di Mario Braconi

Il 23 settembre, proprio mentre i rappresentanti palestinesi presentavano la domanda presso l’organizzazione internazionale, il Quartetto (Nazioni Unite, USA, Russia ed Unione Europea) proponeva “un incontro preparatorio tra le parti da organizzare entro un mese”. Dunque la mossa di Abbas ha l’indiscutibile merito di rimettere in moto un processo fermo da oltre un anno: a settembre del 2010, infatti i colloqui erano naufragati a causa del rifiuto di Netanyahu di prolungare la moratoria di 10 mesi sulla costruzione di nuove colonie ebraiche. Intanto, spiega il portavoce del Dipartimento di Stato Mark Toner, il 26 ottobre gli inviati del Quartetto incontreranno (separatamente) rappresentanti Israeliani e Palestinesi “per organizzare i preparativi e sviluppare un’agenda per procedere nei negoziati”.

L’iniziativa del Quartetto è l’alternativa al percorso ONU; tuttavia, se Abbas non avesse forzato la mano andando a New York e sfidando Washington e Tel Aviv, con ogni probabilità la situazione sarebbe ancora in stallo. Il fatto che il 26 ottobre israeliani e palestinesi non s’incontrino direttamente, comunque, non è di buon auspicio: come spiega Daniel Levy, analista della New America Foundation, i membri del Quartetto hanno continuato a dialogare con rappresentanti dell’uno e dell’altro contendente, anche durante i tredici mesi di stop.

Nulla di nuovo, dunque, da questo punto di vista. “Inoltre - afferma Levy -  la liberazione del sergente israeliano Gilat Shalit a fronte della liberazione di oltre 1.000 prigionieri palestinesi, costituisce un’importante ipoteca sul successo dei negoziati a venire. La capitolazione di Israele alle richieste di Hamas viene infatti letta da Al-Fatah come la designazione dell’interlocutore palestinese con cui trattare. Fatto che non può non irritare e ridurre ulteriormente gli spazi di manovra di Abbas”.

Intanto all’ONU si lavora per il riconoscimento della Palestina (West Bank e Striscia di Gaza) come Stato membro: la decisione finale dovrebbe arrivare l’11 novembre, quando a pronunciarsi sarà il Consiglio di Sicurezza. La data è più lontana di quanto si sperasse inizialmente, per consentire all’eventuale nuovo processo di pace sponsorizzato dal Quartetto di prendere forma (se possibile). La procedura prevede un primo passaggio presso un apposito Comitato (il Membership Admission Committee, o MAC) del Consiglio di Sicurezza, costituito da quindici nazioni. Se il Consiglio di Sicurezza dovesse dare luce verde, la proposta passerebbe al vaglio dell’Assemblea Generale, dove potrà essere approvata se otterrà la maggioranza di due terzi dei votanti (129 voti); per un pieno accreditamento presso le Nazioni Unite, la candidatura della nazione al riconoscimento deve essere approvata da entrambi gli organismi.

Il MAC deve verificare se la Palestina abbia i requisiti necessari a divenire uno Stato membro: allo stato è terminata la nebulosa fase di discussione sulle problematiche relative ad uno Stato palestinese in sé. Le prossime attività in capo al Comitato presieduto dalla nigeriana Joy Ogwu saranno la verifica che il futuro Stato palestinese sia pacifico e che sia in grado di ottemperare agli obblighi di uno Stato Membro. Per inciso, ci sarebbe da domandarsi quante delle Nazioni aderenti possano vantare simili requisiti e se non sia il caso che le Nazioni Unite effettuino delle verifiche regolari per accertare che i requisiti siano ancora presenti in tutti i membri del club…

Le regole di funzionamento del MAC, comunque, sono più semplici di quelle dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza: per ottenere l’approvazione, basta la maggioranza assoluta (8 voti favorevoli) e non esiste il veto di Paesi “più uguali degli altri”. Come ricorda Reuters, anche in caso di fallimento all’Assemblea Generale, per i Palestinesi sarebbe già un buon risultato uscire dal MAC con una raccomandazione favorevole al Consiglio di Sicurezza.

Prima dell’11 novembre il MAC farà le sue raccomandazioni al Consiglio di Sicurezza: a quel punto, per vincere la loro battaglia i palestinesi dovranno aver ottenuto il sostegno di nove dei quindici stati membri oltre che, ovviamente, aver scongiurato il veto (praticamente impossibile). E’ evidente che la battaglia per raggiungere i nove voti ha più che altro un valore politico e simbolico, dato che gli Stati Uniti hanno fatto sapere che certamente opporranno il veto. Secondo i diplomatici USA, le Nazioni Unite non sono infatti il contesto ideale per perseguire l’obiettivo dello Stato palestinese.

In ogni caso, secondo fonti diplomatiche citate ieri da Reuters, la causa dello Stato palestinese avrebbe conquistato otto stati del Consiglio di Sicurezza, ovvero Russia, Cina, India, Sud Africa, Brasile, Libano, oltre a Nigeria e Gabon, contati fino a ieri tra gli “indecisi”. Resterebbe da convincere i rappresentanti della Bosnia. Le speranze sulla Colombia sono infatti sfumate lo scorso undici ottobre, quando, nel corso di una visita ufficiale in Colombia, il presidente Juan Manuel Santos ha detto che il suo paese riconoscerà lo stato palestinese solo se esso nascerà a valle di un negoziato con Israele (quindi non per il momento). Indipendentemente da quale sarà l’esito del processo, la candidatura al riconoscimento della Palestina come nazione presso le Nazioni Unite ha contribuito a smuovere le acque e a stimolare un embrione di processo di pace; un’eventuale vittoria, anche parziale, alle Nazioni Unite, non sarebbe sufficiente senza l’avvio di veri negoziati.

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