di Eugenio Roscini Vitali 

Ci sono le forze speciali di polizia messe in campo dalle autorità kosovare e i recenti scontri fra i manifestanti serbi e militari della NATO; le barricate e la presenza dei serbo-bosniaci di Banja Luka nel Kosovo settentrionale; le bombe esplose nel settore nord di Mitrovica e il ruolo della missione Eulex. Questa la situazione a nord del fiume Ibar, mentre il mediatore europeo Robert Cooper prova a sondare le prospettive di ripresa di dialogo tra Belgrado e Pristina e dopo aver parlato con i rappresentati serbi incontra il premier Hashim Thaci e il capo negoziatore kosovaro Edita Tahiri.

La posizione di Belgrado e di Pristina è chiara. Nei giorni scorsi la signora Tahiri aveva dichiarato che allo stato per il Kosovo settentrionale non si può parlare di questione politica e che non si può pensare a un'amministrazione temporanea internazionale della regione, ipotesi avanzata la settimana scorsa dal vice leader dell'AAK, Blerim Shala, e bocciata dalla stesa Tahiri.

L'intenzione è di riaprire le trattative con Belgrado limitatamente ai soli problemi di natura tecnica inerenti la vita quotidiana della popolazione, ma per il capo negoziatore serbo, Borislav Stefanovic, il dialogo con Pristina può invece riprendere solo a patto che si trovi una la soluzione alla questione legata ai due posti di frontiera di Jarinje e Brnjak, valichi di transito delle merci con la Serbia che la polizia e i doganieri kosovari controllano con l'appoggio di Eulex e degli uomini della KFOR.

A nord del fiume Ibar i segni della crisi sono ormai evidenti e gli incidenti di frontiera del 25 e 26 luglio che hanno interessato gli ingressi 1 e 31, nei quali ha perso la vita un poliziotto albanese, non sono stati altro che l'inizio di braccio di ferro che dura ormai da più di quattro mesi. In quell’occasione, per riprendere il controllo delle dogane, fino a quel momento presidiate dai poliziotti di etnia serba accusati di chiudere un occhio con le merci provenienti da Belgrado, il governo kosovaro aveva spedito al confine le unità speciali della polizia. La speranza era di risolvere la situazione utilizzando il fattore sorpresa, ma alla fine l'azione si era conclusa nel peggiore dei modi; la popolazione aveva  reagito innalzando le prime barricate e i primi posti di blocco e Pristina era stata costretta a chiedere l'intervento della KFOR.

Lo stallo è proseguito fino alla tarda serata di lunedì 26 settembre, quando i militari tedeschi della NATO sono entrati in azione per smantellare una barricata che però è stata subito ricostruita. Per liberare i blocchi stradali che impedivano il movimento dei mezzi militari, la KFOR è entrata di nuovo in azione nelle prime ore del giorno successivo: in corrispondenza del posto di frontiera di Jarinje sono stati usati proiettili di gomma, gas lacrimogeni e bombe accecanti e negli scontri sono rimaste ferite 11 persone, 7 serbi e 4 militari.

A Bruxelles il Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha affermato che occorre effettuare delle inchieste speciali sull'azione dei membri della KFOR e Belgrado a chiesto la neutralità che Eulex e KFOR agiscano secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma per il responsabile dell'ospedale del quartiere serbo di Mitrovica, Milan Jakovljevic, i sei uomini ricoverati dopo gli scontri presentavano ferite da arma da fuoco e non di pallottole di gomma.

La scintilla che ha dato il via alla protesta serba va ricercata nel tentativo di Pristina di affermare la propria sovranità su tutto il territorio nazionale e la questione del mancato rispetto dell'embargo sui prodotti serbi va solo vista come un pretesto per intervenire. Belgrado, d'altro canto, non ha alcuna intenzione di mollare la presa e per sostenere la popolazione di etnia serba ha creato nel Kosovo settentrionale una vera e propria rete di strutture parallele: l'amministrazione pubblica, la polizia locale, le scuole e le banche sono inserite all'interno di un contesto sociale che non ha alcun rapporto con il resto del Kosovo. Ad appoggiare la protesta serba è intervenuto anche il Comitato per l'aiuto ai serbi di Kosovo e Metohija, una ventina di persone arrivate da Banja Luka, Republika Srpska, che lo scorso 9 ottobre hanno trascorso un giorno sulle barricate poste sul ponte che attraversa il  fiume Ibar e unisce il settore nord e sud della città di Kosovska Mitrovica.

Ma i fattori d’instabilità sono legati anche agli atti di violenza che ogni giorno insanguinano le strade di tutto il Kosovo e che prendono spesso di mira la popolazione di etnia serba. L'ultimo caso riguarda un uomo ucciso a colpi d'arma da fuoco in un agguato tesogli all'uscita da un ristorante nella località di Zrze, presso Orahovac, nel Kosovo sud occidentale. Belgrado accusa Eulex e KFOR di non fare abbastanza per proteggere la comunità serba che vive negli enclave, di  presidiare massicciamente la sole regione a nord del fiume Ibar e di non aver mai fatto luce sui fatti criminosi che hanno colpito i serbo-kosovari.

Ci sono poi gli attentati e la corruzione, elementi che non aiutano certo la Paese a trovare la strada della pacificazione. L'ultimo atto terroristico risale al 5 ottobre scorso, quando a Mitrovica nord un ordigno è esploso in un parcheggio; l'esplosione non ha provocato morti e feriti, ma ha distrutto un’automobile di proprietà di un serbo che lavora come interprete per l'Eulex, un episodio che il capo della missione dell'Unione Europea, Xavier de Marnhac, ha definito "un evidente tentativo d’intimidazione".

In realtà l'azione potrebbe essere l'ennesima riprova della difficile situazione che la popolazione serba vive ogni giorno a causa dell’occupazione albanese e del sostegno concesso dalle truppe NATO ed Eulex alle autorità di Pristina, politici e forze di polizia che si accingono ad affrontare uno scandalo che potrebbe portare sul banco degli imputati gran parte dei vertici del ministero degli interni e del governo stesso.

L'inchiesta aperta dalla missione europea parla di casi di corruzione e d’irregolarità nelle aste per la vendita delle armi e delle munizioni; indagini che coinvolgono la polizia kosovara ed alcune aziende del settore che in ambio di tangenti avrebbero venduto le armi a prezzi raddoppiati.

Secondo il giornale Koha Ditore tra gli indagati compare anche il nome del premier Hashim Thaci e sembra che tra i venditori sia riuscito ad infiltrarsi anche un gruppo criminale. Secondo gli inquirenti il traffico sarebbe iniziato subito dopo la proclamazione unilaterale dell’indipendenza e sarebbe stato proprio il premier ad autorizzare questi affari all'insaputa della missione delle Nazioni Unite.

 

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