi, era diretta verso il Mediterraneo.

Al momento dell'abbordaggio si trovava a poche miglia dal punto d'incontro con un convoglio scortato dalla flotta internazionale, uno dei tanti organizzati dalle diverse forze navali per proteggere i mercantili in transito nel Golfo di Aden. Per tale motivo, a bordo non era presente un team di militari: la Enrico Ievoli era già inserita in un convoglio scortato da navi militari.

La Farnesina, attraverso l’Unità di crisi, è “in stretto contatto con i familiari” dei marinai. Per il resto, pochi contatti da parte dell'equipaggio, e bocce cucite su eventuali trattative o richieste di riscatto. L'ultimo contatto è avvenuto il 30 dicembre scorso, quando il comandante Agostino Musumeci ha potuto dire a telefono all'amministratore della Marnavi: "Siamo ancorati al largo delle coste somale e l'equipaggio sta bene. I pirati sono a bordo". Poi è ripreso il silenzio radio.

Certamente è stato un capodanno difficile, per l'equipaggio e le rispettive famiglie, ma ormai siamo ad un mese dal sequestro e non si riesce a comprendere come mai perduri la situazione. Per le bande di pirati somali, è necessario essere rapidi nel portare a termine tutta l'operazione; non solo l'arrembaggio e la cattura della nave, ma anche la gestione del sequestro, depredando l'imbarcazione e chiedendo pesanti riscatti agli armatori, per dare poi il via al rilascio di navi e ostaggi. Non conviene tenere in mano a lungo un bastimento di 138 metri: ha costi alti non solo in termini economici ma anche dal punto di vista della sicurezza delle basi logistiche a terra.

L'imbarcazione si trova ora in Somalia in prossimità delle coste di Dhinooda nella provincia di Mudug. A riferirlo sono stati dei testimoni, sul sito del giornale Somalia Report. Il giornale rivela anche che si tratta di un gruppo di pirati provenienti dalla città di Harardheere.

Il tutto è stato confermato proprio da uno dei pirati di nome Alì che attraverso il sito somalo ha confermato l'intenzione di negoziare una trattativa che i suoi compagni stanno avviando decidendo anche sul riscatto da chiedere. Nel frattempo il vicepresidente della Marnavi Spa, Gennaro Ievoli, è deciso a porre quanto prima una soluzione al caso: "Ce la faremo a portarli a casa, ciascuno di loro, senza neanche un graffio. E' la nostra missione, ci conoscono e non molleremo l’osso facilmente".

Quella di imbarcare militari a bordo delle navi sembra, al momento, l'unica soluzione praticabile per evitare abbordaggi e sequestri di navi ed equipaggi da parte dei pirati. La legge è stata varata a fine luglio, ma i militari italiani, in particolare i fanti di Marina della Brigata San Marco, non bastano per la quantità di navi nazionali che percorrono le vie marittime nelle zone più a rischio: la maggior parte della Brigata è impegnata in Afghanistan e nel controllo perimetrale degli impianti campani dedicati ai rifiuti.

Con la legge di luglio era previsto, in alternativa all'imbarco di militari sulle navi italiane, l'utilizzo di contractor privati. Tante altre marine commerciali lo fanno, ma in Italia, nonostante la legge, manca il decreto (o i decreti) di attuazione. E quindi, al momento, non si possono imbarcare guardie private.

Resta il fatto che da un mese imbarcazione ed equipaggio sono nelle mani dei sequestratori. Il che fa emergere la rabbia della moglie del comandante: "È una vergogna. Nessuno di questo Stato ci ha chiamato o si è fatto sentire. Loro stanno al caldo, con le loro famiglie. Cosa gli interessa di noi?", è stato il duro commento di Rita Musumeci, moglie del comandante della nave, "È assurdo che a darmi le notizie siano i giornalisti”. Dovevano essere "ore di tensione", secondo la Farnesina a fine dicembre; è diventato un mese "di grande angoscia", quello vissuto dai familiari. E la vicenda, ancora non vede fine.

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