di Emanuela Pessina 

BERLINO. Ieri, in concomitanza con il giorno della memoria, la rivista tedesca Zeitungzeugen avrebbe dovuto pubblicare settimanalmente parti del Mein Kampf di Adolf Hitler, proibito in Germania ormai dalla fine del regime nazista e ancor'oggi vissuto come tabù. La polemica è stata grande, perché qualcuno considera ancora lo scritto - il primo veicolo della propaganda nazista degli anni  '30 - come potenzialmente pericoloso. Tanto grande, che il tribunale di Monaco di Baviera (che ancora ne detiene i diritti) ne ha proibito ora la pubblicazione.

A molti tedeschi la sua censura sembra necessaria a perenne dimostrazione di rifiuto di un’ideologia criminale, una sorta di rispetto nei confronti delle vittime. Ma non tutti sono d'accordo: qualcuno ci vede un atteggiamento di rimozione, come se, dopo settant'anni, la Germania non fosse ancora in grado di guardarsi allo specchio e accettare i propri errori con umiltà. Come se la Germania non fosse in grado di confrontarsi con i suoi scheletri nell'armadio.

Gli estratti di Mein Kampf avrebbero dovuto essere pubblicati in inserti speciali, accompagnati da commenti critici, e venduti quindi nei chioschi come qualsiasi altro settimanale. L'idea è di un inglese, l'editore Peter McGee: ma a detenere i diritti di pubblicazione è tuttavia ancor'oggi la città di Monaco di Baviera, dove Hitler era residente prima di morire, e il Comune ha subito provveduto a fare ricorso a McGee, dando in un certo senso voce al malcontento di tutti i tedeschi. Ancora oggi l'imbarazzo della Germania per quello che è successo negli anni a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale è grande e il Mein Kampf, dopo essere stato il simbolo del nazismo, è diventato oggi l’emblema di questa vergogna.

Mein Kampf, in italiano “la mia battaglia”, è stato scritto da Adolf Hitler nel 1923, durante il periodo di detenzione per un tentativo di colpo di Stato fallito. Si tratta di un’autobiografia personale che è nata comunque con la presunzione di diventare autobiografia di partito e, più in particolare, manifesto ideologico della dottrina nazista. Nel Mein Kampf sono infatti presenti le tematiche razziste e antisemite che accompagneranno poi il nazionalsocialismo fino al 1945, così come l’idea di guerra e di rivoluzione nazionalsocialista. Da sottolineare che, tra le righe, vi si legge anche l’esigenza di Hitler, per meglio dire la pretesa, del comando assoluto.

Il libro del leader nazista raccoglie tra l’altro numerose citazioni di diversi autori del tempo, e le mischia in maniera a volte poco onesta fino a inserirle in un contesto politico. Tant’è che i critici hanno notato che, per certi versi, il libro è una mera accozzaglia di riferimenti, senza una vera e propria struttura interessante. Basti pensare all’Uebermensch di Friedrich Nietzsche, il superuomo, cui Hitler si paragona in alcune parti del Mein Kampf.

Con  il superuomo Nietzsche aveva inteso un uomo capace di essere superiore a se stesso e agli impulsi umani, senza nessuna implicazione politica o nazionalsocialista. L’interpretazione di Hitler ne ha sporcato la filosofia e la reputazione per diversi decenni.

Mein Kampf viene pubblicato nel 1925, quando Hitler è già libero e impegnato nella riorganizzazione del Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, che lo ha portato al potere e alla dittatura totalitaria nazista. Ma il Mein Kampf non ha avuto successo se non dopo le elezioni di Hitler, nel 1933, quando l’acquisto dell’opera era probabilmente d’obbligo per ogni famiglia tedesca a causa dell’autoritarismo. Inutile aggiungere che, con il tempo, il Mein Kampf è diventato la bibbia dei nazisti e dei neonazisti di tutto il mondo. Tanto che la Germania, una volta finita la guerra, ne ha proibito la pubblicazione, e la censura è durata fino a oggi.

Perché il Mein Kampf, in Germania, è ancora visto come mezzo di propaganda anticostituzionale, che potrebbe accendere interpretazioni estremiste. Un argomento che a molti appare oggigiorno illogico, vista la situazione di democrazia radicata che caratterizza la Germania odierna. E che a molti sembra soltanto un modo per non guardare negli occhi il passato. Certo, non sarebbe piacevole vedere in circolazione la paccottiglia dell'odio e non è detto che la sua pur conclamata insipienza non possa generare simpatia in qualche mente poco brillante, come del resto assistiamo in tutta Europa con la rinascita dei gruppetti di teste rasate xenofobe e nazistoidi.

Ma aver paura della follia sgrammaticata non è detto serva a mantenere il buon senso nel senso comune diffuso, anzi. Significativo il punto di vista di Dieter Graumann, il presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, che si era detto totalmente d'accordo con la
pubblicazione di Mein Kampf: anche perché  la censura, secondo lui, non ha fatto che creargli una sorta di alone mistico attorno. A volte, per identificare un criminale, è sufficiente leggere quello che scrive.

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