di Mario Braconi

Il governo di Benjamin Netanyahu ha approvato la liberazione di 1.027 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane in cambio del rilascio da parte di Hamas del sergente Gilad Shalit, catturato il 25 giugno 2006 da un commando palestinese, che come obiettivo ufficiale si proponeva “la liberazione di tutte le prigioniere e i minorenni palestinesi incarcerati in Israele”. Un evento importante, dal momento che rimuove uno dei casus belli che contribuiscono ad infiammare i rapporti tra Israele e Palestinesi da molti anni, ma per molti versi preoccupante, tanto sul fronte interno che su quello delle relazioni con Al Fatah.

Israele ha impiegato regolarmente lo scambio di prigionieri palestinesi come metodo per ottenere la libertà di ostaggi israeliani o la restituzione dei loro corpi: secondo Reuters, negli ultimi 30 anni, per riportare a casa 16 connazionali (e le spoglie di altri 10) lo stato di Israele ha liberato circa 7.000 prigionieri palestinesi (in media un israeliano, in vita o meno, contro poco meno di 300 Palestinesi). In questo caso, però, a fare scalpore non è solo il numero insolitamente elevato dei prigionieri, ma anche il fatto che ben trecento di questi ultimi sono stati condannati all’ergastolo da un tribunale israeliano con accuse di omicidio (un dato confermato ufficialmente anche dalla dirigenza di Hamas).

Molte perplessità desta anche il modo in cui Hamas ha stilato la lista dei candidati al ritorno nella Striscia di Gaza: secondo Amos Harel e Avi Issacharoff di Haaretz, approvando questa lista Israele ha “attraversato più di una linea rossa”. Tra le persone che dovrebbero essere liberate sembra vi sia Abd Al-Hadi Ghanayem, che, il 6 luglio del 1989 prese il controllo di un autobus israeliano (il 405), facendolo precipitare in una scarpata dove prese fuoco (16 morti e 27 feriti); secondo i due giornalisti, tra i liberati vi sarebbero anche i responsabili del rapimento del soldato israeliano Nachshon Wachsman.

Il 9 ottobre del 1994 Wachsman, che stava facendo l’autostop, salì su un’automobile guidata da un palestinese vestito da ebreo chassidico con tanto di kippa, libro di preghiere mentre dall’autoradio si diffondeva musica tradizionale ebraica. Si trattava di un rapimento, terminato con la morte dell’ostaggio, ufficialmente ucciso dai suoi rapitori prima che i membri del commando che tentò di liberarlo qualche giorno dopo potessero salvarlo.

E’ un fatto che tra i nomi dei papabili vi siano quasi esclusivamente quelli di operativi di Hamas, tra cui Yihya Sanawar, il cui fratello è uno dei leader militari di Hamas e presumibilmente… uno dei rapitori di Shalit. Sembra che i dirigenti di Hamas abbiano fatto qualche vistosa “dimenticanza” nella compilazione della fatidica lista, come quella relativa a Marwan Barghouti, uno dei leader di Fatah. E pensare che, a quanto riferisce Haaretz, Khaled Meshal ha a suo tempo promesso alla sua famiglia di Barghouti che senza la sua liberazione non sarebbe stato possibile nessun accordo sullo scambio di prigionieri.

Comprensibile la rabbia della moglie di Barghouti: “Hamas ha prorogato l’accordo per due anni a causa delle resistenze [israeliane] sulla liberazione di cinque persone specifiche, tra cui Marwan; non capisco perché abbiano mollato proprio ora”. E’ evidente che Hamas ha bisogno di mostrare ai Paesi vicini quanto sia forte e rilevante; e che d’altra parte non ha particolare interesse a lasciare liberi “pezzi da novanta” di West Bank.

La gravità della situazione è simboleggiata dal caso dei cugini Fakhri and Nael Barghouti: i due sono in carcere da trentaquattro anni: ad ogni possibile occasione, nonostante il tema della loro liberazione fosse ricorrente, Israele ha sempre rifiutato di liberarli, per una questione di principio: ora, il fatto che si sia deciso a farlo su richiesta di un’organizzazione come Hamas, non è un bel segnale.

E’ difficile non condividere l’opinione di Harel e Issacharoff, che la esprimono in modo brutale: questo non è uno sputo in faccia all’Autorità Palestinese, è qualcosa di ben peggiore. Sembra dunque che la mossa cui si è deciso Nethanyau, per alleggerire la pressione interna (sembra che oltre il 60% degli israeliani sia d’accordo con lo scambio, a parte, comprensibilmente, i parenti delle vittime degli attentati di cui si sono resi responsabili alcuni dei palestinesi liberati) e quella internazionale finirà per essere un boomerang.

 

 

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