di Michele Paris

Mentre la repressione e le violenze proseguono senza sosta in Siria, nella giornata di mercoledì è andata in scena ad Aleppo una grande manifestazione popolare in sostegno del presidente Bashar al-Assad. La dimostrazione nella seconda più importante città siriana ha messo in luce l’ampio appoggio che il regime continua a godere in una parte del paese e contribuisce a spiegare lo stallo della crisi dopo oltre sette mesi dall’inizio della rivolta.

Assieme alla capitale, Damasco, la città di Aleppo rappresenta il fulcro del sostegno al governo di Assad. Entrambe le città, infatti, sono state in gran parte escluse dai disordini che hanno lacerato il paese in questi mesi. Il numero dei partecipanti alla manifestazione dell’altro giorno è difficilmente quantificabile. Secondo i media occidentali le persone scese nelle strade sarebbero alcune decine di migliaia, mentre per gli organi di stampa locali oltre un milione.

Il corteo di mercoledì è andato in scena solo pochi giorni dopo un’altra manifestazione oceanica pro-Assad a Damasco. Oltre ai cori e ai simboli di solidarietà verso il presidente, i siriani di Aleppo hanno sventolato le bandiere di Cina e Russia, i due paesi che hanno posto il veto sulla recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che intendeva condannare le violenze del regime e aprire la strada a possibili future sanzioni.

Nel frattempo, anche gli ultimi giorni hanno fatto registrare nuovi scontri e altri morti in Siria. Secondo i resoconti di alcune associazioni umanitarie, mercoledì sarebbero state almeno 26 le vittime, di cui 16 nella città di Homs, dove la resistenza contro il regime è particolarmente intensa. Altre morti sarebbero avvenute nei sobborghi di Damasco e nella città di Qusayr, al confine con il Libano, dove ci sono stati scontri tra le forze di sicurezza e i militari che hanno disertato l’esercito siriano.

Da qualche giorno, poi, il neonato Consiglio Nazionale Siriano - formato da membri di vari orientamenti che si battono contro il regime di Assad - ha avviato un’offensiva su scala internazionale per ottenere un qualche riconoscimento dalle potenze occidentali. Alcuni esponenti del Consiglio vorrebbero iniziative più concrete da parte della comunità internazionale per risolvere il conflitto in corso in Siria, tra cui un intervento della NATO, com’è avvenuto in Libia.

A questo proposito, un membro del Consiglio, Najib Ghadbian, nel corso di una recente conferenza stampa proprio a Tripoli, ha affermato che l’aiuto dell’Occidente “potrebbe includere la creazione di un’area cuscinetto o una no-fly zone”. Dichiarazioni simili la dicono lunga sulla legittimità di parte dell’opposizione siriana organizzata politicamente e degli interessi che essa rappresenta.

Molti dissidenti sono figure screditate che vivono da tempo in Occidente - lo steso Ghadbian insegna all’Università dell’Arkansas - e le cui attività sono finanziate dai governi che da decenni cercano di isolare il governo di Damasco. Al contrario di gran parte del Consiglio Nazionale Siriano, in ogni caso, la maggioranza dei manifestanti pacifici nelle città della Siria è fermamente contrario a qualsiasi intervento di forze straniere.

Un’evoluzione simile a quella libica in Siria porterebbe d’altronde al potere, con ogni probabilità, un regime filo-occidentale, mentre una delle ragioni che rendono Assad sopportabile agli occhi della popolazione è appunto l’indipendenza della propria politica estera da quella degli Stati Uniti e dei loro alleati nella regione.

La recente manifestazione ad Aleppo, come quella di Damasco di settimana scorsa e le altre che pure hanno avuto luogo in questi mesi, se anche sono state organizzate con il contributo del governo, dimostrano che Assad può contare su una base d’appoggio tuttora consistente. Anzi, non è da scartare l’ipotesi che proprio le pressioni, le minacce e la propaganda occidentali abbiano convinto molti siriani - soprattutto tra coloro che più hanno beneficiato delle politiche del regime baathista - a mobilitarsi per sostenere il presidente. Per questo, escludendo interventi militari diretti dall’estero, é difficile prevedere una caduta del regime in tempi brevi.

Nel medio e lungo periodo, tuttavia, saranno cruciali per verificare la resistenza di Assad gli effetti della crisi economica che ha colpito la Siria in seguito all’esplosione delle proteste e, soprattutto, all’applicazione unilaterale delle sanzioni da parte di Stati Uniti e Unione Europea.

Il fattore forse più importante per il futuro del regime rimane tuttavia la svolta violenta che la protesta ha avuto negli ultimi mesi. Nonostante le proteste e le richieste democratiche abbiano mantenuto in larga misura un carattere pacifico, frange di oppositori si stanno facendo sempre più violente, minacciando di gettare il paese in una sanguinosa guerra civile.

Gruppi di militari che hanno defezionato e di integralisti islamici, appoggiati da paesi come l’Arabia Saudita, stanno infatti combattendo con le armi le forze del regime. L’arrivo nel paese di carichi di armi da fuoco in maniera clandestina dalla Turchia e dal Libano è stata d’altra parte documentata ampiamente. L’obiettivo di questi gruppi di oppositori sembra essere proprio quello di creare il caos nel paese, facendo leva sulle rivalità settarie che contraddistinguono la Siria e sulle quali il regime secolare baathista ha operato fin ad ora come un collante. Sarà dunque in gran parte l’evoluzione di tutte queste forze contrastanti che operano dentro e fuori la Siria a determinare il destino del travagliato regime di Bashar al-Assad.

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