di Giovanni Gnazzi

Poche volte una riunione del G8 é stata così importante e mai è stata così ignorata. Il perché non si deve ad una scarsa attenzione da parte dei media riguardo le vicende dell'ordine internazionale; la totale contemporaneità della riunione con la guerra in Libano che rischia di accendere tutto il Medio Oriente e il Golfo Persico, rendeva anzi la riunione di San Pietroburgo un evento d'importanza assoluta. Ci si attendeva con ben altri toni un monito chiaro, duro, perentorio, rivolto all'eccesso di uso della forza. Ci si poteva attendere un richiamo al rispetto dell'integrità territoriale libanese, Stato sovrano con un governo democraticamente eletto. Si poteva auspicare anche una chiara presa di posizione contro tutti gli attori di un conflitto che può incendiare una delle zone più critiche del mondo. Ma le sole parole che i "grandi" del mondo hanno saputo pronunciare sono una generica quanto inascoltata richiesta ad Hezbollah di restituire i militari israeliani prigionieri e, solo successivamente a ciò, si chiede ad Israele di cessare i bombardamenti. Le strategie geniali che dovrebbero far accettare ai contendenti tanta saggezza sono riferibili ad una non meglio precisata missione di Javier Solana che potrebbe avere l'indiscutibile particolarità di essere fuori tempo massimo. Il G8 di San Pietroburgo è stato quindi un summit che ha reso evidente ai più l'inutilità, ai fini del governo mondiale, di un organismo che è chiamato a cogestire senza avere nessun progetto di governance globale e, quel che è peggio, senza nessuna intenzione di ricercarlo.

La guerra in Libano, che potrebbe già nelle prossime ore vedere una escalation con l'invasione di terra da parte delle truppe israeliane del paese dei cedri, ha registrato poco più di un banale quanto scontato comunicato congiunto che non incide affatto, né sui contendenti, né sullo scenario. Sarebbe servita una strategia politica che intervenisse nel merito della vicenda, ma le vuote parole scritte sull'inutile comunicato hanno ribadito quanto già si sapeva: che gli Stati Uniti sostengono Israele "senza se e senza ma"; che l'Europa, nano politico oltre ogni umana possibilità, si associa tentando al massimo qualche distinzione lessicale; che la Russia non è affatto disposta a lasciare al loro destino l'Iran e soprattutto la Siria, ma che riserva al sistema di relazioni internazionale di tipo bilaterale ed alla sua diplomazia energetica l'autonomia del suo percorso politico, conscia come è che con in ballo l'adesione al WTO, non è il caso di sfidare Washington apertamente. Nonostante ciò, Putin ha avuto uno scontro verbale con Bush in sede di conferenza stampa congiunta, quando al presidente texano, che rivendicava le scelte militari di Tel Aviv in nome della democrazia, il vecchio orso siberiano ha risposto che la democrazia irachena non era tra le sue aspirazioni. Forse lo è quella cecena, ma il dissenso tra i due é' stata l'unica piccola fiammata di un summit desueto ed, in ultima analisi, inutile. Un vertice che tra first ladyes, champagne, pacche sulle spalle e foto di rito ha espresso solo l'assoluta indifferenza per tutto ciò che non riguarda direttamente gli interessi degli otto partecipanti.

Il Medio Oriente è in fiamme e la delega piena ad Israele per il controllo occidentale dell'area si dimostra di difficile applicazione. Nemmeno parole chiare contro l'eventualità di aggredire altri paesi - Siria e Iran in testa - tanto per mettere le mani avanti. D'altra parte, la stessa riunione della Lega Araba di poche ore prima, si era conclusa, classico dei classici, con qualche scontro verbale tra i partecipanti e via con le chiacchiere a ruota libera. A migliaia di chilometri e centinaia di morti di distanza, il premier libanese, conscio di essere solo tra gli isolati, implorava il "cessate il fuoco" agli israeliani, mentre Nasrallah, capo di Hezbollah, minacciava di dare fondo alle scorte di missili in suo possesso che, garantisce, sono in grado di colpire Israele molto più in profondità di quanto non abbiano fatto fino ad ora.
Hezbollah andrebbe presa sul serio, per quanto possa sembrare difficile che un partito, per armato che sia, possa mettere in ginocchio o anche solo in difficoltà la potenza militare di Thesal.

Tel Aviv non aspetta altro. Atteso che sotto i missili di Hezbollah c'è rimasta anche l'inviolabilità israeliana, mito arrugginito dai mutamenti politici e militari intervenuti nell'area, è ora pronta a sostenere come l'attacco ad Hezbollah sia stata solo la prima, necessaria mossa per garantire l'inviolabilità dei suoi cittadini, dato che dei cittadini altrui non v'è necessità di preoccuparsi. Non è da escludere, quindi, che Damasco e Teheran siano l'obbiettivo prossimo dell'aggressione israeliana. Damasco quale rifugio ppolitico del radicalismo arabo, Teheran quale ispiratore e finanziatore di Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina. Israele ha già dato prova in passato di non essere solo il fido depositario degli interessi occidentali in Medio Oriente. Di fronte alla sua sicurezza non tratta; firma e disdice accordi, non rispetta convenzioni e patti, non si cura minimamente delle macerie che la sua aspirazione alla supremazia militare assoluta nell'area lascia sul terreno. Solo che stavolta, sul terreno, sono rimaste anche le macerie di San Pietroburgo.

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