di Carlo Musilli

Lunedì nella Piazza Rossa non si poteva entrare. La polizia di Mosca aveva chiuso tutti gli ingressi. Solo nella capitale sono finite in carcere circa 260 persone, ma si dice che in tutta la Russia siano scesi in strada fra i 5 mila e i 10 mila manifestanti. Un fatto epico per il Paese. La protesta si è scatenata dopo le elezioni legislative di domenica, viziate da brogli più o meno clamorosi. E questo purtroppo è un fatto usuale per il Paese.

Nelle ultime ore il primo ministro Vladimir Putin viene trattato come uno sconfitto, ma la verità è che il suo partito, Russia Unita, ha vinto ancora una volta, conquistando il 49% dei voti e 238 seggi. Certo, si tratta di un bel passo indietro rispetto alle ultime consultazioni, quelle del 2007, quando i putiniani avevano ottenuto il 64% delle preferenze e ben 315 seggi. Alcuni stimano i voti persi addirittura in 10 milioni. Tuttavia, che il potere reale in mano allo zar Vladimir sia stato davvero ridimensionato dalle urne è ancora tutto da dimostrare.

In primo luogo bisognerà vedere quale spazio di manovra e quale capacità politica dimostreranno nel nuovo assetto della Duma i partiti di opposizione. Su tutti i comunisti di Gennady Zyuganov, che hanno praticamente raddoppiato la propria presenza nella camera bassa del Parlamento, passando dall'11 al 20% dei voti e da 38 a 64 seggi. Al terzo posto si piazzano i nazionalisti di Vladimir Zhirinovsky, che passano comunque dall'8 al 12 % e da 40 a 56 seggi.

In questa situazione, Russia Unita manca l'obiettivo della maggioranza costituzionale (315 seggi), ma tiene comunque in pugno la maggioranza assoluta, anche se per soli 13 seggi. Insomma, teoricamente potrebbe ancora navigare in solitaria, ma tanto per stare tranquillo il presidente Dmitri Medvedev ha annunciato che il suo partito governerà "sulla base di accordi di coalizione con altre forze politiche". Sembra un'innovazione storica ma, prima di credere al nuovo bagliore di pluralismo che pare illuminare le buie stanze del Cremlino, aspettiamo di vedere da chi sarà composta la coalizione. E soprattutto quale voce in capitolo avranno gli alleati.

Bisogna poi ritornare sulla questione dei brogli. Secondo l'Osce (l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea) gli scrutatori russi si sarebbero ritrovati a conteggiare anche delle urne gentilmente riempite non dagli elettori, ma da qualcun altro. "Le elezioni erano ben organizzate - scrivono gli osservatori - ma durante il conteggio dei voti la qualità della procedura si è deteriorata in modo significativo". C'erano "gravi indizi che le urne fossero state riempite in precedenza". Messi di fronte all'evidenza d'esser stati truffati, i comunisti hanno annunciato ricorsi alla Corte suprema e a una miriade di tribunali locali, la cui giurisdizione si estende su almeno 1.600 seggi elettorali.

"Gravi preoccupazioni" sono state espresse perfino dal segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che ha anche ricordato gli attacchi cibernetici contro il sito web degli osservatori russi indipendenti di Golos. Per queste "anomalie", Clinton ha sottolineato la necessità di un'inchiesta approfondita.

Su questo punto le interpretazioni possibili sono diverse. Alcuni sostengono che gli uomini di Putin sono talmente in grado di manipolare gli esiti delle urne da aver perfettamente calibrato anche i risultati ottenuti dai partiti avversari. In quest'ottica, l'indebolimento di Russia Unita sarebbe solo apparente e risponderebbe più che altro alla necessità di alleviare la crisi di credibilità che ha colpito il potere centrale, il cui autoritarismo diventa ogni giorno più indigesto ai cittadini. Altri analisti ritengono invece che quella dei brogli elettorali sia ormai una tradizione ineludibile in Russia, ma non in grado di spostare radicalmente la composizione del voto nello sterminato Paese. Che questo sia vero o no, a ben vedere è comunque indiscutibile che la popolarità di Putin stia attraversando una fase di declino.

Quello di domenica era essenzialmente un voto su di lui e sul destino che lo aspetta alle prossime elezioni presidenziali di marzo, che lo potrebbero far rimanere in sella per altri 12 anni (dopo una riforma costituzionale varata ad hoc). Putin ha in mano tutte le carte per riuscirci, potendo controllare ancora tutti i massimi apparati dello Stato. Rimane da vedere come vorrà presentarsi al popolo per raggiungere la meta: se nelle vesti di un autocrate ancora più severo, o come un buon padre ormai intenerito. In ogni caso la sua immagine non è ancora quella dello sconfitto.  

 

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